Archivio Blog

Cerca nel blog

20 nov 2011

Il segreto di Peter Pan


Sono una persona normale, con un lavoro normale, una famiglia normale.

Eppure non è vero che la normalità appiattisce i sogni. Basta saper cogliere nella normalità lo straordinario, quando accade.

Capitolo 1 – Quello strano punto verde sul viola del tramonto

L’aereo si apprestava al decollo, fermo sulla pista con i motori roboanti.

Il mio naso era schiacciato contro il finestrino. E’ incredibile quanto fascino abbia per me l’aereo, ogni volta che lo prendo. L’idea che basti abbassare una piccola leva per volare mi tiene attaccata a quel piccolo pezzo di vetro posto tra me ed il cielo, per inquadrare nella mia memoria l’istante in cui qualche non precisato comandante abbassa la cloche (o la alza?) e si impenna verso il cielo.

Domenica scorsa ero in aereo. L’aereo viaggiava già tra le nuvole ed io non riuscivo a staccare gli occhi dal paesaggio che si figurava fuori. Un mare tempestoso di nuvole, in movimento con le sue onde fatte di piccole gocce d’acqua e a partire da un punto lontano nell’orizzonte i sette colori dell’arcobaleno partivano verso il blu dell’universo, uno dopo l’altro, come la citazione di un dizionario che spiega cosa sia davvero un arcobaleno: rosso, arancione, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto. E poi il blu profondo della notte. Non avevo mai visto tramonto più bello di quello e la mia mente si fondeva nei vari colori, associando un pensiero a ciascuno di essi.

«Rosso». La passione. Quanti amori vissuti, quanti amori sognati, quanti amori persi.
«Arancione». La cartella della scuola elementare. Quella rettangolare con il bordo arrotondato verso il manico, le cinghie dietro per portarla a spalla.
«Giallo». La luce. Le mattine d’estate che si colorano presto di una immensa luminosità che regala calore e gioia. Le passeggiate in pineta, con i raggi che iniziano a riscaldarti la pelle per poi bruciarti a mezzogiorno.
«Verde». I prati. I prati inglesi, con le immense distese sulle quali correre a perdifiato finchè non ce la fai più.
«Azzurro». Il cielo sopra il mare, il cielo sopra le montagne innevate. L’acqua perfetta che ti scivola sulla pelle regalandoti un brivido intenso.
«Indaco». Il mondo oltre i cinque sensi. L’essenza del pensiero, della immaginazione, della fantasia. Il voler volare senza paura di cadere.
«Viola». L’inizio dei colori. La fine dei colori. Tutto ciò che si trasforma, cresce, ti avvolge e ti trascina via.
«Verde»? Cosa ci fa un punto verde sul viola?
Cercai di aprire gli occhi per vedere meglio quel piccolo punto verde che sfrecciava sullo sfondo dell’arcobaleno? “Un momento, sto sognando?”


L’assistente di volo mi interruppe in quel momento: «Vuole qualcosa da bere?». La guardai senza rispondere e voltai di nuovo lo sguardo verso il cielo. Stavo per dire qualcosa quando di nuovo la mia attenzione fu attratta all’interno dell’aereo: «Vuole qualcosa da bere?». Sì... ho visto qualcosa fuori... «Sì. Un po’ di acqua frizzante, grazie.» «Salatini o biscotti?» «Salatini, grazie.»

Quando girai lo sguardo ancora verso l’esterno, l’arcobaleno era sparito nel blu della notte. Una soffice strada di nuvole che sembrava una pista da sci galleggiava nel cielo e sotto luci di qualche paese lontano migliaia di chilometri più sotto. Doveva essere stato uno scherzo di luce o un riflesso dall’interno. Provai a guardare i miei compagni di viaggio, ma nessuno vestiva di verde... Ah! Che sciocca... Ma sì, doveva essere stato il riflesso del vestito della hostess...

«Il comandante informa che stiamo iniziando la discesa verso Londra. La temperatura al suolo è di 14°C ed il tempo è leggermente nuvoloso. Alitalia ringrazia per averci scelto e si augura di avervi di nuovo a bordo».

