Archivio Blog

Cerca nel blog

30 lug 2010

La porta chiusa

Le otto



Ero stato troppo concentrato con gli occhi sul video e distolsi lo sguardo puntandolo verso l’ago della piazza, perchè mi avevano detto che per riposare la vista si deve guardare più in là che puoi. Devo dire che la vista che si apre dalla mia finestra è piuttosto bella: l’intera piazza Cadorna, con il suo verde che sbuca spaurito tra il cemento e quei colori imbizzarriti di un ago che trafigge l’asfalto per sbucare qualche metro più in là, portandosi dietro il filo, a lode dell’operosità dei milanesi e simbolo della moda che trova in Milano una delle capitali più ricche. Il traffico alle otto di sera in piena estate non c’è. Quella mattina ero andato in ufficio in moto perchè sapevo che avrei fatto tardi. Sentivo che era giù nel cortile e se avesse potuto mi avrebbe chiamato con un suo rombo già da qualche ora, per la voglia di sgommare verso casa.
Sono un amministratore delegato di un’importante società. Alla mia età, trentasei anni, è una bella conquista, maturata certo per le mie capacità, delle quali tuttavia non amo vantarmi se non quando sono davanti allo specchio, nelle occasioni in cui ho qualcosa da festeggiare, ma aiutata anche dall’ambiente nel quale sono sempre vissuto fin da piccolo, quell’ambiente “chiuso” dell’élite romana delle persone che “contano”. Non è colpa mia se sono nato in quella che si chiama la “Roma bene” e sarebbe stato davvero stupido da parte mia non approfittarne.



Ci sono però dei momenti in cui vorrei essere un uomo normale. Un uomo che la mattina si sveglia, decide se farsi la barba o meno - perchè si può permettere per un giorno di essere più trasandato del solito -, bacia la moglie quando esce di casa per accompagnare i figli a scuola, si prende un caffè al bar di fronte la scuola con le mamme ed i papà dei compagni dei figli e poi se ne va a lavorare tranquillo in metro, attraversando tutta la città perduto in una cuffia di un I-pod o in pagine di giornale che sanno di carta appena stampata.


A me questo è negato, anche se di solito non me ne lamento perchè ammetto che molte persone, in fondo, vorrebbero prendere il mio posto. Però io la mattina esco alle sei e mezza di casa, qualche volta con l’autista se ho bisogno della macchina, e vado in ufficio, prendo il primo caffè della mattina nella cucina privata e mi siedo alla scrivania dove inizio a guardare le notizie e l’andamento dei mercati. La mia segretaria arriva alle otto e mezza, mi porta un altro caffè e mi aggiorna sugli impegni della giornata, che vola fino alle otto di sera, quando mi ritrovo di nuovo solo nel mio ufficio, a guardare lo stesso grafico sul terminale, solo un po’ più alto o più basso del solito. Quello che sta in mezzo tra un punto di un grafico ed un altro è una giornata piena di impegni ad alto livello, decisioni che devi prendere velocemente senza sbagliare, ascolto delle lamentele dei collaboratori che devono sempre giustificare perchè non fanno quello che dovrebbero e numeri, numeri, numeri...


Quel mercoledì era trascorso esattamente come il giorno prima e come mi aspettavo che trascorresse il giorno seguente. Daphne, la mia segretaria, era andata a casa presto perchè il figlio aveva la febbre ed io non avevo battuto ciglio, nonostante la motivazione mi fosse sembrata una scusa in piena regola, stanti i 40° che buttavano umido appena fuori dal vetro della mia finestra. Del resto è efficiente e fa quello che deve fare. E’ anche carina, ma questo è un dettaglio che non mi interessa, visto che ho una moglie stupenda ed una famiglia che adoro.


L’aria condizionata aveva fatto le bizze tutto il giorno e sembrava non funzionare più. Non potendo aprire le finestre, che erano sigillate come nella maggior parte degli edifici con finestre a tutto vetro costruiti negli anni settanta, iniziai a slacciarmi la cravatta e allargarmi il collo della camicia. E’ proprio vero che la giacca e la cravatta sono uno dei motivi per i quali un uomo deve guadagnare più di una donna che fa lo stesso mestiere allo stesso livello: una donna non sopporta questo supplizio d’estate, avendo mille alternative per svestirsi rimanendo elegante.


Era trascorsa circa un’ora ed il caldo non mollava. Ero deciso ad alzarmi per aprire la porta quando una telefonata mi bloccò alla scrivania. Era l’amministratore delegato della Capogruppo che voleva discutere i risultati dell’ultimo semestre e avere le previsioni a fine anno: non potevo nemmeno azzardarmi a chiedergli di aspettarmi un momento e mi incatenai letteralmente alla sedia per evitare di fare ciò che avrebbe potuto anche farmi saltare la carriera: mettere il telefono a viva voce ed allontanarmi giusto il tempo per andare ad aprire la porta per fare passare un po’ d’aria.


