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10 giu 2010

Qualcosa di azzurro

Domenica pomeriggio

Questa è la mia camera e questa sono io.
Mi chiamo Stella, ho quindici anni e sto per fare la telefonata più importante della mia vita.
Frequento il secondo liceo linguistico. Non importa nè in quale città io mi trovi, nè se sono bella o brutta, alta o magra, stupida o intelligente. Non importa se ho un padre ricco, una madre che lavora, un fratello o una sorella. Quello che importa è che sono chiusa in camera mia in questo momento, ho una sigaretta in mano, spenta, e sto giocando con il mio cellulare. Chiamo? Non chiamo?
Sei curioso, vero? Sei curioso di sapere a chi sto per telefonare, ma non so se te lo dirò. Ho meditato su questa telefonata a lungo, per settimane, chiedendomi se faccio bene o se posso evitarlo. Alla fine ho deciso che male non fa: se non ne ricaverò nulla, andrò avanti a fare quello che ho deciso di fare, probabilmente con molta più convinzione di quanta io ne abbia ora; se sarà un successo, allora ne sarà valsa la pena.

Misery by PisikeP2takas
www.deviantart.com

Scrivo da almeno due anni. Ogni sera. Dopo cena, dopo aver fatto finta di cenare ed apprezzare ciò che mia madre si affanna a cucinare ogni giorno, mi chiudo in camera, sbattendo fuori tutto ciò che di estraneo ho intorno: la mia famiglia. Il rito ogni sera è il seguente: “Stella, vieni a cenare”, “Stella, come è andata a scuola?”, “Stella hai visto i tuoi amici?”, “Stella, ci sono novità?”. Domande. Vuote. Le domande dei miei genitori, domande di rito che mi fanno senza nemmeno aspettare una risposta. Si vede che in testa hanno in mente altro e non mi interessa nemmeno approfondire che cosa, visto che la cosa importante è che non hanno in mente me, che sono figlia loro. Forse non hanno in mente nemmeno se stessi, dato che tra di loro c’è un muro più duro di quello di Berlino, dove più che piangere bisognerebbe ridere, vedendo la loro stupidità di tenere in piedi un matrimonio solo per i figli. Ma quali figli? Quelli che non vedi nemmeno a cena? Quelli ai quali fai domande per le quali non aspetti nemmeno la risposta? Sì, ridere. A crepapelle.
Faccio finta di mangiare. Spilucco qualcosa e poi mi precipito in bagno. A fare cosa? A vomitare no? Due dita in gola, spingendo proprio in fondo, premendo un po’ sulla lingua e pensando a qualcosa di terribilmente sgradevole che possa provocare un conato di vomito. Ti si incastrano i muscoli interni nelle costole dallo sforzo, la faccia diventa rossa, le vene della fronte compaiono, gli occhi lacrimano. Quando ho finito lavo i denti, lavo la faccia, lavo per terra le macchie di cibo ancora intero e me ne vado in camera, chiudendo a chiave la porta perchè nessuno possa rompermi le scatole.

Quando ero piccola componevo un diario di frasi e ritagli di giornali. Rileggendoli oggi mi viene da sorridere al pensare di quanto forti possano essere i sentimenti di una ragazzina. Da adulto, da adolescente non ci credi più, è facile dimenticarlo. Ma rileggendo quelle pagine mi viene in mente la condizione psicologica ed emotiva esatta di quando le avevo scritte e mi rendo conto che in fondo i sentimenti non cambiano con l’età, ti spezzano il cuore lo stesso, perchè sono comunque più grandi del cuore che hai.

