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9 apr 2012

Anna Karenina [Lev Tolstoj]


«Mihi vindicta: ego retribuam»

«In Anna Karenina è rappresentata la colpa come ostacolo, anzi come barriera invalicabile al raggiungimento della felicità. Per questo Anna e a Vronskij non possono essere felici insieme.
Prima di incontrare Vronskij, Anna era una donna calma e lieta, che dava fiducia e pace a chiunque l’avvicinasse; ella si credeva contenta del proprio destino: la sua vita si svolgeva tranquilla nelle cure domestiche e mondane, ella aveva un figlio che amava, un marito di cui aveva stima, e non chiedeva nulla di più. Ma dopo l’incontro con Vronskij questa sua apparente sicurezza e chiarezza interiore viene meno: ella si rende conto d’improvviso del pauroso vuoto che ha intorno. [...] Tuttavia nella sua vita con Vronskij, Anna non prova rimpianto per la sua vita passata, apparentemente così felice e paga; perchè avendo oramai conosciuto l’amore, quella felicità di allora le appare artificiosa e vuota; poche ora prima di uccidersi, ella rammenta i propri rapporti con il marito, che anche quelli si chiamavano amore, rivede gli occhi spenti di lui e le mani dalle vene turchine, e ne ha un brivido di disgusto. Così Anna Karenina muore a mani vuote: ella non ha conquistato nulla, non ha capito nulla. Ma anche Vronskij, come Anna, non capisce e non conquista nulla: e quando dopo la morte di Anna parte volontario contro i Turchi, anche questo per lui non significa nulla, non è che un mezzo per sfuggire al ricordo del corpo insanguinato di Anna».

Natalia Ginzburg


Il Romanzo

«Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo».


Il romanzo inizia presentando la figura di Stepan Arkad'ič Oblonskij ("Stiva"), un ufficiale civile che ha tradito la moglie Dar'ja Aleksandrovna ("Dolly"). La vicenda di Stiva mostra la sua personalità passionale che sembra non poter essere repressa. Per questa ragione, Anna Karenina, la sorella sposata di Stiva, che vive a San Pietroburgo, viene chiamata da Stiva per persuadere Dolly a non lasciarlo. Nel frattempo, un amico di infanzia di Stiva, un serio aristocratico che vive in una tenuta che gestisce lui stesso, Konstantin Dmitrič Levin, arriva a Mosca per chiedere la mano della sorella minore di Dolly. Kitty rifiuta, poichè aspetta una proposta di matrimonio dall'ufficiale dell'esercito Aleksej Kirillovič Vronskij. Ma Vronskij si infatua di Anna ed Anna, scossa dalla propria reazione alle attenzioni di Vronskij, ritorna immediatamente a San Pietroburgo, da suo marito Aleksei Aleksandrovič Karenin, un ufficiale governativo, e da suo figlio Serëža. Vronskij, perdutamente innamorato, la segue sullo stesso treno.

A San Pietroburgo Anna cede alla propria passione per Vronskij e rimane incinta. Quando Vronskij cade da cavallo durante una gara, l'angoscia provata da Anna rende palesi i suoi sentimenti al marito, per cui si vede costretta a confessargli la relazione. Karenin, rifiutando di separarsi da Anna, la mette in una situazione molto frustrante, minacciandola di non lasciarle più vedere Serëža, nel caso se ne vada con Vronskij o commetta dei passi falsi.
Karenin inizia a trovare la situazione intollerabile e comincia a valutare la possibilità di divorziare, ma cambia idea dopo aver saputo che Anna sta morendo per complicazioni dovute al parto. Al suo capezzale, Karenin perdona Vronskij, che cerca di suicidarsi per il rimorso. Anna comunque migliora, e decide con Vronskij di partire per l'Europa, senza aver ottenuto il divorzio.

In Europa, Vronskij e Anna fanno molta fatica a trovare degli amici che li accettino, continuando a dedicarsi a passatempi, finché non tornano in Russia. Karenin è consolato e influenzato dalla contessa Lidija Ivanovna, di lui innamorata, entusiasta della religione e delle credenze mistiche di moda nelle classi sociali più elevate, che gli consiglia di tenere Serëža lontano dalla madre. Anna riesce lo stesso a fai visita al figlio il giorno del suo compleanno, ma è scoperta da Karenin, che aveva detto a Serëža che Anna era morta. Poco dopo, lei e Vronskij partono per la campagna.