Tornai con lo sguardo fuori. Potevo intuire dall’alto le classiche case inglesi, tanti piccoli cubi uno affianco all’altro, con tanto giardino intorno. Man mano che ci avvicinavamo alla città i cubi diventavano sempre più stretti l’uno all’altro e sempre meno verde intorno. Da quanto tempo mancavo da Londra? Almeno quindici anni, pensai, dall’ultima volta: avevo il pancione! E almeno trent’anni dalla penultima: la migliore gioventù.
Un tunnel lungo e passaggi mobili mi condussero attraverso vari controlli all’esterno dell’aeroporto. Mi infilai in un taxi e cominciò la corsa verso Londra e la rincorsa nella memoria. Che belle quelle case strette l’una accanto all’altra, con i portici bianchi con tre o quattro scalini davanti, le scalette per andare giù in cantina, le finestre a quadretti bianchi, gli ampi spazi delle sale, le cabine telefoniche rosse, gli autobus a due piani, i taxi neri con i quattro sedili dietro – posti due rivolti nel senso di marcia e due verso il senso opposto, i rondò all’incontrario, i marciapiedi contornati da «Look Left» e «Look Right» per avvisare i turisti distratti, i poliziotti con la divisa nera ed il manganello, le bombette in testa a qualche sperduto inglese d’altri tempi, i visi dai lineamenti sottili e la pelle pallida, contornati da capelli biondissimi e fini.

W l’Inghilterra. 50 pound. Scendo  dal taxi, sbrigo le pratiche del check-in in albergo e mi fiondo in camera stanca.

Capitolo 2 – Peter Pan?


La camera dell'albergo era piccola, ma sufficiente per me sola. Avevo disfatto le valigie e mi ero immersa in una doccia bollente per scacciare via la stanchezza di una domenica passata a preparare cibi pronti per la famiglia, da consumare in mia assenza.

L'acqua era scivolata dolce sul mio corpo all'inizio. Poi con la pressione di un dito sul soffione aveva incominciato a picchiare duro sulla pelle, sgocciolando nel tubo di scarico le tensioni e la solitudine.

Mi ero asciugata, incremata e mi ero infine stesa nel letto sotto un caldo e soffice piumone, a fare un po' di zapping tra le televisioni inglesi. Niente di nuovo, notavo, rispetto a quelle italiane: politica, economia, Il Grande Fratello.

Ero appena approdata sulla versione di King Kong in lingua originale, quando un insistente picchiettio sul vetro mi costrinse a scuotermi dal torpore per alzarmi a controllare cosa fosse.

Scostai prima le tende pesanti di cotone grigio e poi quelle leggere bianche e feci un balzo all'indietro con il cuore che iniziava a battere forte, quando vidi due occhietti piccoli e vivaci guardarmi dall'altro lato del vetro. Cercai di non farmi prendere dal panico e misi a fuoco quello che contornava i vispi globi, saldamente puntati contro di me.

Era un omino piccolo e verde che gesticolava e dopo un primo momento in cui la sorpresa era riuscita a spalancare la mia bocca e bloccare ogni articolazione, il cervello riprese prontamente possesso delle mie gambe e mi riavvicinai alla finestra. Era bloccata, con una scatolina rettangolare sulla quale spiccava una lucina rossa accesa, che mi fece pensare ad un allarme.
-        Non posso aprirla! - mimai con le labbra e subito dopo aver pronunciato queste parole l'omino mi guiardò perplesso. Mi resi conto di essere a Londra. Forse non aveva capito? Ripetetti: - I can't open it. It's blocked. There's an alarm here - e feci segno verso la scatolina.

Io non so come fece, ma mi ritrovai in camera quell'omino. Volò come impazzito per tutta la stanza, come cercasse qualcosa e poi si fermò davanti al mio naso, galleggiando nell'aria. Mi guardò dritto negli occhi per qualche secondo e poi mi disse:
-        Non sei ancora pronta?

