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13 dic 2011

David Grossman - Vedi alla voce: amore


Come mai potrà un uomo vedere tutto questo e restare in vita? 

Abbiamo chiesto così poco: che sia possibile che un uomo viva in questo mondo tutta la sua vita, dal principio alla fine, senza mai conoscere la guerra.


Un libro difficile, ma bello. Di libri così ne ho letti pochi: “La montagna incantata” di Thomas Mann, “Il tamburo di latta” di Günter Grass. Libri che ho assimilato poco alla volta, nell’arco di mesi, con interruzioni volontarie anche lunghe, ma che sono restati “dentro l’anima”. Libri che ti ricordi negli anni, non di quelli che digerisci velocemente e finiscono nello scarico per quanto ti abbia appassionato la lettura.

E’ una storia relativa all’Olocausto, di una “originalità stilistica e linguistica, dalle architetture straordinarie”.

Protagonista e narratore è Momik, figlio di deportati, che sente parlare dagli adulti in modo oscuro ed allusivo all’Olocausto, che si interroga sui numeri tatuati sulla loro pelle, che crede che la «belva nazista» sia realmente un animale feroce, sconosciuto e terribile, che può annidarsi in qualsiasi animale. Momik si ritrova in particolare in compagnia di Nonno Ansel, un deportato da un campo di concentramento che non ha più la parola e del quale vuole scoprire la storia. Momik intraprende così un viaggio verso la Polonia e ci accompagna lungo tutto il libro.

La prima parte del libro è incentrata proprio su Momik. In parte lo è anche la seconda, che narra del viaggio di Momik verso la Polonia alla ricerca delle origini della sua famiglia. Lo stile è particolare: pagine intere senza punti, di difficile lettura, che appaiono come “puro pensiero”. Nella seconda si infila il personaggio di Bruno, anche lui scampato ai campi di concentramento, che decide di suicidarsi, ma l’acqua del mare lo avvolge e Bruno si trasforma in salmone. Bruno segue la risalita dei salmoni verso il fiume e pensa e prova sentimenti e vive quella comunità cercando di capire i suoi meccanismi.

Usciti da queste due parti “ostiche”, che tuttavia occupano almeno metà del libro, si apre il mondo dell’Olocausto, con i due personaggi che per le due parti successive saranno gli antagonisti: Neigel, quarantasei anni, capo del campo di concentramento e Wasserman (nonno Anshel), polacco, deportato nel campo con sua moglie e sua figlia.

Wasserman non riesce a morire, nonostante i vari tentativi dei nazisti e ciò incuriosisce Neigel, che lo chiama a colloquio nel suo ufficio. Durante il colloquio scopre che Wasserman è l’autore di alcune storie che leggeva da giovane, le storie dei Ragazzi di Cuore, e così lo sfida a raccontargliene una. Wasserman accetta, a patto che, se la storia gli piacerà, Neigel lo uccida. La terza parte del libro segue in modo lineare il filo di questa storia fantastica, intrecciando ad essa numerose altre storie. La quarta parte, l”Enciclopedia del Nazismo”, attraverso le definizioni di numerosi vocaboli, ne tratteggia l’evoluzione e la fine.

Ritengo che la parte più bella ed avvincente sia il rapporto tra Neigel e Wasserman, che da semplice antagonismo comandante-deportato si risolve in un confronto a tratti drammatico tra l’uomo Neigel e l’uomo Wasserman.

Bello. Difficilissimo leggerlo, ma alla fine ne vale la pena.

Estratti

La stanza bianca

Della stanza bianca disse nella nostra prima notte che era «la prova più vera attraverso cui deve passare chiunque voglia scrivere sull’Olocausto. Come la Sfinge che lascia indovinelli. E là, in quella stanza, tu vieni di tua spontanea volontà e ti metti di fronte alla Sfinge. Capisci?». Non capivo, naturalmente. Lei sospirò, alzò gli occhi al cielo, e spiegò che già da quarant’anni gli scrittori scrivono dell’Olocausto e continueranno sempre a scriverne, e in un certo qual modo sono tutti quanti condannati al fallimento, perchè ogni altra ferita e ogni altro malanno si può tradurre nella lingua di una realtà conosciuta, e solo la storia dell’Olocausto non la si può tradurre, ma resterà sempre questo bisogno di tentare ancora e di nuovo, di provarcisi, di smussare le sue punte acute sulla carne viva dello scrivente, «e se vuoi essere sincero con te stesso» disse con aria grave «allora sei obbligato a osare e a cimentarti con la stanza bianca». [...] «E in quella stanza sono concentrate tutte le essenze più forti di quei giorni [...], ma ciò che stupisce è che in quella stanza non ci sono risposte già pronte. Nulla vi è detto. Tutto è solo possibile. Solo alluso. Solo possibilitato ad avverarsi. O destinato. E tu sei obbligato a passare tutto ciò di nuovo. Tutto. E a sentirlo sulla tua carne viva. Senza intermediari e senza controfigure che eseguano le parti pericolose a te affidate. E se non hai dato alla Sfinge la risposta giusta – sei sbranato. O ne esci senza capire. E a mio parere è lo stesso».