Poi un anno fa la svolta. Perchè ritagliare frasi non era più sufficiente ad esprimere quello che provavo e non sempre trovavo le parole giuste per tirar fuori quello che dentro non ci stava più. Così iniziai a scrivere. L’occasione fu un giro in centro dopo la scuola e una visita in cartoleria per vedere una penna che mi aveva attratto in vetrina. Vidi questo quaderno antico con la copertina nera e l’elastico. Un quaderno di quelli che usava il mio bisnonno per scrivere i suoi appunti della guerra. Mi dissi “Stella, anche tu puoi scrivere qualche appunto” e lo comprai con i soldi che mia madre mi aveva dato per il pranzo. Quaderno e penna: se devo fare qualcosa di nuovo, che sia ben augurante farlo con strumenti nuovi! Cominciai subito, su una panchina nel parco di fronte la scuola. Rimasi lì tre ore, fino alle cinque, quando mia madre mi chiamò preoccupata perchè non sapeva dove fossi. Da allora ne ho comprati uno al mese e ho già una scatola piena che nascondo sotto il letto, in una piccola cassaforte. Con il lucchetto, perchè mia madre è molto curiosa.

Adesso ho finito di scrivere. Dovrei fare questa telefonata. Pochi numeri che potrebbero cambiarmi la vita, ma non ne ho il coraggio, perchè in fondo non so cosa desiderare...

Domenica sera

Accidenti! L'accendino nella borsa!
Esco dalla mia camera e vado in ingresso.

Spero che i miei siano a dormire. Non sopporterei altre domande in questo momento. Intravedo mia madre in salone, seduta sul divano, una sigaretta in una mano e un bicchiere di Baileys nell'altra. Si è messa a bere quella stupida quando ha scoperto che mio padre la tradiva, invece di prenderlo e cavargli gli occhi.

La tradiva con tutte: la segretaria, l'ex dell'università ritrovata su Facebook, le stagiste in azienda. Mio padre è talmente idiota che si è fatto beccare anche da me, un giorno che c'era sciopero del metro e mi sono presentata in ufficio da lui perchè non sapevo come tornare a casa. Era nel suo ufficio con una ragazzina poco più grande di me, che si sbaciucchiavano nel balconcino e lui le palpava le tette. Che spettacolo deprimente! Lo piantai lì e me ne andai: la sera a casa lui aveva il viso mogio del bambino colto con le mani nella marmellata. Per lui il sesso è un po' come la Nutella: un cucchiaino ogni tanto per togliere la voglia, ma il cucchiaio varia, ogni volta è diverso.

Così mia madre rimane spesso sola la sera. Si siede lì sul divano, il suo Bailey's, la sua sigaretta, la tv spenta e aspetta che torni. Aspetta e quando arriva gli fa la stessa umiliante scenata di sempre, che conclude con il solito "Ma io prima o poi ti lascio". È umiliante, ma a lei sta bene ed è grande abbastanza per decidere fino a che punto vorrà abbassarsi. Aveva anche provato a farsi l'amante, ma da stupida qual è si è anche innamorata, mentre lui voleva solo divertirsi un pò e dopo due mesi l'ha piantata.

Adesso è lì. Stasera sembra più a terra del solito:l 'ho sentita piangere prima. Questo vuol dire che si farà un cicchetto più forte tra un pó e quando arriva papà lo picchierà sul petto per sfogarsi. Non li sopporto...

Prendo l'accendino e torno in camera. Mi butto un pò sul letto e inforco le cuffie. Red Hot Chili Pepper, Californicaton. Vai... Almeno sballo un pò con la musica.. Ho in mente ancora quella telefonata... Stamattina a scuola ho provato a parlare con Stefania del mio "progetto" e lei si è messa a ridere. Dice che non ce la farò... Mi ha fatto incazzare quella stronza, è sempre cosí superficiale. Però quando Fede l'ha lasciata è venuta da me a piangere e io non l'ho liquidata come ha fatto lei con me. Vabbè, tanto sono abituata a stare da sola...

Mio fratello ha capito che c'è qualcosa che non va. Dopo cena mi ha preso per il gomito e mi ha chiesto "Cosa stai combinando?". L'ho mandato a quel paese. Fa sempre il padre lui... Ma a me ne basta uno, che cavolo! Lui non ha i problemi che ho io: va bene a scuola, ha la fidanzata, mamma lo adora, per papà lui è il non plus ultra. Io invece sono la pecora nera e allora sono pronta a farvi vedere di cosa sono capace. Mancano solo gli ultimi dettagli per preparare il colpo grosso e poi non vi dimenticherete più di me, non mi tratterete più come la stupidotta di turno...