Numeri, numeri, numeri. Avevo davanti a me l’ultimo rapporto del Marketing che cercavo di recitare senza far capire al mio interlocutore che stavo semplicemente leggendo. Ero stato previdente, ben sapendo che quella telefonata era nell’aria e avrebbe potuto funzionare come una ghigliottina se non avessi saputo rispondere, a circa otto mesi dal mio insediamento come amministratore delegato. Per fortuna Daphne mi aveva lasciato una bottiglia d’acqua sulla scrivania prima di uscire ed anche se oramai calda come un mare dei Caraibi, ne ingurgitai tre bicchieri approfittando di un momento in cui il mio interlocutore aveva un eccesso di loquacità e stava spettegolando sull’ultimo cocktail a Roma con alcuni rappresentanti del Governo.


Erano circa le dieci meno un quarto quando riuscii ad appoggiare la cornetta sulla scrivania. Bevvi un altro sorso di acqua in ebollizione, chiamai mia moglie e la congedai con un velocissimo “Arrivo”, sperando di trovare refrigerio sulla mia Ducati Monster. Spensi il computer, raccolsi le piccole cianfrusaglie che di solito appoggiavo sulla scrivania e andai verso la porta. La mia mano si appoggiò alla maniglia per aprirla e rimasi stupito quando la mia forza non sortì nessun effetto su di essa: era chiusa, inequivocabilmente. E dall’esterno.


Le dieci


Mi misi istintivamente le mani in tasca, come se la soluzione di quel pasticcio fosse tutta lì, in una tasca del pantalone dove senza pensarci avevo potuto buttare le chiavi della porta una volta chiusa. Quando avrei dovuto averla chiusa, se non mi ero mosso dalla scrivania praticamente dalle cinque e l’ultima persona che aveva chiuso la porta era stata Daphne, prima di andare via, quando mi aveva portato l’acqua?


No, era assurdo... – pensavo mentre camminavo impaziente per la stanza - non poteva essere vero. Doveva essersi incastrata la serratura o qualcosa del genere, perchè a mia memoria nessuno, me compreso, aveva chiuso la porta a chiave. Tornai verso la porta, riappoggiai la mia mano sulla maniglia e poi con decisione la rispinsi verso l’esterno, quasi come se la porta dovesse ora aprirsi per la sola volontà che avevo io di farlo. Nulla. Le tirai un calcio ed il vetro tremò.


Mi sedetti un attimo sul divanetto per raccogliere le idee e decidere cosa fare. E’ vero che di solito la chiave della porta era proprio all’esterno dell’ufficio, perchè così era semplice per Daphne chiudere tutto per sicurezza. Ma stasera non era andata così... Dopo l’uscita di Daphne non era salito nessuno, perchè non avevo sentito rumori fuori dalla porta. Solo l’ascensore era continuato a andare e venire per i piani, come al solito. E allora perchè non riuscivo a mettere il naso fuori da quella maledetta stanza dove la temperatura stava inspiegabilmente salendo?


Mi fiondai alla scrivania e alzai la cornetta per chiamare la reception. Qualcuno doveva pur esserci. Mi stavo convincendo che Daphne uscendo dalla stanza avesse chiuso la porta a chiave semplicemente per abitudine. Magari era un po’ preoccupata per il figlio. Forse il figlio era davvero ammalato e lei aveva la testa da qualche altra parte, così quando si era tirata la porta dietro le era venuto assolutamente naturale dare le due mandate di sicurezza e mettere la chiave al solito posto dove ci eravamo accordati di lasciarla: nel folder dei suoi documenti personali. No, non stava in piedi. Avrei fatto caso al rumore di mandate se fosse stata Daphne. Ma porca miseria! Avrei fatto caso al rumore di mandate per chiunque fosse stato. Oppure ero talmente intento nel mio lavoro che non vi avevo prestato attenzione.


“Maledizione. Speriamo ci sia qualcuno alla reception!” Lo squillo mi entrava nella testa e mi bucava il cervello. “Dai rispondi.... forza, che stai facendo? Proprio adesso dovevi allontanarti... Accidenti! E’ vero... la reception dopo le sei chiude... Beh però alla guardiola ci deve essere qualcuno, lì la sicurezza è sempre presente, me lo ha detto Giovanni l’altro giorno quando gli ho chiesto se dovevo avvisare qualcuno per il fatto che avrei lavorato tutto il weekend fino a tardi. Lui è responsabile dei Servizi Generali, lo sa... E il numero? Porca miseria, ho spento il PC...” e pigiai il bottone dell’accensione del PC e dei video, mentre il caldo si faceva sempre più pesante: era arrivato il momento di togliermi la cravatta.