Padri e figli

Una volta prima che lui nascesse le avevo detto che se ci fosse nato un bambino, la prima cosa che avrei fatto ogni mattina sarebbe stata di andare a dargli uno schiaffo. Così. Che sapesse che nel mondo non c’è giustizia. Che c’è solo guerra. Le dissi questo quando avevamo appena cominciato a vederci. Quando avevamo sedici anni. Poi erano venuti anni in cui avevo pensato che quella era un’idea infantile e idiota, ma quando Yariv era nato avevo sentito d’un tratto che l’idea non era poi così idiota. Ruth aveva detto: e allora verrà un giorno in cui ti restituirà lo schiaffo, e come ti sentirai in quel momento? Avevo risposto: mi sentirò benissimo. Sentirò che ho preparato mio figlio a vivere.

[...] E Fried rifletteva stupito che ciò che aveva sempre pensato – e cioè che il padre desse vita al figlio – forse era fondamentalmente falso; e che forse è il padre che ha tanto bisogno del figlio perchè solo il bambino può liberare l’adulto dalla sua prigione e ricordargli ciò che ha dimenticato.

L’Amore

«Oggi io ben so che esistono uomini il cui gusto di vivere è insito nel lavoro, ed esistono alcuni per cui l’arte o l’amore sono il succo stesso della vita, la loro unica ragione di vivere. Io, a quanto parem appartengo alla categoria degli Shleimele, dei Buonanulla, perchè la mia Sara era lei sola la ragione di vivere, in lei sola gustavo la vita, e questo l’ho saputo solo dopo essere arrivato qui. Ahi, io penso che la maggior parte degli uomini sappiano ben guardarsi da simili errori. Ti auguro che tu te ne sappia guardare. In quanto che colui che è innamorato dell’amore sempre troverà un nuovo essere da amare. Ma io schiavo in catene mi ero fatto di un’unica e sola donna. Non ebbi più vita dopo averla perduta, e anche non seppi mai amarla com’essa si meritava...»

L’uomo incontra l’uomo

Generalmente parlando – pare che non sappia cosa far di me, e che la cosa lo turbi, e molto. A momenti mi guarda in modo strano ed emette un “himpf”, e ti giuro, Shleimele, che proprio non so cosa questo suo “himpf” voglia dire, e solo spero che non sia un “himpf” di corruccio, Dio ne guardi, ché non ho intenzione alcuna di corrucciarlo, imperocché lui pure era stato un infante una volta, e avevo letto quel che aveva letto e allora nutriva per me una certa affezione, e chissà mai da allora cosa ha passato, e come l’hanno corrotto lì nella SS Führerschule, e certo è che uno non può divenire assassino e mantener sempre ancora ardente in cuor suo la face della gioia, e se sono potessi sapere come fu e come non fu che un uomo dello stampo di Neigel divenne un assassino, forse opererei l’anima mia, pur misera ch’ella sia, per riportarlo sulla dritta via e correggerlo, et! Pensieri da scioperato, Anshel! Riformatore d’anime sei divenuto con la canizie? Un profeta all’indietro, così? Ma qui dentro di me, aveva preso a rodermi un tarlo: com’era possibile che dopo tutto quello che mi aveva fatto quell’Arciassassino Neigel, ecco solo una breve ora me n’ero stato qui e già l’avevo scorto sotto il suo aspetto di bambino, già avevo iniziato a pensare che in errore ero stato per tutte quelle lune che avevo passato nel Campo, e mai mi era passato per la mente che anche Neigel avesse diritto ad appellarsi Uomo, e che avesse forse ancor lui una Sposa e dei Figli, e ora mi stupivo molto al cospetto di simili riflessioni, ed era quel fatto per me quale un apologo dal senso ascoso, e lo collocai tra le categorie da studiarsi, e a Neigel dissi che ero spiacente del disturbo da me arrecatogli, e vidi che le mie parole gli avevano toccato il cuore, imperocché mi fissava con occhi di uomo eccitato e commosso, e io gli svelai ciò che nutrvo in cuore e gli dissi che anch’io provavo imbarazzo per il fatto che colui che doveva togliermi la vita era un uomo che io, nu mah, alla fin fine: lo conoscevo un poco, e per rafforzare i miei detti citai alcune parole di mio Padre, che Dio l’abbia in gloria, che era un commerciante e mi aveva impartito un insegnamento dicendomi che mai e poi mai deve l’uomo immischiare i propri sentimenti con i propri affari, ed ecco, invece di calmarsi a tale parole, Neigel mi gettò in faccia un grido di rimbrotto profondo e roco, e mi guardò con occhi feroci e spalancati, occhi di mostro, davvero, come se avessi espresso, Dio liberi, una cosa oscena che offendeva l’orecchio.»

