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13 dic 2011

Cose che nessuno sa - Alessandro D'Avenia


«In realtà quando un predatore entra nella conchiglia nel tentativo di divorarne il contenuto e non ci riesce, lascia dentro una parte di sé che ferisce e irrita la carne del mollusco, e l’ostrica si richiude e deve fare i conti con quel nemico, con l’estraneo. Allora il mollusco comincia a rilasciare attorno all’intruso strati di se stesso, come fossero lacrime: la madreperla. A cerchi concentrici costruisce in un periodo di quattro o cinque anni una perla dalle caratteristiche uniche e irripetibili. Ciò che all’inizio serviva a liberare e a difendere la conchiglia da quel che la irritava e distruggeva diventa ornamento, gioiello prezioso e inimitabile. Così è la bellezza: nasconde delle storie, spesso dolorose. Ma solo le storie rendono le cose interessanti...»

E “Cose che nessuno sa” è la storia di Margherita, quattordici anni, vissuta a fine estate, prima di incominciare il liceo. Alle normali paure dell’età si aggiunge un dolore intenso per la fuga di suo padre, scoperta in modo brutale da un semplice messaggio lasciato sulla segreteria telefonica di casa. Compagni di viaggio in questo dolore sono: nonna Teresa, alla quale si rivolge per un sostegno ed un consiglio; il fratellino Andrea; sua madre, spiazzata e resa debole e inerte dall’abbandono da parte del marito; un’amica di scuola, Marta, che ha una famiglia grande e allegra alla quale Margherita sembra volersi appoggiare per trovare quella serenità che ora non ha più. Giulio è il ragazzo orfano e disadattato, che vede nella profondità dei suoi occhi, scruta discretamente nel suo dolore. Egli sa di aver per questo trovato in lei un’anima speciale e decide di accompagnarla nel viaggio alla ricerca del padre. Infine il professore eterno ragazzino, che ricorda il professor Keating dell’Attimo Fuggente: alla fine si scopre che di simile ha solo le intuizioni e non il coraggio e la maturità per gestire le situazioni quando sfuggono di mano.
Un bel libro, che scorre veloce, tra il dolore di un padre che se n’è andato senza dire nulla e i travolgimenti “classici” dell’adolescenza. Due figure, quella di Margherita e Giulio, spiccano tra tutte con i loro problemi che vanno ben al di là dei normali disagi adolescenziali e che si ritrovano insieme ad affrontare un’importante prova. Una storia parallela che si incrocia alla loro è quella del giovane professore, eterno Peter Pan nell’accezione più negativa che il termine contiene: ispiratore del viaggio di Margherita alla ricerca del padre (così come Telemaco partì alla ricerca di Ulisse), deve attraversare un profondo dolore prima di accorgersi che è opportuno, ad un certo punto, crescere e assumersi le proprie responsabilità.
Il dolore profondo e sofferto è ciò che fa crescere tutti i personaggi, rendendoli unici, così come avviene per la perla che nasce dal tentativo dell’ostrica di difendersi dal predatore.
Una sola domanda sorge spontanea: dove sono gli adolescenti “normali”? Si nascondono tra le figure delle amiche di Margherita, forse, dei suoi compagni di classe. Fanno solo capolino, ancora una volta (come anche nel libro precedente), dietro altre storie complesse e drammatiche. Dov’è dunque l’adolescenza sbarazzina e spensierata?


Adolescenti

[...] A quattordici anni si piange spesso, di gioia o di dolore, non importa. Le lacrime non si distinguono, e la vita è talmente tenera da sciogliersi come cera al fuoco che sbuccia una bambina e scopre la donna.
Margherita fa ondeggiare le gambe nel vuoto e il mare schizza coriandoli di luce e acqua contro le sue piante nude, che scalciano la linea dell’orizzonte nel tentativo di infrangerla. Ma la linea rimane intatta. La fissa: filo della vita, sospeso tra cielo e terra, sul quale immagina se stessa in equilibrio. [...]
E a quattordici anni sei un funambolo a piedi nudi sul tuo filo e l’equilibrio è un miracolo.
E’ l’estate della sua vita. E’ l’alba di un’età nuova. Suo padre e lei, soli su una barca a vela, a pochi giorni dall’inizio delle superiori, nel giorno del suo compleanno. Per un attimo Margherita chiude gli occhi e distende la schiena sullo scafo, allarga le braccia. Poi li riapre e una forza invisibile inonda la vela. E’ il vento. Non lo vedi e non lo senti sinchè trova un ostacolo, come tutte le cose che ci sono sempre state. Persino il mare sembra senza limiti, eppure canta solo quando li trova: infrangendosi sulla chiglia diventa schiuma; spezzandosi sugli scogli, vapore; sfinendosi sulle spiagge, risacca. La bellezza nasce dai limiti, sempre.

