In
questo dialogo Seneca definisce il concetto di sapiens, cui caratteristiche essenziali sono appunto la
costanza e l'imperturbabilità. Per costanza Seneca intende sia la perseveranza
del saggio nei propri giudizi e intenti nonché la coerenza tra pensiero e
azione, sia l'immutevolezza della virtù nel corso del tempo, che deve rimanere
salda e irremovibile davanti alle difficoltà che la sorte presenta;
l'imperturbabilità è invece quella proprietà del saggio di rimanere
indifferente di fronte all'"iniuria" e alla contumelia: l'"iniuria", vale a dire l'offesa, ha
come intenzione l'arrecare un danno a qualcuno; ma il saggio non può subire
alcun male, poiché dove c'è virtù non c'è male, e quindi l'offesa, pur
raggiungendolo, non lo danneggia. Il saggio non è quindi inarrivabile, ma
invincibile. La contumelia invece non è una vera e propria
offesa, è perciò meno grave, e consiste nell'assumere un comportamento che
porta disagio a un altro, il quale si sente disprezzato. Ricevere una
contumelia è quindi un 'venire disprezzato'; ma il saggio è quanto di più
simile ci sia a un Dio, se non fosse per la sua mortalità, è pertanto maggiore
di chiunque sia l'artefice della contumelia e non può certo essere disprezzato
da un essere inferiore. È così dimostrato che il 'sapiens' non può subire né
offesa né contumelia. Il saggio, infine, poiché ha riposti tutti i suoi beni in
sé e non ha lasciato nulla affidato alla fortuna, non può da essa essere
danneggiato. La fortuna infatti può portare via tutto ciò che ha donato
all'uomo; ma la virtù non è un dono della fortuna, e non può perciò essere da
essa sottratta.
Il sapiente è al sicuro. E non può essere colpito da alcuna offesa o
contumelia. [...] In realtà io non ho deciso di insignire il sapiente di un
onore immaginario fatto di parole, ma di porlo in quella condizione in cui non
sia permessa alcuna offesa contro di lui. «E che, dunque? Non ci sarà nessuno
che lo provochi, che lo aggredisca?». Nulla in natura è tanto sacro da non
trovare un sacrilego, ma non per questo gli esseri divini sono meno in alto, se
esiste chi cerchi di assalire una grandezza posto di molte oltre sé, anche se
non la toccherà; è invulnerabile non quel
non viene colpito, ma quel che non viene leso: ti presenterò un sapiente di
questo conio. E’ forse dubbio che la forza più sicura è quella che non è vinta
piuttosto che quella che non viene messa alla prova, dato che sono dubbie le
forze non sperimentate, mentre a ragione è considerata assolutamente salda
quella fermezza che respinge tutti gli attacchi? Così sappi tu che il sapiente
è di migliore qualità, se nessuna offesa gli nuoce, piuttosto che se non gliene
viene fatta nessuna; e io dirò uomo valoroso quello che non è domato dalle
guerre e non è impaurito dalla forza del nemico che si avvicina, non quello che
si gode un pingue ozio tra i popoli inoperosi. Questo, dunque, affermo: il
sapiente non è soggetto ad alcuna offesa; pertanto non importa quante frecce
siano scagliate contro di lui, dal momento che è del tutto invulnerabile. Come
la durezza di talune pietre non può essere vinta dal ferro nè il diamante può
essere tagliato o rotto o logorato, ma – per giunta – rende spuntato ciò che lo
attacca, come alcune cose non possono essere consumate dal fuoco, ma, pur
essendo circondate dalle fiamme, conservano la propria durezza e il proprio
stato, come certi scogli protesi verso il mare profondo fanno sì che questo vi
si infranga, ed essi, pur colpiti per tanti secoli, non mostrano alcun segno
della furia marina, così l’animo del sapiente è saldo e racchiude in sé tale
vigore da essere al riparo dall’offesa, come lo sono quelle cose che ho citato.
«Che dire, quindi? Non vi sarà qualcuno che tenti di recare offesa al sapiente?»
Lo tenterà, ma essa comunque non gli giungerà; dal contatto con le cose
inferiori, infatti, lo separa una distanza troppo grande perchè alcuna forza
dannosa possa far arrivare fino a lui i suoi attacchi.
La libertà non consiste nel non
patire alcunché, ci sbagliamo: la libertà consiste nell’innalzare l’animo al di
sopra delle offese e nel formare se stesso in modo tale che soltanto da sé
scaturisca tutto il bene di cui bisogna gioire, nel separare da sé le cose
esterne, affinchè non si debba condurre una vita inquieta, temendo il riso di
tutti, la lingua di tutti.
Anche se sei incalzato e oppresso
da una forza ostile, è, tuttavia una vergogna ritirarsi: difendi il posto che
la natura ti ha assegnato. Mi chiedi quale sia questo posto? Quello di uomo.
Thomas Turbato è venuto e ha letto il vostro articolo, APPROVATO!
RispondiElimina