[...] Non è facile separarsi. Ora sembrano due amici che hanno terminato tutti i preparativi necessari a un lungo viaggio, ed esitano ancora un poco, ispirandosi sicurezza a vicenda. Neigel va a spegnere la lampada centrale, e ora resta soltanto la lampadina sul tavolo. In questa penombra in cui la sua faccia è invisibile chiede a Wasserman, con una voce un po’ esitante, un po’ incerta, cosa ne pensa di questo loro esperimento, e se crede di riuscire a raccontare una bella storia, e Wasserman confessa di essere un po’ intimorito, ma di essere anche tanto curioso di vedere come andrà a finire. In cuor suo ringrazia Neigel per aver fatto risorgere in lui il desiderio di creare, «e per un momento mi aveva restituito i miei più ascosi e ardenti desideri.»
Neigel apre, con la chiave, la porta che serve da divisorio tra le due ali della baracca. Quasi senza guardare l’ebreo chiede all’improvviso perchè mai Wasserman non aveva scritto più nulla in tutti quegli anni, dopo I Ragazzi di Cuore. Wasserman gli risponde, e Neigel: «Non sapevo che un talento potesse esaurirsi. Molto interessante... E... volevo chiedere soltanto... come ci si sente senza scrivere?» [...] «Neppure al peggior nemico lo avrei augurato! Ché si diviene come un morto – Dio ne scampi – vivente, si diviene la propria lapide, la propria tomba.»

[...] Con uno scoppio di collera, Neigel: «Dammi una storia semplice, Wasserman! Dammi qualcosa che venga dritto dritto dalla vita! Dalla mia vita! Qualcosa che perfino un uomo come me che non ha fatto l’università, la possa capire, sentire! E non ammazzarmi nessuno!». E a ciò Wasserman: «Con qual diritto mi chiede una simil cosa, Herr Neigel?»