[...] La vita è così: nasce in silenzio, in un nascondiglio, e pian piano si ingrossa nel suo trascorrere e canta proprio dove incontra un ostacolo. [...] Meglio stare lontani dalla vita, altrimenti si finisce con il contrarre il vizio alla bruttezza. La vita non è mai in rima, al massimo concede un’assonanza, di norma fa solo rumore.

[...] Tu sei così giovane, così al di qua di ogni inizio, e io ti vorrei pregare quanto posso di avere pazienza verso quanto non è ancora risolto nel tuo cuore, e tentare di avere care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercare ora le risposte che non possono venirti da te perchè non le potresti vivere. E di questo si tratta: di vivere tutto. Vivi ora le domande. Forse ti avvicinerai così, a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano, la risposta.

[...] Quando è stata l’ultima volta, ragazzi, che avete perso il sonno pensando al viaggio della vita che vi attende? Quando? [...] Male! Dovete perdere il sonno sognando il vostro futuro. Il sonno lo perdiamo perchè la vita ci emoziona allo stesso tempo, la vogliamo aggredire e strapparle le sue promesse, ma ne abbiamo paura. Abbiamo paura che ci abbatta, che le speranze restino deluse, che tutto sia stato solo frutto dell’immaginazione. Dovete perdere il vostro sonno pensando al futuro. Non ne abbiate paura. E’ segno che state vivendo, che la vita sta entrando in voi.

[...] Quattordicianni – lo scrisse tutto unito come fosse il nome di un personaggio – non è un’età. Non è niente. Non c’è la sicurezza che accende gli occhi di Giulio. Non ci sono le rughe sul viso della nonna. Non ci sono le riunioni di lavoro di papà. Non ci sono gli abiti da donna della mamma. Non c’è la magica fiducia di Andrea. Non c’è armonia. Non c’è grazie. Quattordicianni è volere tutto e niente nello stesso momento. Avere segreti inconfessabili e domande senza risposta. Odiare sé per odiare tutti. Avere tutte le paure e nasconderle tutte pur volendole dire tutte insieme, con mille bocche. Avere centomila maschere senza cambiare mai la faccia che ti ritrovi. Avere un milione di sensi di colpa e dover scegliere a chi addossarli per non doverli portare tutti da sola. Vuoi amare e non sai come si fa. Vuoi essere amata e non sai come si fa. Vuoi stare da sola e non sai come si fa. Vuoi un corpo di donna e non ce l’hai, e se il corpo diventa di donna non lo vuoi più. Quattordicianni è fragilità e non sapere come si fa. Ci sono cose che nessuno spiega. Ci sono cose che nessuno sa.

L’amore

[...] Un uomo sceglie una donna, e viceversa, nella speranza che ci sia almeno uno o una al mondo capace di perdonare tutto quello che fa, o che almeno ci provi. Almeno uno capace di perdonarti esiste.

[...] L’amore è fatto di carne. L’uomo desidera la donna e la risveglia: lei si sente voluta, amata. Quando un uomo tocca una donna ci tocca l’anima. Non tutti gli uomini arrivano a sentire l’anima sotto le dita, alcuni vastasi si fermano alla scorza. Una carezza sulla pelle di una donna è capace di allisciarci l’anima, uno schiaffo di frantumarla... E poi dall’ombelico parte quel filo a cui è legata la vita, quella corda non si rompe mai... e un uomo ci si aggrappa sempre.

[...] «Dài, nonna, racconta... Com’è un bacio?» «Gioia mia, quello che so è che cerchiamo la vita. Il nostro respiro non ci basta e vogliamo il respiro di un altro. Vogliamo respirare di più, vogliamo tutto il fiato della vita. [...] Si dice che la persona giusta è quella che respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare un respiro più grande.»

[...] L’amore non è un aperitivo o una cena fuori, ma una dannatissima quotidianità che diventa una sorpresa ogni giorno grazie al fatto di essere in due. [...] Amare è un’altra cosa: è un verbo, un’azione. Non è guardare un film su Paesi lontani, ma andarci davvero, in due: valigie, fusi orari, attese, moltiplicati per due. Asciugamani, spazzolini, letti, moltiplicati per due. Caffè, lacrime, sorrisi, moltiplicati per due. Tutto è raddoppiato. Mentre le fatiche vissute insieme, condivise fianco a fianco, mano nella mano, diventano meno di uno.