Ecco... Dai ci provo a chiamare. In fondo cosa vuoi che succeda? Al limite chiudo se mi fanno troppe domande o se cambio idea.. Il bello del telefono è proprio questo: non ti va più di parlare, chiudi, tasto rosso e via, mica come quando sei di fronte a uno che sbrodola parole, che devi stare lí con gli stecchini agli occhi e dire "sí" con la testa...

... Oh accidenti... squilla davvero.... Oddio ho paura! E se rintracciano la chiamata?
Click. Spento... Ci penso ancora un po', dai...
Lunedì notte

- Pronto sono Sonia. Ciao. Tu chi sei?
- Ciao
- Ciao. Come ti chiami?
- Mm diciamo Mariasole?
- “diciamo”? Va bene, se ti piace essere chiamata così ti chiamo così.
- Non so cosa dire...
- Hai voglia di raccontare o preferisci che ti faccia io domande?
- Fai tu...
- Quanti anni hai, Mariasole?
- Quindici
- Quindici? Un’età difficile, non trovi?
- Sì
- Che scuola frequenti?
- Liceo linguistico. Sono al secondo anno.
- Bello. E che lingue studi?
- Inglese, Francese e Spagnolo.
- Vai bene a scuola?
- Domanda di riserva?
- Vivi con la tua famiglia?
- Sì
- E’ una famiglia .. come si dice?.. “Allargata”?
- No no, i miei non sono separati, anche se forse sarebbe meglio che lo fossero.
- Perchè dici così? Immagino tu sappia cosa vuole dire avere genitori separati. Ci sono problemi tra di loro?
- Sì. Litigano sempre. Preferirei fossero separati, così almeno non li sento litigare.
- Giusto. E’ naturale tu abbia questo desiderio. Ma ti senti in colpa per questo motivo?
- No.. beh insomma non lo so. Sicuramente sono a disagio.
- Hai fratelli, Mariasole? Sorelle?
- Ho un fratello. Ma è come non averlo.
- Perchè?
- Vive in un mondo tutto suo, tutto perfetto. Lui è un bravo figlio, un bravo alunno, un bravo tutto. Apparentemente. Fa sempre bella figura.
- Sì, capito il tipo. E tu, invece?
- Io sono la solita sfigata. Male a scuola. Litigo con mia madre e mio padre. La pecora nera della famiglia: eccomi!
- E questo ti fa stare male, giusto?
- Più o meno
- Cosa vuol dire “più o meno”? Ti fa stare male oppure no?
- Sì, parecchio. Anche perchè io non sono così. A scuola mi sforzo ma proprio non mi interessa. Con i miei cerco di andare d’accordo ma sono talmente stupidi...
- Fai qualcosa per metterti nei loro panni e provare cosa sentono loro?
- Loro non sentono nulla, altrimenti non si comporterebbero così.
- Ma scusa, perchè si comporterebbero in modo diverso con tuo fratello?
- Perchè lui è figlio vero...
- Cosa vuol dire?
- A me hanno adottato.
- Sei una figlia adottiva?
- Sì... beh, no insomma non lo so. Da come si comportano credo di sì
- Ma scusa, ci sono i documenti no? Non hai verificato, non hai chiesto?
- Beh non contano i documenti. Conta come mi sento ed io mi sento estranea a questa famiglia, va bene?
- Guarda che non è un rimprovero... sto solo cercando di capire. Ci si può sentire estranei in una famiglia pur essendo figli legittimi e se è così non c’è nulla di anormale.
- Come non c’è nulla di “anormale”? Quando nasci in una famiglia di solito è perchè ti vogliono... a meno che tu non sia figlio di ormoni esagitati... e non mi sembra il mio caso. Ma allora perchè non mi vogliono fino in fondo e mi trattano sempre come la cretina della classe?
- Aspetta, Mariasole. Ti trattano o ti senti tu così? Cosa fanno loro? Spiegami, ho bisogno di capire.
- No, tu non hai bisogno di capire un tubo. Lo sapevo che non dovevo telefonarti. Che cavolo, da che parte stai? ‘fanculo!
Ecco gliel’ho cantata. Adesso ho la coscienza a posto. Non ha funzionato e non è colpa mia. Basta... vado avanti per la mia strada, devo pensare ai dettagli. La pagheranno...