Vronskij cerca di convincere Anna a chiedere il divorzio a Karenin e solo quando Vronskij parte per alcuni giorni, la noia e il sospetto convincono Anna della necessità di un matrimonio con lui: scrive a Karenin e parte con Vronskij per Mosca.

All’ennesimo rifiuto del divorzio da parte del marito, la relazione tra Anna e Vronskij inizia ad essere sempre più tesa, dominata dal risentimento provocato da un'ingiustificata ed esasperata gelosia da parte della donna. I due decidono di tornare in campagna, ma Anna, mentre Vronskij si trova fuori, in un uno stato di forte confusione e di avversione verso tutto ciò che la circonda, si suicida lanciandosi sotto un treno.

L’altra coppia che sale sul palco di questo bellissimo romanzo, Kitty e Levin, vive una esistenza parallela a quella di Anna e Vronskij, fatta di piccole cose normali, dell’accettazione della realtà di ogni giorno, delle piccole gioie e dei piccoli dolori. Eppure le pagine che toccano nel profondo, restano indiscutibilmente quelle dell’amore tormentato di Anna e Vronskij.

Stralci d’autore

Tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d’ombra e di luce.

Col tatto abituale dell’uomo di mondo, da una sola occhiata all’aspetto esteriore di questa signora Vronskij giudicò in modo certo ch’ella apparteneva all’alta società. Egli si scusò e stava per andare nella vettura, ma provò la necessità di guardarla ancora una volta, non perchè ella fosse molto bella, non per quell’eleganza e quella grazia modesta che si vedevano in tutta la sua persona, ma perchè nell’espressione del volto leggiadro, quand’ella gli era passata vicino, c’era qualcosa di particolarmente carezzevole e tenero. Quand’egli si volse a guardarla, ella pure voltò il capo. Gli scintillanti occhi grigi, che sembravano neri per le ciglia folte, si fermarono amichevolmente, con attenzione, sul volto di lui, come se ella lo riconoscesse, e immediatamente si portarono sulla folla che passava, come cercando qualcuno. In questo breve sguardo Vronskij fece a tempo a notare l’animazione rattenuta che balenava sul volto di lei e svolazzava tra gli occhi scintillanti ed il sorriso appena percettibile, che incurvava le sue labbra vermiglie. Come se un’abbondanza di qualcosa colmasse talmente il suo essere, da esprimersi all’infuori della sua volontà ora nello scintillio dello sguardo, ora nel sorriso. Ella aveva spento deliberatamente quella luce nei suoi occhi, ma essa splendeva a suo malgrado nel sorriso appena percettibile.

Ella si volse a guardarle e in quello stesso momento riconobbe il volto di Vrònskij. [...] Ma ora, nel primo attimo dell’incontro con lui, la prese un sentimento di orgoglio gioioso. Non aveva bisogno di domandare perchè egli fosse lì. Lo sapeva con altrettanta certezza come se egli le avesse detto che era lì per essere dov’era lei. «Non sapevo che foste in viaggio anche voi. Perchè siete in viaggio?» ella disse, abbassando la mano con cui stava per aggrapparsi alla colonnina. E un’incontenibile gioia e animazione splendeva sul su volto. «Perchè sono in viaggio?» egli ripeté, guardandola proprio negli occhi. «Lo sapete, sono in viaggio per essere là dove siete voi» diss’egli «non posso altrimenti». [...] Egli aveva detto proprio quello che desiderava l’anima di lei, ma che ella temeva con la sua ragione. Ella non rispondeva nulla, e sul suo volto egli vedeva la lotta.[...]                     Il senso d’irragionevole vergogna, che ella aveva provato in viaggio e l’agitazione erano scomparsi completamente. Nelle condizioni abituali di vita ella si sentiva di nuovo ferma e irreprensibile. [...] Il fuoco sembrava spento in lei o nascosto in qualche luogo lontano.

Nei primi tempi Anna credeva sinceramente d’esser malcontenta di lui perchè egli si permetteva di perseguitarla; ma poco dopo il suo ritorno da Mosca, venuta a una serata dove pensava di incontrarlo, e lui non c’era, dalla tristezza che s’impadronì di lei capì chiaramente che ingannava se stessa, che quella persecuzione non solo non le era spiacevole, ma che essa formava tutto l’interesse della sua vita.