[...] «Vorrei dirti una cosa. Non solo riguardo alla tua storia, ma anche riguardo a questo esperimento.» Torna a camminare su e giù per la stanza, a parlare dentro il suo pugno chiuso. Si potrebbe pensare che deve costringere le parole a uscirgli di bocca. «Sai» dice alla fine, «ho pensato un po’ a tutto questo, ultimamente. A te e a me ho pensato, voglio dire. E’ una cosa nuova per me, questa che mi è successa, e mi piace sempre capire quello che mi succede. [...] Tu mi dispezzi» dice, voltando le spalle a Wasserman. «Così stanno le cose: tu sei uno scrittore, mentre io sono, ai tuoi occhi, un assassino. Non non parlare ora! Naturalmente nel vecchio mondo in cui hai vissuto, un uomo come me lo chiamavano assassino. Ma già da diversi anni il mondo è cambiato. Forse non te ne sei accorto, Wasserman. Il mondo vecchio è morto. Il vecchio uomo è morto con lui. Io vivo già nel mondo nuovo. Nel futuro che mi assicurano il Führer e il Reich. Sì, Sheherazadah [...] le cose che abbiamo preso l’impegno di eseguire per il Reich vengono eseguite in forza di ragioni che tu non potrai mai capire. Tu e la tua morale ebreina, e i tuoi concetti di giustizia. Non so spiegarmi tanto bene, su questa roba. Per questo ci sono i filosofi e i professori, che facciano lavorare il cervello. A me mi pagano per mettere in pratica le loro idee. E il mio compito mi piace. Quando si studiava l’ideologia del Partito, alla Scuola Allievi Ufficiali, a Braunschweig, ho ottenuto dal Reichsführer stesso un congedo perchè potessi, invece di studiare, preparare gli esercizi dei cavalleggeri per la parata della cerminonia di consegna dei diplomi. Sono più ferrato in fatto di cavalli, capisci. Però qualcosa m’è entrato nonostante tutto in zucca, e so che tu e io apparteniamo a due generi completamente diversi di esseri viventi. Voi non esisterete più fra due o tre anni, quando avremo completato l’esecuzione del nostro programma. Noi resteremo qui. Come sono sempre restati i più forti e loro hanno fissato le regole. [...] Queste sono la nostra terra e la nostra aria e le nostre idee sulla giustizia e su quello che tu chiami la morale. Mille anni resteremo qui, e questo è solo il principio. Se verrà qualcuno che nutre altre idee sulle cose, lo combatteremo. E se lui ci vincerà, sarà perchè avrà più ragione di noi. E’ così. E in questa guerra voi siete dalla parte del perdente. Noi siamo i vincitori. Così ci chiameranno nei libri di storia su cui mio figlio studierà: i vincitori.»
Wasserman non può più trattenersi. [...] Salta su dalla sedia con la barba irta. E’ abbastanza ridicolo, devo notarlo. Secondo quello che dice (un po’ confusamente) si deve dedurre che Neigel sia in errore, “in grande errore”. Prima di tutto non è mai esistito un uomo vecchio, nè mai si potrà parlare di un “uomo nuovo”. “L’uomo è sempre un uomo, solo i suoi Magi si permutano”. Secondo lui, Neigel e lui stesso si trovano dalla stessa parte, la parte degli sconfitti, però mentre Neigel e i suoi compagni “sono pronti a vendersi per la zuppa di lenticchie di quest’illusione caduca, l’illusione della vittoria riportata su chi è più debole di loro”, Wasserman sa già da tempo [...] che alla resa dei conti – e non si cura di precisare chi è che tiene il conto – si trova scritto che anche lui e anche Neigel appartengono ai vinti.
«Qui e in questo posto è lei che è sconfitto a ogni momento. E’ tremendo, Herr Neigel, il fatto che lei faccia divenire anche me più disperato di quanto lo fossi mai stato in vita mia. Sì, e forse lei sa già da sé che l’apparato dell’animo è un apparato maraviglioso, e include diversi processi e movimenti – moti d’animo che l’uomo può effettuare solo in un senso, proprio così. [...] La crudeltà, la ferocia, per esempio. Se uno ha insegnato a se stesso la crudeltà e la ferocia, mi pare logica che gli sarà ben difficile svezzarsi da esse. Proprio come se ha imparato una volta a nuotare nel fiume, mai più dimenticherà questa tale dottrina, così mi hanno detto coloro che sono scesi al fiume, e per quanto riguarda la crudeltà, la ferocia o la malvagità, o il non avere fiducia nell’uomo, nu, l’uomo non può essere a volte crudele e feroce e a volte no, o essere malvagio solo per un terzo, e non aver fiducia nell’uomo solo per un quarto, come se la malvagità fosse un oggetto che uno porta sempre con sé e volendolo lo trae di tasca e lo usa, e volendolo lo ripone in tasca e pace all’anima sua. E ben sicuro io sono che anche lei stesso l’ha già esperimentato che la crudeltà e il sospetto e la scelleratezza affettano tutta una vita. Se abbiamo aperto loro uno spiraglio, va a finire che essi si espandono come una muffa e coprono l’anima tutta. [...] La pietà, Herr Neigel. E l’amore per l’uomo, e quello stupido talento dell’aver fiducia nell’uomo. Aver fiducia nonostante tutto, nonostante tutto ancora credere. Da tutto ciò ci si può liberare con una facilità grande, preoccupante. E l’operazione è quasi indolore.»«E per riacquistare quei moti?» chiede Neigel, e ora guarda Wasserman proprio negli occhi. «Spero si possa» risponde Wasserman a lui e a se stesso, o a me stesso, e dice queste incomprensibili parole: «Questa è la mia vocazione, Shleimele, ed è per questo che metto in scena qui tutta questa commedia.»
[...] Neigel  [...] non si dà per vinto: «Abbiamo giurato di amare il Führer e il Reich e la famiglia. Secondo questo ordine decrescente. Questi tre amori ci danno la forza di fare tutto ciò che ci hanno ordinato di fare. [...] Anche da noi, certo, ci sono stati dei casi di defezione. Non è un segreto. Io stesso ho conosciuto un nostro eccellente ufficiale che si è suicidato, perchè tutt’a un tratto gli venivano degli incubi, sognava che avrebbe potuto uccidere sua moglie e le sue bambine, figurati. Ma in ogni guerra ci sono dei disertori e dei paurosi e dei traditori. [...] Le cose non sono così semplici come sembrano qui nel Campo. Perchè quando si uccidono mamme e bambini bisogna temprare, come il dice il Reichsführer. Temprare l’anima, cioè. Rafforzarla. Prendere decisioni. E che nessun altro lo sappia, all’infuori di te. E questa è una guerra silenziosa, e ognuno di noi vi partecipa. Va bene, ci sono naturalmente anche tipi diversi. Stauke, per  esempio. Lui ne gode, ne ha un godimento morboso. Ce n’è, di tipi così. Ma un vero ufficiale SS non deve mai derivare godimento dal proprio lavoro. Lo sai che Himmler stesso viene a osservarci mentre eseguiamo le selezioni, per vedere se permettiamo all’espressione, di un qualunque sentimento, di apparirci in faccia? Non lo sapevi? E’ così. Una guerra segreta, come ti dicevo. E in questa guerra vince chi riesce a passare tra goccia e goccia senza bagnarsi... chi comprende che il Movimento impone sacrifici. Perchè qui combattiamo in prima linea la lotta tra due tipi di umanità... e siamo esposti al pericolo, e per poter riuscire a restare sempre un buon ufficiale è necessario, a volte, come ti dicevo, prendere delle decisioni, bisogna per esempio, decidere di mandare in vacanza provvisoriamente una parte di questa... della macchina, cioè come dirti...» e si pianta in petto, accanto al cuore, due dita: «...sospendere per un certo periodo, fino a che non finisca la guerra... epoi rimettere tutto al suo posto e goderci il nostro nuovo Reich... e ti voglio dire qualcosa che nessuno sa, a te lo posso raccontare, perchè con te è diverso, ma questo però non c’entra per nulla.»
Wasserman sospira e si asciuga con tutt’e due le mani gli occhi lacrimanti e stanchi. Con una vocina debole e molto affaticata prende a rispondere a Neigel. Secondo lui, pezzi che si possono togliere e rimettere a posto più tardi ci sono solo nelle macchine. Mentre invece «l’essere umano, Herr Neigel, e l’anima, e il corpo, e il cervello e il cuore, ahi, quelli non sono una macchina, a meno che uno non sia riuscito a toglier da essi una certa parte e a farli diventare una macchina. Ma che ci sia riuscito lui stesso, con le proprie mani. E riparare ciò che fu distorto, ben difficile è. In quanto che per riparare è necessaria un’anima o un essere animato, che amino quell’essere da riparare». Ma tra le macchine, dice poi, non può sussistere l’amore. E chi si è fatto macchina comincerà ben presto a constatare che tutti attorno a lui, sono fatti come lui, e quelli che sono diversi da lui non li vedrà nemmeno. O se ne vorrà liberare. [...] «Gli utensili di cui siamo armati, le nostre casseruole e pentole e scodelle, sono sempre gli stessi per tutti, ma il mondo vi mesce dentro tanti manicaretti diversi, e dunque certo lei mi dirà: macchine e automi; però abbiamo in noi anche un pizzico di qualcosa, non so come denominarlo, ed è lo sforzo. Proprio così; lo sforzo che facciamo per avvicinarci proprio a quella certa donna, o a quel certo bambino. La scintilla passeggera che palpita fra noi due, anche noi passeggeri, e che mai palpiterà uguale, proprio così uguale tra due altri, ahi, quel continuo nostro uscire da noi stessi verso l’altro. E la chiamerò “scelta”. In così rari casi ci è dato fare una scelta, e proprio per questo non dobbiamo riunziare al diritto di scelta».