Mentre il PC partiva decisi di chiamare mia moglie per avvisarla del contrattempo. Presi il cellulare, composi il numero e attesi. Attesi invano perchè il cellulare era muto. Guardai il display e vidi che non c’era connessione. “Che tempestività!” mi venne da pensare e scaraventai il cellulare sulla scrivania. Inserii la mia utenza e la mia password ed attesi il completamento della procedura di registrazione. Fremevo sulla sedia, mi giravo un po’ a destra e un po’ a sinistra dondolandomi sulle cinque razze a norma di legge e sorridevo di un sorriso nervoso, mentre copiose gocce di sudore imperlavano il viso e scendevano verso il collo della camicia, oramai quasi del tutto bagnato. Aprii la Intranet e cercai sulla rubrica “Reception”: c’era il numero che avevo appena chiamato al quale non aveva risposto nessuno. Cercai ancora e alla fine trovai il numero sotto “Guardiola esterna”. 2-7579. Composi l’interno e mi rasserenai quando lo sentii squillare. Squillava. Squillava. Continuava a squillare ma nessuno rispondeva.


Composi il numero di casa. Se il blackberry era fuori come cellulare, dal fisso sarei riuscito a fare qualcosa. Squillava. Squillava. Ma dove sei Christine? Ti ho parlato due minuti fa... Cazzo non ne va dritta nemmeno una..”. Cercai il numero di Giovanni sul cellulare e provai a comporlo dal telefono fisso. Squillava. Squillava. Nessuno. Ero isolato dal mondo, pur apparentemente collegato da tutte le tecnologie. “E ora che faccio?” – pensai, ed alla fine decisi di mandare una email a Giovanni: visto che ne avevo appena ricevuta una, forse quello era l’unico modo per comunicare. Giovanni mi avrebbe detto cosa fare... magari sarebbe venuto lui ad aprirmi, visto che abitava a dieci minuti dall’ufficio.


Ripresi il blackberry dal tavolo dove lo avevo scaraventato, aprii l’icona della posta e selezionai “Componi e-mail”. A: Giovanni D’Antonio giovanni.dantonio@it.fundnet.com Subject: urgente – come esco di qui? Testo: sono chiuso a chiave nel mio ufficio. La chiave deve essere fuori. Forse Daphne mi ha chiuso dentro. La reception e la guardiola esterna non rispondono. Dal cellulare non riesco a chiamare. Dal fisso qualunque numero compongo squilla a vuoto. Fammi uscire di qui o ti salta il bonus di quest’anno! Invia.. “forza, dai manda... manda... manda... mi sa che stanotte la passo qui e me ne fregherebbe relativamente se solo non facesse così caldo... ‘fanculo!”. Se non fosse che le finestre di vetro erano sigillate e il blackberry rimaneva uno dei potenziali strumenti per comunicare con l’esterno, lo avrei già catapultato dal settimo piano.


Mi sedetti alla scrivania. Scivolai lentamente sulla sedia. Guardai la bottiglia di acqua: era l’unica cosa che poteva servirmi, pur nel suo bollore. Dovevo averne la massima considerazione visto che faceva molto caldo e avrei dovuto passare tutta la notte lì dentro. Era a più della metà, tre o quattro bicchieri in tutto. Oramai erano le dieci e un quarto e avevo circa dieci ore o poco meno da passare lì dentro. Un bicchiere ogni tre ore. Nulla di più... Lo sguardo si alzò sul video. C’era una strana finestra sul terminale. Io avevo aperto solo la rubrica, ma ora appariva un editor di testi. Che strano, forse lo avevo aperto involontariamente. Afferrai il mouse e cercai il puntatore, ma impiegai circa cinque secondi a realizzare che esso non stava seguendo i movimenti che io facevo con il mouse, come se ci fosse qualcun altro che lo stesse manovrando in modo del tutto diverso rispetto a me. Chi poteva essere? L’occhio rullò verso il basso a destra del terminale, dove c’era un’icona in particolare che brillava, la stessa che avevo visto una volta aprirsi quando avevo avuto un problema ed era intervenuto il supporto tecnico. Era un meccanismo diabolico per il quale da non so quale remota postazione qualcuno poteva collegarsi al mio computer e dirigerlo come se fosse alla mia scrivania, sulla mia tastiera, con il mio mouse. Era qualcosa di simile che stava accadendo. Qualcuno aveva preso il controllo del mio PC, aveva aperto l’editor e proprio ora che io avevo gli occhi incollati sullo schermo aveva iniziato a scrivere: “SEI SOLO!”


Afferrai il mouse e lo portai sull’editor dove scrissi “Chi sei?” e come in una seduta spiritica dove lettera per lettera il fantasma ti svela i suoi segreti ed i segreti dell’altromondo, lessi “Non ti interessa nè chi sono, nè perchè sono qui. Ti interessa solo sapere che sei solo”. Non potevo accettare di essere trattato così. Non io. Scrissi con la baldanza di un eroe pronto a sfidare il cattivo: “Ci sei tu, mi sembra! Ma sei talmente vigliacco che non esci fuori. Mi hai chiuso tu qui dentro?”. L’unica risposta fu: “Ti serve a poco questo coraggio. Tieni le tue forze per dopo. Ne avrai bisogno”. Non ebbi nemmeno letto la fine del messaggio che la finestra dell’editor si chiuse e l’icona smise di brillare. “Dove sei, figlio di puttana? Vieni fuori” urlai ai muri, con la rabbia dell’impotenza che mi esplodeva dentro. Afferrai nuovamente il telefono e cercai di chiamare casa. Squilli a vuoto. Presi il blackberry e realizzai che l’email inviata a Giovanni non era stata inviata. Tornai verso la porta e la spinsi con la forza della disperazione, ma senza successo. Mi accasciai sul divano, con lo sguardo fisso al soffitto, cercando di pensare ad un’alternativa per non morire lessato in quella gabbia di vetro.