Di cose strane nella mia vita ne ho viste, ma questa la superava di gran lunga. Mi spinsi nel mio pensiero ripetendomi "Svegliati, svegliati" ma lui mi interruppe:
-        Oh allora, sbrigati!
Balbettai.
-        Ma... Tu... Tu... Tu sei...
-        Ce la puoi fare... - disse lui ridendo ai miei goffi tentativi di parlare - Va bene, sei visibilmente in difficoltà. Sì, sono Peter Pan.

Già. Peter Pan. Quell'esserino volante che vive all'Isola-Che-Non-C'è e perde la sua ombra perchè Trilli la nasconde nei cassetti di una cameretta da bimbi in casa Darling.
-        Non può essere! - gli dissi razionalmente - Tu... Tu non puoi esistere! Sei una favola...
-        Sono una "favola" vero? - mi disse facendo una piroetta su se stesso - e sono qui in carne e ossa. Dài, toccami! - mi sfidò - Su, avanti, non aver paura...

Paura? Toccare Peter Pan? Stavo evidentemente sognando, eppure la televisione era accesa, il letto disfatto, la camera... No, non stavo sognando.
-        Eddài. Toccami... Sono R-E-A-L-E.

Il mio dito segui il suo invito come se avesse una coscienza propria. Si levò verso di lui e gli toccai quel buffo cappello verde con la punta in avanti e la piuma rossa dietro. Era davvero R-E-A-L-E. Potevo sentirne il velluto sotto la mia pelle. Così spostai il dito verso la sua guancia e glielo passai come se volessi accarezzarlo.
-        Hey vacci piano piccola... - mi disse - potresti innamorarti di me...

Mi sedetti sul letto. Sconfitta. Lui mi svolazzò intorno ed io lo seguii con lo sguardo. Alla fine si fermò di nuovo davanti ai miei occhi.
-        Tu sei Peter Pan?
-        Oh, ci sei arrivata finalmente... Perchè è sempre difficile con voi farvi credere alle favole?
-        "Voi"?
-        Sì, voi umani. Siete così pieni di realtà che non credete più a nulla... Allora, sei pronta? Vieni con questa camicia da notte o ti metti qualcosa di più comodo?
-        Vi... Vieni dove? E "comodo" pe... Per cosa?
-        "Vieni dove"? "Comodo per cosa"? Ah....devo proprio spiegarti tutto... Sei stata selezionata tra i turisti in viaggio a Londra per fare un viaggio straordinario all'Isola che non c'è.... Ti ho visto sull'aereo... Non ricordi?
-        Sull'aereo?
-        Senti un po'... Sei capace di tuoi pensieri o ripeti solo quello che dico io?
-        Ma.... Eri tu quel puntino verde sull'arcobaleno?
-        Siiiiii.... Vedi, mi hai visto! Vengo bene sullo sfondo dell'arcobaleno, vero?
-        Oh My God! - mi lasciai prendere dallo spirito anglosassone. - perchè io? E perchè dovrei accettare? E perchè dovrei fidarmi di te? E perchè...?
-        Oh quanti perchè..... Stai diventando noiosa.... Adesso ascoltami, pensa a qualcosa di bello...
Detto questo volò sulla mia mano, la prese e mi fece alzare. Con l'altra spruzzò in aria polvere dorata e non so se fui io a rimpicciolirmi o lui ad ingrandirsi, e non chiedetemi come fu,  ma alla fine mi trovai appena fuori dalla finestra, grande quanto lui, a galleggiare nella fresca aria di Londra, mentre il Big Ben tuonava la mezzanotte.

Capitolo 3 – L’Isola-Che-Non-C’è


Guardai in basso e subito lo stomaco mi volò in bocca. La mia camera era al quinto piano dell’albergo e sotto di me avevo... il vuoto.
-        Peter... – sussurrai.
-        Non aver paura... – disse e mi prese per mano, puntando l’altra verso il cielo. Mi ritrovai nel giro di qualche secondo ben sopra il palazzo dell’albergo, con una splendida vista sul quartiere di Bloomsbury.
-        Devo prima farti vedere una cosa... poi andiamo, ok?
-        Eh? – fu l’unica cosa che riuscii a dire, con gli occhi incollati al suolo, dove la città sembrava estendersi senza confini, piena di piccoli punti luminosi che scorrevano su lunghi viali illuminati.