[...] Secondo Wasserman era dovere di ogni essere umano rinnovare la validità morale delle proprie decisioni, nonchè la loro validità riguardo a se stesso, ogni volta che egli si trova obbligato a mettere in pratica ciò che deve essere dedotto da tali decisioni. Per dirla con le parole di Wasserman: «Ché non esiste decisione alcuna, Herr Neigel, la cui validità sia eterna, ma se lei è un uomo d’onore, come ciò che lei ha detto finora testimonia, allora di trova obbligato a prendere di nuovo quella sua decisione ogni giorno che Dio mette in terra, sempre di nuovo e dapprincipio, e ogni volta che lei sopprime qualche essere umano nel suo Campo, sì proprio così Vossignoria, ogni volta deve nuovamente formulare quella decsione con parole nuove e fresche, e porgere orecchio e sentire se davvero in quelle parole nuove palpiti il suo primitivo volere, la sua stessa voce, la vera espressione di lei medesimo. [...] Ogni giorno che Dio mette in terra, Herr Neigel. E ogni volta che sparerà un colpo di pistola per uccidere un uomo. E venticinque volte se si troverà a dover uccidere venticinque prigionieri. Una decisione e poi un’altra decisione e poi un’altra e un’altra. Ce la farà a sostenerle? Ce la farà a prometterselo e a mantenere la promessa, Herr Neigel?». E il tedesco: « Non riesco a capire perchè tu monti così la cosa. Te l’ho già detto. Rafforzerà maggiormente in me la fede nel Reich e nel compito che mi è stato affidato.»

