"Marianna gustava la libertà: il passato era una coda che aveva raggomitolato sotto le gonne e solo a momenti si faceva sentire. Il futuro era una nebulosa dentro a cui si intravvedevano solo luci da giostra. E lei stava lì, mezza volpe e mezza sirena, per una volta priva di gravami di testa, in compagnia di gente che se ne infischiava della sua sordità e le parlava allegramente in smorfie generose e irresistibili."
(da Wikipedia)
La lunga vita di
Marianna Ucrìa è un romanzo di Dacia Maraini pubblicato
nel 1990. Nello stesso anno
questo romanzo vinse il Premio Campiello.
Fin dalle sue
prime pagine il romanzo immerge il lettore nel clima cupo e pieno di
contraddizioni della Sicilia del Settecento. Mentre in Europatrionfa il Secolo dei Lumi, a Palermo, in un tempo
scandito da impiccagioni, autodafé, matrimoni d’interesse e monacazioni, si
consuma la vicenda di Marianna, della nobile famiglia degli Ucrìa. “Sposare,
figliare, fare sposare le figlie, farle figliare, e fare in modo che le figlie
sposate facciano figliare le loro figlie che a loro volta si sposino e figlino…”,
è questo il motto della discendenza Ucrìa, che in questo modo è riuscita ad
imparentarsi per via femminile con le più grandi famiglie palermitane.
Marianna, costretta ad andare in sposa a soli tredici anni a suo zio, investita
“con rimproveri e proverbi” quando osa sottrarsi al suo ruolo di “mugghieri”
(moglie), sembra all’inizio destinata alla medesima sorte. Lei è però diversa,
sordomuta, ma proprio da questa menomazione trarrà la forza per elevarsi al di
sopra della chiusura e della meschinità che la circonda.