Martedì pomeriggio

- Pronto sono Alessandra e tu?
- C’è Sonia?
- No, Sonia ci sarà domani, ma se hai bisogno puoi parlare con me.
- No, cerco lei. Chiamerò domani.

Merda... mi ero preparata tutto il discorso e lei non c’è. Stronza... ma vedrà anche lei di cosa sono capace... Sono mica la pivellina che tutti pensano che io sia. Faccio le cose in grande stavolta.. sto preparando tutto... non mi sfuggirà nulla... meglio dei botti di fine d’anno... si ricorderanno di me... ma dov’è l’accendino? Porcamiseria! Ancora nella giacca l’ho lasciato... che testa marcia che sono...
Mercoledì mattina

Cosa è questo buio? Dove mi trovo? Ho freddo, perchè ho solo questa camicia addosso? Sono scalza, i piedi stanno toccando un pavimento umido, sarà terra, si sbriciola. Mi sto lentamente abituando all’oscurità. Sono in un bosco. Non sono sicura sia nott e. Gli alberi sono alti e possenti. Le fronde sono molto fitte e non vedo che queste lunghe braccia tese verso l’alto che sembrano avere le mani aperte lì in alto, apposta per nascondere l’azzurro del cielo. Ho paura. Ho paura di tutto. Ho paura del vento che mi sfiora la pelle. Ho i capelli bagnati e quando una folata si scontra sul mio viso, il brivido dalla testa scende come una lancia sulla schiena e come un fulmine si scarica a terra. La pelle mi si è raggrinzita tutta e piccole goccioline d’umido solcano il viso e le braccia. O forse quelle sul viso sono lacrime? Ho paura di non vedere più l’azzurro del cielo. Sono rinchiusa all’aperto. Che contraddizione. Non so chi mi abbia portato qui.

Inizio a camminare nella foresta. I sassolini pungono la pelle o la solleticano a seconda che l’incavo del piede schiacci un lato appuntito o una dolce rotondità. I rami graffiano. Le foglie alleviano il dolore della camminata, ma nulla riscalda, nè il corpo, nè il cuore. All’improvviso vedo un grande sasso, un masso di circa un metro e mezzo d’altezza e sotto un piccolo fuoco. Mi avvicino. Salgo su e tendo le mani e i piedi verso il fuoco. Che strano. E’ un fuoco che non scalda. Illumina e basta.

Un rumore mi distrae. Qualcosa che sta strisciando ai miei piedi. Un brivido, stavolta di paura, mi percorre la schiena verso l’alto e quando arriva al cervello sprizza il terrore dagli occhi. Se avessi uno specchio davanti vedrei solo due occhi rosso fuoco che urlano ed una bocca ferma in un sorriso ghiacciato di orrore. Istintivamente appoggio una delle mie mani al masso, quasi per tenermi e non scivolare verso il falso fuoco dove sento qualcosa che striscia e la mia mano si appoggia su un morbido e umido pellame. Guardo inorridita e scopro di avere la mano sulla testa di un serpente dalla testa triangolare, ma la lascio lì. Sono immobile. Non devo muovermi. Il respiro rallenta sempre di più. I battiti del cuore frenano. Non sono me stessa quando la mano afferra la testa del serpente e la blocca. Porto quel trofeo davanti ai miei occhi ad una distanza di sicurezza e guardo quelle piccole fessure gialle e nere, cattive di veleno. Non so perchè, ma subito dopo, e lo racconto come se stessi vedendo un altro, davanti a me, che compie questo gesto, porto la testa del serpente sul mio polpaccio e lascio che la sua testa si scagli in avanti per mordere.