[...] «Herr Neigel! Da sé ben comprende che fare la scelta che intendo io significa scegliere i più eccelsi valori dell’uomo. Quelli che sono solo e soltanto valori umani, umanistici. In quanto che con ciò tu, per così dire, ti ricrei di nuovo dall’inizio e ti salvi.» Neigel, con un sorriso ostinato: «E io ho scelto l’altra via. Ho scelto di uccidere. L’ho deciso! Come puoi dire che questa non è una scelta? Lo sai quanto è grande lo sforzo richiesto per decidere una cosa così?». Wasserman: «Ahi... Non si sceglie di cominciare ad assassinare, Herr Neigel. Si continua solo a farlo... e lo stesso vale per quanto riguarda il cominciare a odiare il proprio prossimo, a fargli male... si continua soltanto. Invece si deve decidere e scegliere, coscientemente, di non assassinare... di non odiare... questa è la radice della diversità, io penso...»

[...] Una sola volta Wasserman aveva confessato di avere “un bisogno spirituale di frottole”. Questo avvenne dopo che Neigel gli ebbe raccontato, su richiesta di Wasserman stesso, come aveva ucciso un uomo per la prima volta in vita sua. [...] Chiese a Neigel di continuare a raccontargli degli altri casi in cui aveva ucciso, e di cosa aveva provato. [...] Neigel si adirò molto e dichiarò che: (1) quando aveva ucciso, non aveva fatto che obbedire a un ordine ricevuto; (2) non aveva mai ammazzato nessuno per puro gusto, ma nemmeno con schifo; (3) non riusciva a capire perchè Wasserman avesse bisogno di tutto quel Quatsch mit Sosse, di tutte quelle stupidaggini al sugo. [...] «No, Herr Neigel. Non per la Letteratura! Ma per me. E per la mia consorte e per mia figlia. E poi, sulla mia stessa carne l’ho provato! Proprio così, un certo egoismo, con rispetto parlando. Per cui devo assolutamente credere che lei non ci ha ammazzati così, tanto per fare, e senza farci caso, come si estrae, fatte le debite differenze, un chiodo dal muro. Imperocché l’anima si raccapriccia, Vossignoria, ribolle e si sente offesa l’anima! E tutta la mia misera vita singhiozza a me in fronte, tutto il poco che sono riuscito a elemosinare nei brutti giorni della mia vita, tutti i timori che ho provato, e i miei complessi e le mie sciocche passioni, e il poco d’amore che ho avuto, e anche, Vossignoria mi scusi, i talenti e le virtù che mi si sono appiccicate a sé, in breve: tutta questa brutta caricatura che ha nome Anshel Wasserman, che forse è una gran fortuna che non ce ne sia un’altra pari sua a imbruttire e a offendere la faccia della terra, però, nonostante tutto, è ciò che posseggo... l’unica cosa ch’io possegga, e lei, l’anima vale a dire, non può sopportare il pensiero che ci si possa liberare di lei con un sol cenno di mano, liberarsene ci si possa con tanta indifferenza, e nemmeno i nostri nomi non ci avete chiesto prima di massacrarci, e dunque, deh, mi permetta Vossignoria un piccolo rimorso, o un morsetto di coscienza, mi permetta di attribuirle un unico pensiero pietoso, in quanto che ho tanto bisogno di questa piccola frottola, e poi, faccia pure ciò che desidera.» Neigel: «Fa’ ciò che ti par meglio, Wasserman. Ma non aspettarti che la cosa mi tocchi nemmeno un po’...».