Mezzanotte meno un quarto


Dovevo essermi appisolato per circa mezz’ora. Quando aprii gli occhi il primo istinto fu quello di afferrare il cellulare, vedere se l’email era partita e cercare di fare una telefonata dal fisso o dal mobile. Nulla. Guardai lo schermo del PC soffermandomi sull’icona e vidi che brillava. Come se ci fosse una telecamera puntata sui miei movimenti, si aprì una finestra con un editor e il mio amico tornò alla carica. “Bentornato”. “Non mi hai ancora detto chi sei” scrissi. “Non ti interessa. Adesso segui i miei ordini”. “Tu sei pazzo. Gli ordini qui dentro li do’ io, fammi uscire, poi parliamo”. L’editor si chiuse. Avevo giocato troppo duro forse, pur essendo dalla parte sbagliata.


Iniziai a sentire un odore molto particolare, come di etere. Non capivo da dove giungesse, ma poi mi avvicinai alle bocchette dell’aria e sentii che proveniva da lì ed apparentemente non c’era modo di chiuderle. Mi precipitai verso l’armadio libreria e iniziai a prendere i libri più grossi, ponendoli piano piano sopra le bocchette, in modo tale che non potessero sparare nulla dentro il mio ufficio, o quanto meno in modo tale da impedire che facesse più danni.


Avevo appena finito di chiudere tutte le bocchette quando un beep del cellulare mi fece sobbalzare. Finalmente! Lo presi e aprii l’icona degli sms. Un sms da un numero privato, strano... di solito solo sulle chiamate è possibile nascondere il numero del chiamante. Qui invece su un SMS il numero non appariva. Lessi più e più volte quello che c’era scritto: “L'uomo a cui è dato soffrire più degli altri, è degno di soffrire più degli altri. Gabriele d’Annunzio” Che cosa vuol dire? Ma chi sarà... Istintivamente andai al terminale del mio PC e come mi aspettavo, un editor era aperto: “Hai letto il mio sms?” “Sì, cosa vuoi?” “Rispondi solo a quello che ti chiedo. Non prendere iniziative. Hai letto il mio sms?” “Sì” “Bene, ora siediti. Ti sottoporrò piano piano dei quiz e delle prove che dimostreranno se davvero vali al posto che occupi. Se li supererai, entro le sei di mattina sarai fuori da qui. Se non li supererai, domattina alle otto e mezza la tua bella segretaria sarà disoccupata. Siamo d’accordo?” “Sei tu che decidi” “Come si dice nel nostro ambiente? Deal done, giusto?” “Deal done”. Dunque era qualcuno del mondo della finanza, perchè non sono sicuro che questa espressione sia nota o usata con tale familiarità al di fuori. “Sono pronto” aggiunsi.


Mi si aprì un file, con dentro una serie di fogli di calcolo. Sembrava abbastanza complesso, ma non sapevo cosa farci. Guardai l’editor e il mio interlocutore iniziò a scrivere: “Bene, adesso dovrai spiegarmi come è fatto questo foglio e qual è il suo obiettivo. Il foglio è costruito soltanto su formule, non ci sono macro o altri pezzi programmati. Ammetti che in questo ho avuto pietà di te.” “Grazie. Quanto tempo ho?” “Alle due ci rivediamo su questa finestra. Io nel frattempo proverò a riposare un po’, se non ti dispiace...” “Posso avere da bere?” “No. Mi spiace” . La finestra si chiuse e l’icona smise di brillare.


Un foglio di calcolo. Formule... non doveva essere poi così difficile. In fondo fino ad una decina di anni prima io ci mangiavo a colazione, pranzo e cena con le formule. “Sì,” cercai di convincermi, “sarà uno scherzo!”. Uno scherzo un po’ più complicato del previsto. Iniziai dal primo foglio, ogni colonna era una formula diversa che rinviava a celle di altri fogli, formule che conoscevo bene e formule per le quali dovevo aprire l’HELP per capire di cosa si trattasse, ma alla fine trovai il filo che legava i singoli fogli e l’obiettivo. Era l’una e mezza quando razionalizzai l’ultimo nesso tra formule. Ero pronto a dare una risposta al mio sequestratore. Dovevo solo aspettare che si facesse vivo. Forse avrei potuto anche io dormire un po’, così, sempre lì seduto alla scrivania, chiusi gli occhi e sprofondai in un sogno che incuteva terrore non più della realtà. Quando mi svegliai, guardai l’orologio: le due e mezza e la finestra brillava “Hai perso tempo. Mezz’ora in meno sulla seconda prova. Peccato!” Nemmeno il tempo e l’opportunità di scrivere cosa avevo scoperto. Non gli interessava che fosse giusto o sbagliato. Voleva solo farmi perdere tempo... o forse mi aveva seguito passo passo? Non ricordavo se l’icona del collegamento remoto avesse ripreso a brillare oppure no... La gola arsa reclamava un po’ d’acqua e mi concessi un goccio di quella brodaglia che giaceva in bottiglia sulla mia scrivania.