Non era vero. Non poteva essere vero... Eppure era Londra, ed io ci stavo volando sopra.
-        Peter guarda! Il British Museum... quella cupola verdognola è il British Museum e là... guarda là, quella è l’università... l’ho vista sulla piantina mentre venivo a Londra... e quello deve essere Regent’s Park... l’Inner Circle... avevo pensato di andarci... Oh mio Dio, ma quanto alto stiamo volando?
-        Hai visto che bello? Non hai più paura, eh?
-        No... non credo... e quel parco?
-        Hyde Park...
-        Già... ma dove mi stai portando?
-        Volevo farti vedere una cosa...
-        Sì, ma cosa?
-        Sei curiosa eh? Siamo arrivati... – disse iniziando la discesa verso il prato.
-        Hyde Park? Volevi portarmi qui, Peter?
-        Più o meno...

Ci sospendemmo a qualche metro dal suolo. Eravamo incredibilmente piccoli ed il mondo mi sembrava enorme. Gli alberi intorno sembravano giganti buoni e il piccolo laghetto che si estendeva sotto di noi mi sembrava un oceano.
-        Dove siamo, Peter?
-        Siamo ai Giardini di Kensington. Volevo che tu sapessi dove ho passato la mia infanzia nel Mondo-Che-C’è...
-        Eh? Il mondo cosa?
-        Il Mondo-Che-C’è, sì, insomma... prima di andare all’Isola-Che-Non-C’è.
-        Tu... vuoi dire che tu hai avuto una infanzia “vera”? Non può essere... tu... tu sei un personaggio di Berrie... lui ti ha inventato... com’è possibile?
-        Sì. Vivevo qui... Ero molto piccolo... parlavo il linguaggio degli uccelli e delle fate... Mi chiamavano “L’uccellino bianco”. Ho un ricordo molto vago, però questo posto è l’unico posto reale dove posso rifugiarmi, quando sono triste.
-        Non ti capisco, Peter... sei l’emblema dell’allegria, della voglia di giocare, di divertirsi. L’eterno ragazzo... perchè sei triste?

Non mi rispose. Mi afferrò con una mano e con l’altra spruzzò in aria altra polvere dorata. Gli chiesi:
-        Ma questa è la...
-        Sì... polvere di fata... quella che ci permetterà di volare. Vieniiii.....

Ancora su in alto, stavolta verso Est, verso i giardini di Buckingham Palace, il Tamigi, con le sue acque brune e fredde, e infine Westminster e il Big Ben.

Era come se si fosse liberato qualcosa dentro di me. Come se tutta la pesantezza dell’essere adulto fosse rimasta nella camera d’albergo. Mi riempiva la gioia e l’allegria, mi sentivo Wendy che vola insieme a Peter Pan e come nel film che avevo visto tante volte, alla fine una spinta verso l’alto ci portò nel cielo stellato e ancora più su, fino a che sotto di me non vidi un’isola verde circondata da un mare azzurro, una baia con una barca dei pirati e iniziai a sentire cori ubriachi e voci urlanti di bambini.

« Seconda stella a destra:
questo è il cammino
e poi dritto
fino al mattino.
Non ti puoi sbagliare perché
quella è l'isola che non c'è »

Dall’alto potevo vedere fiumi e cascate, giardini e boschi immensi, pieni di piante ed alberi giganteschi. Il mare era una piatta distesa blu ed il sole illuminava questo paesaggio fiabesco. Fatevo ancora fatica a credere ai miei occhi, ma alla fine non m’importava se fosse realtà o sogno... in fondo, lo stavo vivendo comunque e tutto mi regalava una sensazione di felicità, che sembrava essere rimasta a lungo sopita in me.

-        Dimmi che non sto sognando, Peter... – gli dissi.
-        Certo che non stai sognando... nulla è sogno se non la realtà stessa. Solo che a volte non la vedi, non con gli occhi giusti...

