5 febbraio
La notte era stata un inferno per te. Ma del resto ci eri abituata. Non è facile trascorrere sedici anni della tua vita, scivolando lentamente verso il basso. Ci tenevi alla tua indipendenza. Da che mi ricordo di te, lo hai sempre fatto. Hai sempre combattuto perché tu potessi fare le cose che volevi, da sola, con l’aiuto minimo indispensabile da parte degli altri, soprattutto coloro che non erano parte della tua famiglia più ristretta. Non volevi «dare fastidio». Era la cosa che odiavi di più. E per la legge del contrappasso sei finita a dipendere dagli altri, anche per le esigenze più intime, tenendo in te quella che consideravi una vergogna, alternando le richieste che ti uscivano forzate dalla bocca con uno «scusa» ed un «grazie» che ti pesavano, e non perché non volevi dirle, ma perché avresti preferito che la tua vita si fosse svolta senza essere costretta a chiedere aiuto agli altri, pesando su di loro. Molte volte ti ho detto che non era un peso, e tu fingevi di crederci con il sorriso sornione di chi la sa lunga, ma ti accontenta.
Quella notte era passata tra i lamenti, tu china sulla tua poltrona, perché oramai a letto non riuscivi più a starci, piegata in avanti, con il volto verso il pavimento, bloccata da un divano, perché avevamo paura che scivolassi piano in avanti e cadessi. Piccole cure. Piccole attenzioni, di fronte ad una situazione che era più grande di noi. Di nessuno di noi. Avevamo studiato altro nella vita. Ed eravamo stati fortunati, perché fino ad allora nessuno di noi aveva avuto bisogno di assistenza in modo così spinto. Non sapevamo né cosa fare, né quando farlo. Pur avendone la voglia.
Eravamo lì con te, ad alternarci, muovendoci al ritmo dei tuoi lamenti. Ci sentivamo impotenti, perché nulla di ciò che avessimo potuto fare avrebbe potuto darti sollievo nelle condizioni in cui eri. Ferma, sulla tua poltrona. Immobile, perché ogni movimento causava un dolore profondo. Avremmo scoperto solo quella sera che il dolore era nelle piaghe, non nelle ossa che ti avevano massacrato da anni di fitte, incurvandoti sotto il peso della malattia, incurabile.