Le quattro


Mi ero di nuovo appisolato. La sveglia arrivò per uno di quegli strani beep che fuoriescono dal computer quando c’è un errore. Mi alzai dal divano sul quale mi ero sistemato e andai a leggere quello che il mio sequestratore mi aveva scritto. “Seconda prova: prepara una presentazione con indicato almeno tre motivi per i quali dovrei farti uscire dalla tua stanza”. “Ma che cavolo!” pensai “Questo come caspita ragiona e cosa sta cercando di fare? Sarà un’altra prova per la quale non gliene fregherà nulla del risultato?”. Completamente a terra per la sensazione assurda di impotenza che impermeava ogni centimetro della mia pelle e del mio cervello, mi sedetti alla scrivania e cercai l’icona del Powerpoint. Non lo sapevo usare e questo era più che plausibile, visto che, dato il mio ruolo, ero più abituato a guardare le presentazioni dei miei collaboratori e quelle poche che facevo io erano preparate in modo più che sapiente da Daphne. Dunque... prima di passare a scrivere ragioniamo su cosa scrivere... Tre motivazioni per uscire di qui: facile... sono l’amministratore delegato di questa azienda, ho una famiglia che mi aspetta a casa e... la terza? Accidenti la terza? Vabbè, inizio a scrivere queste due.


Cercai come fare ad inserire del testo e iniziai a digitare: “1. Sono l’amministratore delegato di questa azienda e qualcuno si accorgerà ben presto che non sono da nessuna parte. Farmi uscire di qui sarebbe il minimo, considerato che posso comunque ripagarti con un lavoro o del denaro”. Mm... bene... questo potrebbe iniziare a scioglierlo, se sta cercando soldi... “2. Sono un marito ed un padre. Mia moglie mi sta aspettando a casa e potrebbe preoccuparsi molto, anzi sicuramente sarà già preoccupata perchè molte ore fa le avevo indicato che stavo uscendo dal lavoro”. Mm... questo dovrebbe scioglierlo se ha un cuore... e adesso cosa sta scrivendo? ... “GIA’ DA QUESTO SI VEDE QUANTO TU TENGA ALLA TUA CARRIERA PIU’ CHE ALLA FAMIGLIA E QUANTO TU MIRI AD USARE IL TUO RUOLO PER PLAGIARE LE PERSONE. QUESTE DUE MOTIVAZIONI NON SONO SUFFICIENTI. LA TERZA DOVRA’ ESSERE DECISIVA E NON IN AMBITO CON LE PRIME DUE”


Qualcosa in me si rivoltò e scrissi: “Sei un uomo davvero sorprendente. Sei un uomo senza scrupoli e senza paura. Non ho mai trovato nessuno che mi tratti in questo modo, da pari, pur non essendolo a tutti gli effetti. Ma... in realtà forse ti risulta facile da verme quale sei sentirti mio pari dopo avermi chiuso qui dentro senza possibilità di uscita”


“Verme? Tu non hai idea di chi sia io e di cosa possa fare. Faccio finta di non avere letto. Aspetto il tuo terzo motivo. Entro le cinque e mezza. E ti conviene che sia valido...”


Un terzo motivo. Non deve essere nè di lavoro nè personale, per non essere in ambito. Ma a quale altra sfera posso puntare? Religiosa certo che no! Nonostante a volte la posizione che ho in quest’azienda mi faccia sentire un dio... dunque? Porca miseria, no, non la troverei nemmeno in un giorno. Non ho idee. Il vuoto assoluto e ho solo un’ora più o meno per poter trovare qualcosa che mi possa portare fuori di lì.


Devo essere decisamente inguardabile... che situazione buffa.. pensa se adesso entrasse Daphne, ora che sono qui con indosso solo un paio di boxer... Penserebbe che sono sexy queste gocce di sudore che lambiscono il mio corpo, come non mi capita nemmeno dopo un’ora di sport intensa? Da che ora non bevo? Tre ore forse... e davanti a me ho solo quella brodaglia buona a farci una doccia tiepida... Sto perdendo liquidi. Nel giro di qualche ora comincerò a risentire di questa situazione. Per fortuna almeno non ho fame.. è talmente alto il nervosismo e poi, forse sto fumando un po’ troppo... mm vediamo... una sigaretta ogni dieci minuti.. devo darmi una regolata visto che non c’è ricambio d’aria... Porca miseria... Terzo motivo... la mente non la sento tanto lucida... devo riuscirci.. vediamo un po’... è uno psicopatico, sicuramente, perchè una persona normale non ti rinchiude in una stanza in questo modo. Uno psicopatico tecnologico, perchè non è da tutti bloccare il telefono fisso e il cellulare e mettersi a scrivere sul tuo computer con la mano invisibile. Uno psicopatico tecnologico che ti fa domande di lavoro, perchè ha un excel complicato dove ci sono i calcoli di base per capire lo stato economico di un’azienda... Poi ti chiede tre motivi per uscire dalla stanza e tu ne butti giù solo due, quelli che ti vengono in mente così, senza pensarci... e lui risponde che si capisce da quello quali sono le tue priorità e poi te ne chiede un terzo che non sia in rapporto con i primi due.. accidenti... sarà un motivo che riguarda lui, ecco cosa è... come faccio a scoprire qual è il suo interesse? Perchè mi tiene qui? Cosa si aspetta? Sicuramente nè soldi nè onore. E’ qualcos’altro, una forma di vendetta spirituale... Accidenti! Ho trovato! Perchè non ci ho pensato prima...