Il veleno entra in circolo. Piano. Lo sento mentre scorre nelle vene. E’ come quando bevi qualcosa di molto caldo, che senti una palla di fuoco scenderti piano nella gola, poi la senti nel petto e nel cuore finchè la sensazione di quel bollore si acquieta. Così sento come dell’alcool che inizia a viaggiare nel mio corpo. Dalla gamba verso l’alto, lo sento nella pancia, lo sento nel cuore e piano piano sale ramificandosi sul mio viso e quando arriva al cervello spegne gli occhi. Ecco, quel poco che vedevo ora non lo vedo più. Il buio torna totale, inizio a percepire le sensazioni di umido e freddo intorno a me. Mi viene naturale stendermi per terra, sopra un mucchio di foglie morbide e abbandonarmi, fino a che nel silenzio più profondo sento un trillo forte, che spacca i timpani e rimbomba nella mia testa come fossi all’interno di una campana.

Apro gli occhi. E' la sveglia che suona: sono le sei del mattino. Porca miseria era un sogno... che strano sogno però. Sono troppo tesa. Questo progetto mi sta prendendo troppo. Devo accelerare, non credo di poter resistere ancora a lungo nell’attesa, anche se sono cosciente che più curo i particolari più sono sicura di riuscire. Se non riesco ho perso la mia libertà: mi staranno tutti addosso. Se riesco invece quello che penseranno gli altri non sarà più un mio problema. Ma ora che faccio? Quella telefonata è un tarlo. E’ come un piccolo tarlo che mi chiede di darmi almeno una possibilità di non continuare. Prima che sia troppo tardi.

Prendo il cellulare. Solo stavolta, mi dico. Se non c’è basta, non provo più.

- Pronto, sono Stefano. Come ti chiami?
- Cerco Sonia.
- Come ti chiami?
- Ho detto che cerco Sonia.
- Sonia non so se viene oggi. So che ha avuto un problema a casa. Ma puoi dire a me lo stesso.
- No
- Perchè no? Dimmi almeno come ti chiami
- Stella.
- Posso passarti Melissa, se non ti va di parlare con me.
- No. Richiamerò ...magari ma anche no
- Stella? Non chiudere aspetta...

Click. Ma chi si credono di essere? Solo perchè li ho chiamati pensano di essere padroni della mia vita! Tanto non ci riuscite a farmi cambiare idea, io ho già deciso.