[...] Il cuore non è altro che una fila di stanze, sempre più piccole, una immette in un’altra attraverso una porta chiusa e scale che scendono. Sono in tutto sette stanze. Il cuore del cuore è la settima, la più difficile da raggiungere, ma la più luminosa perchè le pareti sono di cristallo. Gioia e dolore vengono da questa stanza e sono la chiave per entrarci. Gioia e dolore piangono le stesse lacrime, sono la madreperla della vita, e quel che conta nella vita è mantenere intatto quel pezzetto di cuore così difficile da raggiungere, così difficile da ascoltare, cos’ difficile da donare, perchè lì è tutto vero. [...] Quando il sole scomparve del tutto, ebbero meno paura che i loro visi fossero così vicini. Margherita chiuse gli occhi. E l’oscurità celò col suo silenzio calmo quel bacio dolce-amaro. I respiri si mescolarono ed entrambi sentirono una parte di sé venire alla luce, la parte più profonda e nascosta, la stanza dove nessuno può raggiungerti se non glielo permetti, la settima stanza.

[...] Come può mancarci chi non abbiamo mai avuto? Cosa ci manca veramente: l’altro o una parte di noi stessi? O abbiamo bisogno che qualcuno ci regali quella parte di noi stessi che ci manca? [...] E io ho pensato a tutto quello che avevamo vissuto insieme: dal corteggiamento, quando lui mi pedinava pur di trovare il momento adatto per scambiare due parole con calma, ai pannolini sporchi, alle nottate insonni, alle risate e alle lacrime, dalle conquiste come la prima casa, alle sconfitte come i periodi in cui lui era costretto a prendere molte guardie notturne per tirare su qualche lira in più, dagli spazzolini confusi al calore sotto le coperte, dalla freschezza delle foto del matrimonio alle prime rughe... Ho ripensato a tutto e ho capito che non avrei cambiato niente, neanche una virgola di quella vita, neanche sui dolori avrei fatto marcia indietro. Chi sarei stata altrimenti? Sarei sparita, colpita da una specie di anoressia esistenziale. [...] Quanto tempo passiamo a tenerci tutto dentro, invece di lasciare fuori il mondo con le sue scadenze e parlare sul serio. Invece di cercare la verità insieme. [...] Dirsi come stanno le cose, perdonarsi, scegliersi di nuovo e scoprire che se la tua vita ha un senso è perchè hai amato un uomo per tanti anni. [...] Ogni tanto mi sembra di avere capito di cosa ho bisogno, la verità sta lì, bella chiara, ma poi... la routine quotidiana, i ruoli, le ferite non curate... è come se me ne dimenticassi.

[...] L’amore non è durata, ma pienezza di ogni singolo istante: per sempre è sinonimo di ogni ventiquattro ore.

[...] Io non so perchè ti ho seguito in questa follia, ma so che questa follia mi è sembrata normale accanto a te. Io che non parlo mai, ho parlato. Io che non ho mai paura, sono diventato debole e mi sono sentito più forte così. Io che non ho mai avuto una casa, mi sono sentito a casa sotto il cielo. Io voglio guardare i tuoi occhi ancora, voglio proteggerti da tutti i pericoli. Non voglio più salire da solo sui tetti, entrare nei cimiteri per poter amare la vita. Io non voglio più rubare nulla se non per regalarlo a te.

Il dolore

[...] Chi conosce il dolore ne riproduce l’eco per tutta la vita, come le conchiglie fanno con il mare.

[...] La memoria delle donne non è situata nella testa, ma nel corpo, dappertutto. Anima e corpo in una donna sono più uniti, e ogni parte del corpo ricorda, soprattutto quando ha perso la mano che l’accarezzava, le braccia che la sollevavano, le labbra che la baciavano.

[...] Gli sembrava ogni volta di toccare il cielo, ma poi inesorabilmente ricadeva a terra da altezze vertiginose, spaccandosi l’anima in minuti pezzi di vetro. L’amore non offriva la consolazione promessa. Nessun abbraccio, nessun bacio, nessuna carezza, nessun amplesso era capace di guarire la ferita. Cerotti. Uno sopra l’altro, una montagna, su un taglio che non era stato mai pulito e disinfettato.
Le librerie alle pareti erano riempite da romanzi, dvd e cd. La gente legge romanzi d’amore, guarda commedie romantiche, ascolta canzoni sentimentali. E pensa che l’amore riempia il vuoto della propria solitudine. Ma nessuno può riempire ciò che non ha fondo. Aveva l’anima come un pozzo e non smetteva di buttarci dentro pietre per riempirlo, ma non affioravano mai: sparivano nel nulla e lui non aveva il coraggio di sporgersi e guardare dentro. Non voleva bere la sua acqua avvelenata, voleva solo riempire il buco una volta per tutte.