Le sette


Fumavo l’ennesima sigaretta. Il posacenere non ne teneva più e così buttavo direttamente la cenere e le cicche nel cestino di alluminio. Avevo scritto da circa due ore e mezza il terzo motivo e il mio sequestratore non si era fatto ancora vivo. Ero rimasto sveglio tutto il tempo, nonostante il caldo e la stanchezza premevano per sopraffarmi, appositamente per vedere la sua reazione, indovinare un sorriso trionfale negli occhi e godermi la mia uscita trionfale all’aria aperta.


E invece nulla. L’icona in basso non si illuminava. Il terminale era fermo, in attesa che io, soltanto io, digitassi qualcosa e intorno non si muoveva nulla, nessun rumore sospetto, nessun immagine umana dietro il vetro. Ero solo. Ero spossato. Provai di nuovo a comporre dei numeri sulla tastiera ma nulla: il blackberry non trasmetteva, il telefono fisso rispondeva con il solito tutu ad ogni chiamata che facessi, persino quella del mio interno che era evidentemente occupato. Mi accasciai sulla poltrona e pensai che in fondo avrei dovuto aspettare soltanto un’altra ora e mezza per uscire da quell’inferno di cristallo nel quale qualcuno che mi conosceva - ma non si era dato pena di presentarsi – mi aveva relegato dalla sera prima. Accesi un’altra sigaretta e avevo appena finito la prima boccata che sentii l’ascensore fermarsi al piano. “C’è qualcuno! Finalmente.... era ora”. Dopo nemmeno cinque minuti vidi un’ombra colorata di azzurro dietro la porta dell’ufficio. Subito dopo la chiave girò nella toppa e la signora Paula entrò nel mio ufficio sorprendosi della confusione, della puzza di fumo, chiuso e sudore che c’era dentro.


- Mio Señor! Que haces.. oh mi scusi signore, ma cosa ci fa lei qui e cosa è tutto questo disordine?
- Metta a posto, Paula, poi le spiegherò. Grazie!


Mi precipitai giù. Avevo un estremo bisogno di respirare aria pulita e fresca. Saltai i tornelli e uscii dal palazzo, sbirciando nella guardiola dove Antonio dormicchiava.


- Antonio, da che ora sei qui?
- Eh oh? Mi scusi Dottore?
- Da che ora sei qui ti ho chiesto?
- Da ieri sera Dottore.
- E perchè non mi hai risposto quando ti ho chiamato? Sono rimasto chiuso nel mio ufficio tutta la notte...
- Maronna che disgrazia! Giuro Dottò che non mi sono mosso di qui se non per andare a fare i controlli ai soliti orari
- Si va bene va bene, ti sei addormentato?
- Dottò, è vero, non ci crede?
- Beh ti credo e dimmi.Oltre a me, hai visto qualcuno qui dentro?
- No Dottò. Nessuno fino a stamattina quando è arrivata l’impresa di pulizie. Ho aperto apposta per loro. Nessuno che fosse stato dentro avrebbe potuto uscire prima delle sette.
- Lo so...
- Mi spiace Dottò, ma come è potuto succedere?
- Nulla nulla. Chiamami D’Antonio per favore. Digli che se non arriva nel giro di mezz’ora è licenziato.
- Subito Dottò!
- Io vado a prendermi un caffè un po’ d’acqua al bar.
- Certo Dottò, c’ha ragione...
- E non darmi ragione... la ragione si dà ai fessi, non te l’ha insegnato tua madre?
- Sì dottò... cioè...
- Va bene Antonio, va bene. Sto scherzando... Chiamami D’Antonio, ci vediamo dopo.


Dunque apparentemente non c’era nessuno nell’edificio. O forse chi mi aveva fatto quello stupido scherzo era rimasto tutta notte dentro. Accidenti! Presi il blackberry che mi ero trascinato dietro e mentre aspettavo il caffè chiamai mia moglie per chiederle come mai non mi avesse fatto cercare.