«Non sapete forse voi che siete tutta la vita per me? Ma la tranquillità io non la conosco e non ve la posso dare. Tutto me stesso, l’amore... sì. Non posso pensare a voi e a me stesso separatamente. Voi e io per me siamo una sola cosa. E io non vedo per l’innanzi la possibilità della tranquillità, nè per me stesso, nè per voi. Io vedo la possibilità della disperazione, della sventura... o vedo la possibilità della felicità, di che felicità!... E’ forse impossibile?» egli soggiunse con le sole labbra, ma ella sentì. Ella tese tutte le forze della sua intelligenza per dir quello che bisognava; ma invece di questo ella fermò su di lui il suo sguardo pieno d’amore, e non rispose nulla. “Ecco! – egli pensava con entusiasmo – Quando io mi disperavo già e quando sembrava che non sarebbe venuta una fine, ecco! Ella mia ama. Lo confessa!”. «Allora fate questo per me, non ditemi mai queste parole, e siamo buoni amici – ella disse con le parole»  ma il suo sguardo diceva tutta un’altra cosa. «Amici non saremo, questo lo sapete da voi. E se saremo le più felici o le più infelici delle persone, questo è in poter vostro.». Ella voleva dire qualcosa, ma egli l’interruppe: «Perchè io chiedo una sola cosa: chiedo il diritto di sperare, di tormentarmi, come ora; ma se anche questo non si può, ordimnatemi di scomparire, e io scomparirò. Non mi vedrete, se la mia presenza è penosa.» «Io non voglio scacciarvi in nessun modo.» «Soltanto non cambiate nulla. Lasciate tutto come è » egli disse con voce tremante «Ecco vostro marito.» [...] «Voi, mettiamo, non avete detto nulla, io non pretendo neppure nulla – egli diceva – ma voi sapete che non è l’amicizia di cui ho bisogno, che per me è possibile una sola felicità nella vita, quella parola che amate così poco... sì, l’amore...» «L’amore – ella ripeté lentamente con una voce interiore e a un tratto, nello stesso momento in cui staccò il pizzo, soggiunse – io non amo questa parola appunto perchè essa per me ha un significato troppo grande, molto più grande di quel che voi possiate capire, - ed ella lo guardò in viso – A rivederci!»

Ella si sentiva criminosa e colpevole, che non le rimaneva se non umiliarsi e domandar perdono; e nella vita adesso, all’infuori di lui, ella non aveva nessuno, così ch rivolgeva appunto a lui la sua preghiera di essere perdonata. Ella, guardandolo, sentiva fisicamente la sua umiliazione e non poteva più dir nulla. Egli invece sentiva quel che deve sentire un assassino quando vede il corpo privato della vita da lui. Questo corpo privato della vita da lui era il loro amore, il primo periodo del loro amore. C’era qualcosa di orribile e di ripugnante nei ricordi di quello per cui era stato pagato questo terribile prezzo di vergogna. La vergogna dinanzi alla propria nudità spirituale, la soffocava e si comunicava a lui. Ma malgrado tutto l’orrore dell’assassino dinanzi al corpo, bisogna approfittare di quel che l’assassino ha acquistato con l’assassinio. E l’assassino si getta su questo corpo con rabbia, si direbbe con passioe, e lo trascina, e lo taglia; così anche lui copriva di baci il volto e le spalle di lei. Ella gli teneva una mano e non si muoveva. Sì, questi baci son quello che s’è comprato con questa vergogna. Sì, e questa mano, che sarà sempre mia, è la mano del mio complice. Ella sollevò quella mano e la baciò. Egli si abbassò sui ginocchi e voleva vederle il volto, ma ella lo nascondeva e non diceva nulla.