Mercoledì sera

Dove sono finite le mie lacrime? Hanno rappreso di sè una pagina di diario o sono in fondo ad un cuore che non è più capace di nessuna emozione? Cosa c’è che non va in me? Perchè sono qui rinchiusa in una stanza invece di essere fuori, con un mondo che alla mia età deve essere ai miei piedi invece che schiacciarmi con il suo peso? Dove sono i miei genitori che mi hanno difeso fino ad oggi da questo peso, che mi hanno messo sotto una cupola d’oro dove tutto risplende e dove tutto si rispecchia in me per farmi sorridere? Dov’è la mia infanzia, nella quale ero la bambina che aveva sempre il sorriso sulle labbra, che per ogni cosa che scopriva faceva risplendere i suoi occhi? Sono la stessa o sono un’altra? Più grande, più goffa, in un corpo che non sento più il mio, che è da adulta mentre io adulta non mi sento, perchè sono in quella strada a metà tra un giardino pieno di giochi ed una foresta dove la strada devi cercartela tu?
Dio mio, cosa sto facendo? E’ giusto rinunciare a questa vita? Pillola dopo pillola sto inghiottendo la mia vita. Cosa mi sta succedendo dentro? Formule chimiche si stanno mescolando e stanno reagendo. Chimica.. questa sconosciuta... o la chimica delle emozioni, come quando vidi Seba per la prima volta e... altro che chimica.. fu una reazione nucleare che nemmeno la fisica può spiegare... Seba... chissà dove sei adesso tu. Ho la mia bottiglietta d’acqua e sto inghiottendo una dopo l’altra queste pasticche che ho trovato nel mobiletto dei medicinali di mia madre. Chissà cosa penserebbe mia madre se sapesse che sto utilizzando quella bottiglietta che lei ogni giorno mi ficca nello zaino la mattina quando vado a scuola “Non si sa mai ti viene sete” e chissà cosa penserebbe mia madre se sapesse che sto spulciando ad una ad una le sue pasticche, quelle che “Dio come sono depressa adesso mi tiro su di morale”. Chissà... metterebbe fuori la sua morale cristiana e direbbe “No, Stella. Un suicidio non è da persone per bene. Solo gli stupidi e gli ignoranti lo fanno. Non pensarci nemmeno. Cosa dirà poi la gente? Dirà che ero una madre degenere... vuoi che la gente pensi questo di me?” Ma chi cazzo ti fila, mà... nemmeno papà ti fila più. Sei una drogata tra alcool e pasticche e non te ne rendi conto. Hai una figlia che vuole morire perchè non ha più nulla intorno, tutta terra bruciata. E tu ti preoccupi di quello che pensa la gente... già. La forma, il pensiero e non la sostanza.. il fenomeno e il noumeno.. non ho ancora studiato filosofia ma Kant lo conosco, sai? Non hai una figlia stupida.. no davvero. Chiusa in questa stanza mi sono bevuta milioni di lettere di testi di filosofia perchè avevo sete di trovare una ragione, una sola ragione per la quale avrei dovuto sopravvivere a te e a mio padre, a voi due che quando vi incontrate non fate in tempo nemmeno a dirvi ciao che iniziate a litigare.
La vita è bella? Forse. Non dalle mie parti. Non ho amici. Nemmeno mio fratello che fa tanto l’amicone è riuscito a dirmi una sola frase per farmi capire che capiva. Mi sfiora e mi dice “Hai qualcosa che non va” mentre mette le cuffie e se anche gli rispondessi non sentirebbe. Non ho più nemmeno un ragazzo: Seba è andato. E’ arrivata quella più carina di terza e lui si è volatilizzato nel giro di un secondo. Merda! Da sola che faccio? Non ho proprio più volta di andare avanti e poi perchè dovrei? Cosa mi aspetta dietro l’angolo? Nulla. Butto giù dieci pillole tutte insieme, chissà se esplode la pancia.
Mi chiedo perchè non sento nulla... dovrei iniziare a sentire qualcosa, la voglia di vomitare o cosa... ma forse l’effetto non è più cominciato... sono curiosa... ho deciso: tengo un diario minuto per minuto. Chissà che post-mortem non riesca a pubblicare un libro: Diario di Morte di un’adolescente suicida. Quando le Stelle cadono, no no aspetta... Stella cadente. Bello! Devo scriverlo il titolo, così se lo pubblicano non avranno il coraggio di cambiarlo. Sì mi piace: Stella cadente... che scrivo? Di solito in queste occasioni si scrivono gli addii alle persone che contano di più e io a chi scrivo? Mamma: no, non me la sento di vomitarle addosso quello che è davvero per me. E pensare che da bambina io l’adoravo. Passavo i pomeriggi interi abbracciata a lei mentre mi leggeva le favole. Chissà dove sono quelle due, una mamma ancora felice ed una bambina che credeva ancora che le fate svolazzassero in giro a fare divertire la gente. No, niente saluti. Perchè lo faccio? Perchè di sì. Punto.