- Ciao Christine!
- Ah, eccoti qui... allora finito la notte al lavoro?
- Tu che ne sai?
- Come che ne so.. mi hai mandato un sms che il tuo capo ti ha chiesto di preparargli una presentazione con i risultati del semestre e quindi ti fermavi in ufficio tutta notte?!
- Non ti ho mandato nessun sms del genere... – dissi mordendomi le labbra
- Sei tutto scemo stamattina? Dai, come è andata?
- Nulla, poi ti racconto. Ci vediamo più tardi. Oggi torno presto
- Voglio sperare... tesoro Ciao!
- Ciao


Anche questo... ma come si è preso il permesso di scrivere sms per conto mio, entrare nella mia vita in questo modo, rinchiudermi in una stanza con il rischio di farmi soffocare? Chi caspita era e come aveva fatto? Uscii dal bar e tornai verso l’ufficio. D’Antonio aveva fatto prima del previsto. Si vede che le mie minacce a volte sono prese proprio sul serio... Gli raccontai quello che era successo e salimmo nel mio ufficio, dove Paula aveva velocemente ripulito tutto, spruzzando in giro un po’ di quel profumo di violette che fagocitava la puzza di fumo quando esageravo con le sigarette. Daphne arrivò qualche istante dopo e mi salutò ignara:


- Buongiorno Dottore. Tutto bene stamattina?


Andai verso di lei e appoggiai le mani alla sua scrivania. Dovevo avere gli occhi rossi di rabbia e quasi la bava alla bocca perchè lei mi guardò terrorizzata mentre le chiedevo:


- Daphne, risponda, mi ha per caso chiuso a chiave nella mia stanza ieri sera?
- Dottore, ma che dice? Si ricorda che sono andata via presto ieri per via del bambino...
- Lo so. Me lo ricordo, ma io sono rimasto chiuso a chiave dall’esterno in quella stanza, con i telefoni ed il cellulare che non funzionavano e porca miseria qualcuno deve pure aver fatto girare quelle maledette chiavi! – il tono di voce era cresciuto in modo allarmante al punto che D’Antonio mi portò via rassicurando Daphne e ci chiudemmo nel mio ufficio.
- Ascolta, non puoi reagire così. Adesso te lo troviamo il colpevole...
- Guarda qui... guarda qui per favore. E’ ancora qui la schermata con le tre.... oddio, ha risposto? Guarda... ho scritto come terza motivazione “C O N O S C E R T I” e lui ha risposto, ma quando? Quando sono sceso non lo aveva fatto e Antonio mi ha detto che non c’era nessuno?!
- Stai tranquillo. Appena arrivano quelli della Sicurezza Informatica guardiamo il tuo computer a fondo e vediamo chi è stato. Li ho appena chiamati. Stai tranquillo che lo troviamo quel figlio di puttana, lo troviamo. Mi gioco il posto, guarda...
- Fossi in te lo non lo farei. E’ proprio un bastardo... hai letto cosa ha scritto? “MI CONOSCI GIA’... SONO LA TUA COSCIENZA”


Le undici


- Allora D’Antonio, cosa hai scoperto?
- Ti presento Pisacane, il nostro Commissario Montalbano.
- Salve. Allora ha scoperto qualcosa?
- Dottore, non c’è stato nulla di anomalo nella rete e sui nostri server stanotte.
- Come cazzo è possibile? State dicendo che mi sono sognato tutto?
- Dottore, abbiamo analizzato tutto il traffico di rete, gli accessi al suo PC, i file temporanei ed altre amenità tecniche che non le racconto. Il suo PC non è stato acceduto da remoto. Vede, era praticamente impossibile perchè il filo della rete qui nell’hub di piano era addirittura staccato e l’armadio dell’hub è chiuso a chiave dalle quattro di ieri pomeriggio. I tecnici della rete vanno via alle cinque circa e lasciano di solito le chiavi depositate giù in guardiola: ho controllato e Antonio ha detto che sono sempre state lì. Quindi non era proprio possibile che al suo PC si collegasse qualcuno, non ha nemmeno il wireless...
- Stai dicendo che me lo sono sognato... stanotte sono rimasto qui e ho avuto degli incubi, uno dietro l’altro... e le telefonate? Il blackberry?
- Il blackberry ha continuato a funzionare per tutto il tempo dottore. Abbiamo il report della società telefonica che ci ha mandato il log di stanotte. Il suo cellulare è rimasto reperibile nella stessa cella tutta notte. Non ha fatto telefonate, ma ha inviato un sms, al numero 335 5678..
- Sì, chiaro, l’sms che mia moglie dice di avere ricevuto... e i telefoni interni?
- La centrale telefonica non ha registrato anomalie. Dal suo telefono non sono partite telefonate stanotte dottore.
- Andatevene... andatevene, cosa fate ancora qui? E se vi azzardate a dire in giro questa storia vi mando in filiale a caricare i bancomat, d’accordo?


Non poteva essere stato un sogno. Io avevo davvero vissuto quell’incubo e il mio sequestratore aveva fatto di tutto per nascondere le sue tracce. Era in gamba, sì... quasi da assumere al posto di quel... come si chiama? Pisacane? della sicurezza... Va bene, devo arrendermi all’evidenza...