Egli sentiva tutto il tormento della sua situazione e di quella di lei, tutta la difficoltà in cui si trovavano, esposti com’erano agli occhi di tutta la società, di nascondere il proprio amore, mentire, ingannare, e mentire, ingannare, usare astuzia e pensare continuamente agli altri allorquando la loro passione era tanto forte, che tutt’e due dimenticavano tutto il resto, eccetto il proprio amore. [...] E per la prima volta gli venne in mente il pensiero che era indispensabile far cessare quella menzogna, e quanto più presto tanto meglio sarebbe stato.
«Sono incinta» ella disse piano e adagio. [...] Egli impallidì, volle dire qualcosa ma si fermò, lasciò andare la mano di lei e chinò il capo. «Sì, egli ha capito tutto il significato di questo avvenimento» ella pensò e gli strinse la mano con riconoscenza. [Diss’egli] «Né io  nè voi abiamo mai considerato i nostri rapporti come un giocattolo e ora la nostra sorte è decisa. E’ indispensabile por fine, - egli disse, volgendosi indietro – alla menzogna in cui viviamo». «Por fine? E come por fine, Aleksjéi?» diss’egli piano. Ella s’era calmata adesso, e il suo volto splendeva di un tenero sorriso. «Lasciare vostro marito e unire la nostra vita» «Essa è unita anche così» rispose ella appena udibilmente. «Sì, ma del tutto, del tutto [...]  come hai potuto sacrificare tutto per me? Io non posso perdonarmi che tu sia infelice.»«Io infelice? – ella disse avvicinandosi a lui e guardandolo con un entusiastico sorriso d’amore – io son come una persona affamata cui abbiamo dato da mangiare. Forse ha freddo, ha il vestito rotto, e si vergogna, ma non è infelice.[...] Devi capire che per me dal giorno che ho cominciato ad amarti tutto s’è mutato. Per me c’è una cosa sola: è il tuo amore. Se esso è mio, mi sento allora così in alto, così calda, che nulla per me può essere umiliante.»

“Il mio amore si fa sempre più appassionato ed egoistico, e il suo non fa che spegnersi, ed ecco perchè ci dividiamo, - ella seguitò a pensare. – E porvi rimedio non si può. Io ho tutto lui solo, e pretendo ch’egli mi si abbandoni sempre più. E lui sempre di più vuole allontanarsi da me. Noi ci siamo appunto andati incontro prima della relazione, e ora ci dividiamo andando irresistibilmente da parti diverse. E mutare questo non si può. [...] Se lui, senza amarmi sarà buono, tenero con me per dovere, e non ci sarà quello che io voglio, - ma è mille volte peggio perfino del risentimento! E’ un inferno! Ed è appunto così. Lui non mi ama già da un pezzo. E dove finisce l’amore, là comincia l’odio... Queste strade non le conosco affatto. [...] Noi siamo separati dalla vita, e io faccio la sua infelicità, lui la mia, e non si può rifare nè lui, nè me. Tutti i tentativi sono stati fatti, la vite s’è svitata...”

«La ragione è data all’uomo per liberarsi da quello che lo inquieta» disse in francese la signora. “Liberarsi da quello che inquieta – ripeté Anna – Sì, mi inquieta molto e la ragione è data per liberarsene; perciò bisogna liberarsene. E perchè non spegnere la candela, quando non c’è più nulla da guardare, quando fa schifo guardare tutto questo? Ma come?” E a un tratto, essendosi ricordata dell’uomo schiacciato il giorno del suo primo incontro con Vrònskij, ella capì quel che doveva fare. Dopo essere scesa con un passo veloce, leggero per i gradini che andavano dalla pompa alle rotaie, si fermò accanto al treno che le passava vicinissimo. Ella guardava il basso dei carrozzoni, le viti e le catene e le alte ruote di ghisa del primo carrozzone che scivolava lentamente e cercava di stabilire a occhio il punto di mezzo fra le ruote anteriori e le posteriori e il momento quando questo punto di mezzo sarebbe stato di fronte a lei. [...] Ed esattamente nel momento in cui il tratto di mezzo fra le ruote giunse alla sua altezza, ella gettò indietro il sacchetto rosso e con un movimento leggero, come preparandosi ad alzarsi subito, si lasciò cadere in ginocchio. E in quell’attimo stesso inorridì di quel che faceva. “Dove sono? Che faccio? Perchè?” Voleva sollevarsi piegarsi all’indietro, ma ualcosa di enorme, d’inesorabile le dette una spinta nel capo e la trascinò per la schiena. “Signore, perdonami tutto!” ella proferì, sentendo l’impossibilità della lotta. Un mužicjòk dicendo intanto qualcosa, lavorava su del ferro. E la candela con la quale ella leggeva il libro pieno di ansie, di inganni, di dolore e di male, s’infiammò d’una luce più vivida che non mai, le illuminò tutto quello che prima era nelle tenebre, scoppiettò cominciò a oscurarsi e si spense per sempre.

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