[...] Niente macchia gli occhi come le lacrime.

 [...] La madreperla infatti ha la composizione delle lacrime. Acqua e sale che si induriscono attorno alla scheggia avvelenata. Strato dopo strato, cerchio dopo cerchio nella forma della simmetria perfetta, che nasconde l’impossibile simmetria del dolore. A guardarle le perle sembrano tutte uguali, ma quelle naturali al tatto tradiscono leggere deformazioni, determinate dalla forma del predatore incastrato dentro. Questo le rende uniche. Acqua e sale scolpite intorno al pericolo.

I sogni e la vita

[...] Sognare dentro la realtà: questo rende i sogni più grandi, veri, palpabili! Diventare adulti è trovare la pazienza per dare corso ai propri sogni, senza rinunciarci!

[...] Nella vita sono importanti non i momenti in cui respiri, ma quelli che il respiro te lo tolgono.

[...] Ogni cosa bella troppo spesso è quel che resta di un naufragio.

L’arte

[...] Le cose rimangono invisibili senza le parole adatte. [...] E l’arte è il codice che rende visibili le cose che tocchiamo tutti i giorni, che proprio perchè le tocchiamo diventano opache, abusate, invisibili.

[...] Ci sono parole come le conchiglie, semplici ma con il mare dentro.

[...] Tolstoj in una lettera ha scritto: “ Lo scopo dell’arte non è quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente ad amare la vita. Se mi dicessero che posso scrivere un libro in cui mi sarà dato dimostrare per vero il mio punto di vista su tutti i problemi sociali, non perderei un’ora per un’opera del genere. Ma se mi dicessero che quello che scrivo sarà letto tra vent’anni da quelli che ora sono bambini e che essi rideranno, piangeranno e s’innamoreranno della vita sulle mie pagine, allora dedicherei a quest’opera tutte le mie forze”.

3 commenti:

  1. Grazie per il tempo che hai dedicato al mio libro e per la bella recensione.
    A.

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  2. credo che gli adolescenti "normali" abbiano tutti dentro quelle domande, anche i compagni di classe di Margherita ecc. solo che non le tirano fuori, non sono educati a farlo e non vedono nei "grandi" la convenienza di affrontale. purtroppo tante persone non si sono mai poste tali questioni, le hanno sfuggite più o meno inconsapevolmente e si ritrovano ancora bambine nel mondo reale. se a 15 anni (come a 25, a 50 o a 80) si è spensierati nel vero senso della parola, non si sta vivendo sul serio. e avere dei pensieri non vuol dire non divertirsi, essere tristi e preoccupati, ma godersi la vita fino in fondo, senza superficialità. per me è così! certo, i protagonisti arrivano presto alle risposte, ma un libro non può raccontare 10 anni di vita! entrambi i libri mi sono piaciuti molto, anche perchè parlano di tante questioni che ho affrontato nella mia -diciamo- recente adolescenza, momento in cui ho iniziato a intravvederne anche la risposta, che sto scoprendo e approfondendo tutt'ora

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    1. Grazie Sharon per il tuo commento.

      Vedi, io penso che ogni età abbia i suoi pregi ed i suoi difetti e l'adolescenza è un'età bellissima, con i suoi alti e bassi da montagne russe. E' l'età nella quale se sei spensierato non te lo rimprovera nessuno, perchè in fondo è anche giusto imparare gradualmente ad assumersi le responsabilità, lasciando il posto ai propri sogni, credendo che possano avverarsi, credendo che il mondo possa essere tuo. Questo non credo sia superficialità. Nè intendo la spensieratezza come superficialità: la intendo come il non avere certe responsabilità tipiche di un adulto (quelle della famiglia, del lavoro...)

      La mia battuta sugli adolescenti "normali" era relativa al fatto che la maggior parte dei ragazzi non irrompe nell'età adulta in modo così brusco come succede ai personaggi dei due libri, attraverso la morte di un'amica (bianca come il latte) o attraverso un viaggio alla rincorsa di un padre che rifiuta di assumersi le proprie responsabilità (cose che nessuno sa). I ragazzi attraversano piano piano questa fase, con una lentezza esasperante (Ah! l'attesa dei fatidici diciotto anni che non arrivano mai!), chi prima chi dopo (e chi mai), cercando lentamente le loro risposte alla vita, senza sbattere contro verità dure, che "normalmente" impari più avanti.

      Era solo questo, mi sembrava che si dovesse dare spazio anche a questi sentimenti, pur comprendendo che l'esagerazione, il colpo di scena, il dramma siano a volte necessari ad uno scrittore per evidenziare una certa realtà, anche solo per contrasto.

      Grazie ancora! Il Pavone Bianco

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