In quell’istante, in quel breve istante che l’occhio si abbassò verso la scrivania vidi l’icona brillare ed una dopo l’altra si composero le lettere sullo schermo: “H O V I N T O. T O R N E R O’ ” . Stavo giusto per richiamare Pisacane quando e nemmeno dopo due secondi, il tempo di leggerle, la finestra si chiuse e l’icona smise di brillare. Che fare? Richiamare quei due barbagianni che mi avrebbero preso in giro con tutta la società? L’Amministratore Delegato ha le visioni notturne... me li vedo già i sorrisetti ironici della gente mentre passo, le donne che pensano “Poveretto, e pensare che è un bell’uomo, intelligente ed ha una bella famiglia... Pensa alla moglie!” e gli uomini che ridacchiano tra di loro dicendo “Se per essere un Amministratore Delegato devi avere visioni notturne allora anche io lo posso fare”... No basta così... Mi alzai, presi la mia roba e mi diressi verso Daphne.


- Daphne vado a casa. Sono stanco. Mi scusi per prima. Non ci sono per nessuno. Ci vediamo domattina
- Certo Dottore. Le annullo tutti gli appuntamenti.
- Brava. E vai a casa prima...
- Sì, tornerò...
- Come hai detto, scusa?
- Sì, tornerò a casa prima.
- Certo, certo. Brava. Scusa per prima... Arrivederci.
- Arrivederci Dottore. Mi saluti la signora.


Salii sulla moto e cercai più volte di accendere il motore. Non funzionava e non avevo voglia di mettermi a fare il meccanico. Mi recai alla guardiola e chiesi a Antonio di chiamarmi un taxi.


- Roma 6 in cinque minuti Dottò. Bravo, ha deciso di andarsene a casa... Bella idea, così si riposa... Ecco, guardi Dottò è già arrivato il taxi. Prego...


Aprii la portiera e mi sedetti nel Mercedes. Non vedevo il volto del mio autista, ma non importava. Gli comunicai il mio indirizzo e lui partì. Fu solo dopo circa dieci minuti che mi accorsi che non mi stava portando a casa e lo apostrofai:


- Ma lei conosce Milano? Non si va di qui per...
- Lo so. Ma non può lasciarmi così dopo una notte passata insieme, vero dottore?
- Come? Scusi? – biascicai – una notte passata insieme?


Una risata diabolica. Questa è l’unica cosa che ricordavo al mio risveglio in ospedale. Mia moglie mi era seduta accanto, con un fazzoletto evidentemente fradicio di lacrime. Mi chiese se ricordavo qualcosa dell’incidente in moto e io dissi che non avevo preso la moto, stavo andando in taxi, Roma 6, quello che mi aveva chiamato Antonio dalla guardiola. Mia moglie mi guardò e scoppiò a piangere. Poi guardò il medico, si alzò ed uscì dalla stanza.


Mi piazzarono una serie di elettrodi sulla testa e li tennero lì a lungo. Poi arrivò un altro medico e i due si consultarono. Sentii termini come schizofrenia, epilessia... non capivo. Io non avevo sognato, non mi stavo inventando tutto, ma lì loro rappresentavano il potere e nei loro camici bianchi emisero una sentenza di morte.


Ora sono qui. La mia camera è bellissima. Non vedo più l’ago di Cadorna, ma ho un bellissimo parco di fronte a me, con il Naviglio che scorre. Nelle belle giornate in primavera o in estate vedo molta gente che si attarda in bici o a piedi a fare lunghe passeggiate. Io no, preferisco stare qui, nella mia stanza, davanti al mio computer. Aspetto. Aspetto che torni. Da quel giorno non si è più fatto vivo, ma io so che tornerà. Dal giorno in cui è entrato nel mio computer in ufficio mi ha relegato nel fondo delle mie paure, mi ha isolato dalla mia vita, dalla mia casa, dalla mia famiglia, dal mio lavoro. Ma io non me lo sono inventato come quegli stupidi camici bianchi hanno insinuato, come mia moglie ha creduto, guardandomi con quello sguardo di commiserazione misto a pietà che non dimenticherò mai. Lui c’è, da qualche parte, lo sento. Vive dei miei pensieri, li cattura mentre li penso, se ne appropria, li fa vivere e se ne ciba. Io lo aspetto. Sono qui apposta per parlargli, per chiedergli solo “perchè”, perchè a me, perchè ora. Ero amministratore delegato di un’importante società. Alla mia età, trentasei anni, era una bella conquista, maturata certo per le mie capacità, delle quali tuttavia non amavo vantarmi se non quando ero davanti allo specchio, nelle occasioni in cui avevo qualcosa da festeggiare. Ora non lo sono più, non ho più uno specchio nè occasioni da festeggiare. Non ho più famiglia, nè lavoro, ma solo gente strana che mi gira intorno, ognuna chiusa nel suo mondo. Non sono pazzo, anche se qui tutti lo pensano e anche se tutto lo fa supporre. Ma resto qui, in attesa di dimostrarlo al mondo, per riappropriarmi della mia vita. Io lo aspetto... so che tornerà e allora nell’attesa non posso fare altro che guardare il mio computer, sbirciando lì in basso a destra, quella piccola icona rossa e verde. Prima o poi, lo so, brillerà.

Nessun commento:

Posta un commento