Merda ma chi cazzo è al telefono? Numero privato... odio i numeri privati.. no, vabbè rispondo:
- Chi è?
- Stella?
- Chi sei?
- Sono Sonia
- Sonia chi?
- Sonia, Telefono Azzurro. So che mi hai cercato in questi giorni. Mi spiace che tu non mi abbia trovata. Così ho pensato di chiamarti io.
- Che vuoi? Come hai il mio numero?
- Abbiamo la possibilità di rintracciare le chiamate. Dopo che hai chiamato stamattina hanno rintracciato il numero e mi hanno telefonato. Erano allarmati dal tono di voce. E’ precipitata la situazione?
- Oh bella. Cosa vuol dire “precipitata” e poi di quale situazione parli? Io sto benissimo.
- Mi sembravi un po’ giù l’ultima volta, Mariasole o Stella come vuoi chiamarti? La situazione dei tuoi, tuo fratello...
- Ma ti ricordi?
- Certo. Perchè non dovrei?
- Boh, non so. Pensavo che con tutte le telefonate che ricevete vi passassero un po’ così...
- No, Stella. Sono qui, ti ascolto.
- Cosa devo dirti?
- Come stai?
- Ah... sto a letto e mi sto impasticcando... va bene? Non ti aspettavi di sentirlo dire, vero? Hai fatto in tempo a chiamare... tra un’ora o due non mi avresti più potuto parlare...
- Stella, cosa vuol dire “impasticcando”? Stai prendendo droghe?
- E che ne so? Sto buttando giù le pasticche di mia madre. Se fanno bene a lei fanno bene anche a me.
- Non è una cosa intelligente.
- Ah no? E ti sembra intelligente quello che stanno facendo a me?
- Cosa ti stanno facendo?
- Mi stanno facendo vivere. Non ho uno scopo. Non ho amore intorno a me. Non ho nessuno. Sono queste condizioni nelle quali uno può vivere? Vorrei vedere te...
- Ci sono passata, cosa ti credi?
- Ah sì? Quanti anni hai? Secondo me hai una famiglia, un marito che ti adora, dei figli piccoli e fai questo lavoro per tenerti a posto la coscienza, vero?
- No. Stella ho diciannove anni e alla tua età ho tentato il suicidio.
- Stupida... hai fallito...
- Ne sono contenta. Non è stato facile uscirne. Ho dovuto lottare contro i miei familiari, contro quelli che si spacciavano per miei amici. Sono restata in ospedale per mesi. Non me ne fregava nulla, ho tentato altre due volte il suicidio.
- E poi?
- E poi un giorno in ospedale non c’era posto in un reparto ed è arrivato nel letto affianco al mio una bambina di dieci anni. Era completamente calva. Non parlava. Sembrava non reagire agli stimoli più banali. La cosa strana era che quando i suoi genitori andavano via, i suoi occhi giravano per la stanza e mi cercavano. Sembrava quasi cercare la mia presenza. Io all’inizio ero un po’ presa dai miei problemi e non ci avevo fatto caso. Poi credo fosse il quarto giorno la cosa iniziò a sembrarmi strana e mi avvicinai a lei. Beh, quel giorno io vidi il sorriso più bello fatto con gli occhi che io abbia mai visto.
- Bella storia, sto piangendo.. guarda come scendono le lacrime.
- Stella, non è questo sarcasmo che ti aiuta... sai, il giorno dopo quella bambina è morta e quel sorriso mi è rimasto dentro ed è stata la forza che mi ha fatto uscire dal tunnel nel quale ero e mi ha spinto a venire qui.
- Vuoi salvarmi! Lo avevo letto... aspetta... sì, l’atteggiamento tipico dell’Io-ti-salverò che spinge alcune donne... mio Dio...
- Stella cosa c’è....
- Sto vomitando sangue, che cazzo sta succedendo...
- Stella cosa hai preso?
- Che cazzo ne so... non vedo bene, la vista mi si è offuscata... mio Dio Sonia ti prego aiutami non voglio morire aiutami cazzo, aiutami dimmi cosa devo fare
- Dove abiti?
- In via De Amicis
- Che numero?
- Al 5
- Che città Stella, che città?
- Milano, sto male... ho dei crampi pazzeschi allo stomaco... aiutami
- Stella, stai sveglia.... non chiudere gli occhi per nessun motivo. Ora dimmi. C’è qualcuno in casa?
- Non lo so... prima sì, ma non so, non so se sono usciti, magari dormono, non si sente nulla
- Stella, riesci a uscire dalla tua camera?
- No, sono chiusa a chiave. Non ce la faccio, sono sul letto. Continuo a vomitare sangue, credo... perchè non vedo...
- Stella? Stella? Stella mi senti?
- Si
- Stella devi riuscire a aprire la porta e cercare aiuto, ce la devi fare. Stella, Stella per favore mi senti?

Adesso non so dove mi trovo, ma è buio. Ho freddo. C’è una luce in fondo. Una luce azzurra. Una luce forte e azzurra. Sto aprendo gli occhi. C’è qualcuno vicino a me, qualcuno che mi sta tenendo la mano. E’ una mano calda. Vedo una ciocca bionda, degli occhi azzurri. Eh... magari sono morta, ce l’ho fatta e ho davanti un angelo....
- Ciao Stella. Bentornata. Sono Sonia...
- Sonia... avevo ragione a chiedere proprio di te...

Telefono Azzurro

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