[...] I particolari di quanto era avvenuto durante quella disgraziata licenza Wasserman venne a conoscerli solo due giorni dopo. [...] «Mi ha lasciato. Per sempre. [...] No. Non per un altro uomo. Per colpa mia. Ma se te l’ho già detto. Per colpa di quello che sono stato.» E all’improvviso si spezza la maschera dura, la faccia dell’ufficiale si contorce dal dolore, di contrae dalla troppa delusione. [...] «Lei di me non sa nulla, nulla di quello che era successo durante la Prima Guerra, e poi di quando ero nel Movimento Giovanile, e anche di qui, sì, perchè io non sono uscito dall’Inferno, no, ci sono dentro-dentro, con tutto il suo puzzo del fumo e del gas e con Stauke che mi sta addosso già da tanto tempo, e gli ucraini idioti, e i treni che vanno e vengono senza posa, ora anche di notte, e qui non si può più chiudere occhio dal rumore, e io già non so più se dirigo questo Campo o se vi sono prigionierom na quando lei mi parla attraverso le lacrime allora io dimentico tutto, dimentico il mio lavoro e il Reich, e mi calmo, così, dentro di me si fa calma, e voglio credere che io la mia guerra l’ho già conclusa, e che davvero è possibile che tutto venga cancellato e tutto cominci a essere buono. [...] E custodimmo con cura quell’attimo, e poi lei si raddrizzò e si mise a sedere rigida sul letto, e vide la mia faccia e si spaventò, e si mise una mano sulla bocca, e con una voce piena di disperazione, una vocina debole come di bambina piccola, mi chiese, hai davvero intenzione di smetterla con tutto quello, Kurt, vero? Tutto quello è già finito lì per noi due, vero? Sei tornato, Kurt, sei tornato? E io sentìì come d’un tratto tutto prorompeva da me, tutta la guerra e tutto il lavoro che facevo, e tutta quella confusione nuova che era venuta creandosi dentro di me negli ultimi tempi, e soprattutto – soprattutto la paura, sì, la paura di merda, la paura di quello che Tina voleva da me, di quello che osava chiedermi, ma cosa le era saltato in mente, ma cosa ci capiva poi lei, ma cosa avevo io a questo mondo se non il Lavoro e il Movimento, e cosa valevo a questo mjondo se... cosa sarei diventato se avessi lasciato il compito che mi era stato affidato qui... sarebbe stata per me una condanna a morte! [...] La delusione che lei provava verso di me e il disprezzo che cominciava a riempirle gli occhi, e ho visto rosso, e il sangue mi è andato alla testa, e non so cosa è successo [...] Solo tu e la tua storia mi siete restati, che catastrofe.»

 [...] Tutta la vita non è che godere qualcosa che non ci spetta, velocemente e di soppiatto, ma poi alla fine siamo tutti ricondotti, necessariamente, nei limiti del dominio di una forza ignota, severa, decisa, che ci rimerita come ci spetta, senza compassione e senza simpatia.

L’Olocausto

[...] «l’illusione ci avete tolto... l’illusione che esista un inferno... anche per questo è necessaria un’illusione, e un pizzico di non-conoscenza e di segreto, di mistero... ché solo così può la speranza mantenersi in vita, quella misera speranziella che forse dopo tutto le cose non sono poi così brutte... e sempre ci figuravamo l’Inferno, lo sa? con la lava bollente in grandi caldaie, ma poi siete venuti voi, con permesso parlando, e ci avete fatto vedere quanto povera era la nostra immaginazione».

[...] «Se era possibile fare di queste cose a esseri umani creati a immagine divina, allora era segno che al mondo non c’era più nulla nel cui nome valesse la pena di ribellarsi. E’ la risposta giusta, questa, Signore che stai nei Cieli? Che i tuoi uomini ti hanno tradito a tal punto, che l’unica punizione che siano degni di ricevere dalla mia poverella mano consiste in questo: che io non muova più nemmeno il dito mignolo per ottenere il cosiddetto privilegio di chiamarmi “uomo”? [...] Non esseri umani sono coloro che vanno qui alla morte, no, sono solo ciò che resta dell’essere umano dopo che l’hanno offeso così, dopo che gli hanno tolto se stesso e gli hanno lasciato solo lo scheletro metallico, l’armatura interna del carattere umano, ruote dentate prive d’anima, comuni a tutti, a tutti gli esseri viventi... solo questo potevamo presentare, allora, come una specie di atto di protesta ironica e misera, a quelli che ci uccidevano, proprio così, era solo il riflesso, solo la crudele immagine di loro stessi riflessa in uno specchio, in quanto non degli ebrei erano coloro che andavano qui a morire, ma degli specchi viventi, che rappresentavano in una processione malinconica e infinita, l’immagine del mondo che li produceva... e così, morendo, condannavano quel mondo, così nella loro morte, ahi, la nostra morte in massa, la nostra morte senza senso, e sarà lei, questa morte, che si rifletterà da ora in poi nell’arido deserto della vostra vita.»


Il sogno di Bruno
«Tutti noi non siamo che statue di pietra, chiusi in trappola dal momento della nascita al momento della morte, e non abbiamo speranza alcuna di salvarci dalla roccia nella quale un bravo scultore ha appena tracciato le linee del nostro essere, ma quello scultore era bravo ma non geniale, geniale ma non pietoso. E il Messia, Shlomoh, è lui che ci libera, ci fa uscire dalla trappola di pietra, ci soffia in aria come coriandoli senza peso che vagano nello spazio della piazza, e qui ci creeremo una vita nuova a ogni istante, scriveremo interi poetmi epici nel fugace incontro di due di noi, perchè già sai come  me che tutte le altre strade portano all’insuccesso, alla sconfitta e alla prigione, alla vecchia cultura malata di elefantiasi...»

«Dimmi, ti prego [...], in base a cosa credi che quei coriandoli isolati sospesi in aria vorranno poi stringere legami fra loro, conversare e creare e cosa impedirà loro di cadere giù così, sulle pietre del selciato della piazza, o di continuare a volteggiare sospesi in aria senza coscienza alcuna? Dimmelo, Bruno!» [...] «Sono tutti esseri umani  perciò – creatori. Sono condannati ad esserlo. Sono obbligati a esserlo, per loro stessa natura – obbligati a creare la propria vita, il proprio amore e il proprio odio e la propria libertà e il proprio canto; siamo tutti artisti, Bruno, e solo alcuni di noi l’hanno dimenticato, e altri preferiscono ignorarlo per una strana paura di cui non riesco a comprendere il motivo, e c’è qualcuno che se ne rende conto solo al momento della morte, e c’è qualcuno [...] che non lo comprende nemmeno allora...»
«E noi? I poeti? I pittori? I musicisti e gli scrittori?»
«Ah, caro Shlomoh, in confronto all’arte vera e naturale, la letteratura e la musica non sono che mestieri, non sono che un lavoro provvisorio di copisti, un artigianato di interpretazione superficiale, per non dire poi chiaramente: un misero plagio, un plagio privo di fantasia e di talento creativo... [...] chi uccide un uomo produce in tal modo la fine di un’arte tutta peculiare, individuale, idiosincratica, che mai più sarà possibile restaurare... un’intera mitologia, un’epoca geniale infinita... [...] In questo mondo nuovo, Shlomoh, anche la morte apparterrà esclusivamente all’uomo. E quando un uomo vorrà morire, dovrà solo sussurrare a se stesso la sua parola d’ordine intracorporea, la parola d’ordine che ha il potere di scompoprre in un istante il codice genetico della sua unica esistenza, il segreto dell’autentica essenza dell’individuo, e non ci sarà più una morte in massa, Shlomoh, come non ci sarà più una morte in massa.»

L’urlo

Dal momento in cui Bruno aveva visto il quadro Il grido nella galleria “Artus Hop”, aveva capito cos’era successo là sulla tela: la mano del pittore era scivolata. Munch non avrebbe mai osato progettare di creare una tale completezza. Avrebbe potuto solo indovinarla. Averne paura o esserne attratto. Non crearla, però, intenzionalmente. Bruno, che dipingeva e scriveva lui stesso, lo sapeva bene, purtroppo: e infatti anelava da sempre di arrivare a un giorno in cui – l’espressione è sua – il mondo avrebbe cambiato pelle, sarebbe sgusciato fuori dalle sue squame come una meravigliosa lucertola. “La superba epoca geniale”, così Bruno chiamava quel giorno avvenire. E fino ad allora, avvertiva, fino ad allora non dobbiamo mai dimenticare che le parole con cui scriviamo non sono che miseri brani di storie antichissime ed eterne; che noi tutti costruiamo case – a somiglianza di barbari – con pezzi di statue ed effigi di antichi dei, con briciole di immense mitologie. E, naturalmente ci si chiede, si è mai verificato un avvento dell’epoca superba e geniale? E a questa domanda è difficile rispondere. Anche Bruno esita. Perchè ci sono cose che non possono avvenire del tutto, fino in fondo. Sono troppo grandi per poter trovare un luogo dove avvenire. E solo provano ad avvenire, provano il terreno della realtà per vedere se le può sopportare. E subito arretrano, timorose di perdere la propria completezza in un realizzarsi incompleto. E poi restano le nostre biografie, quelle macchie bianche, segni odorosi, quelle impronte d’argento perdute dei piedi scalzi degli angeli, sparse in passi giganteschi sui nostri giorni e sulle nostre notti...

Quest’urlo arriverà molto lontano! [...] Ma perchè? [...] Forse perchè tra mille o duemila anni lo senta qualcuno, da qualche parte, in uno dei mondi lontani, in una delle galassie sperdute dell’universo, lo senta e presti finalmente attenzione a quello che succede qui, da noi, perchè forse ci hanno dimenticato... ci hanno trascurato un poco...

[...] Come mai potrà un uomo vedere tutto questo e restare in vita? [...] Abbiamo chiesto così poco: che sia possibile che un uomo viva in questo mondo tutta la sua vita, dal principio alla fine, senza mai conoscere la guerra.

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