Atterrammo in una piccolo prato all’interno di un bosco. Voci di bambini si sentivano tutt’intorno, ma era difficile dire da dove provenissero esattamente. Era come se fossero sparsi un po’ dappertutto. Era come se ne fossi circondata. L’erba fresca e rugiadosa faceva il solletico ai miei piedi. Gli uccellini svolazzavano appena sopra la mia testa.
-        Capisci come sia difficile scegliere di lasciare questo posto?
-        E’... bellissimo, hai ragione. Però...
-        Però... è difficile da spiegare davvero quello che c’è qui. Ti voglio mostrare qualcosa...

Ci inoltrammo nel bosco. Le voci dei bambini si facevano più vicine, o almeno così sembrava. Riuscivo a distinguere le parole, anche se mi risultava ancora difficile capire cosa stessero facendo – un gioco, immaginavo – e distinguere le voci di uno dalle voci dell’altro. Non so per quanto camminammo o sognai di camminare – perchè ancora oggi non so se quello che vissi allora è stato un sogno o un pezzo di realtà. Alla fine giungemmo in una piccola radura. Vidi su di un albero una capanna in legno, alla quale si arrivava per tramite di una scala, anch’essa in legno. All’esterno della capanna, due bambini di circa sette o otto anni stavano riparando il ballatoio. Avevano qualche palo e qualche liana con la quale legavano il palo al corrimano, sulla parte superiore, ed alle assi del pavimento, sulla parte inferiore. Sulla scala che portava alla capanna due bimbi di quattro o cinque anni giocavano con delle spade fatte di legno. 

Nella piccola radura appena fuori dal bosco nel quale ancora eravamo, tanti piccoli bimbi camuffati da pirati combattevano contro altri. Altri piccoli pulivano il bosco ed altri ancora raccoglievano erbe e fiori.

Mi girai verso Peter e fu solo allora che la vidi. Piccola, bionda, con i capelli raccolti in un grosso tuppo sulla testa, un vestitino verde, delle scarpe bianche luccicanti e due piccole ali che battevano ritmicamente dietro di lei per tenerla su.
-        Trilli...  – mi sorprese la mia stessa voce.

Peter si accorse della mia meraviglia.
-        Già... Trilli... la piccola impertinente fata dell’Isola-Che-Non-C’è...
-        Impertinente a chi? – si volse Trilli indispettita verso Peter Pan.
-        Tu, piccola impertinente fata... potrei ripeterlo all’infinito. Im-Per-Ti-Nen-Te!
-        Peter, stai attento perchè altrimenti...
-        Altrimenti cosa?

Fu come in un fumetto. Le sue gote si colorarono di rosso, appoggiò le mani sui fianchi, gli fece una linguaccia, si girò e prese il volo su da qualche parte verso il cielo.
-        Sempre a litigare voi due, eh? – risi verso Peter.
-        Lasciala perdere. E’ gelosa...
-        Gelosa? E di chi?
-        Di te...
-        Di me? No, non può essere... e perchè sarebbe gelosa?
-        E’ gelosa di qualunque donna mi stia accanto...
-        E’ innamorata di te, Peter...
-        Naaa, fa solo finta – disse e poi chiamò a raccolta tutti quei bimbetti che si aggiravano intorno alla capanna.

Essi si sedettero ubbidienti intorno a noi e solo allora, quando ebbero tutti fatto silenzio, Peter iniziò a parlare, ad alta voce, come un vero capo.
-        Bimbi Sperduti... vi presento... oh! – pensò come tra sé e sé – non ti ho chiesto come ti chiami... Come ti chiami?

Mi scappò una risata.
-        E’ importante? – gli chiesi.
-        Sì, certo che è importante... – mi rispose.
-        Va bene. Posso darti un nome di “fantasia”?
-        Bimbi Sperduti... possiamo accettare un nome di “fantasia”?
-        Sìììì – urlarono all’unisono i Bimbi Sperduti.
-        Allora, sono... Il Pavone Bianco.
-        Waw... allora Bimbi Sperduti. Il Pavone Bianco ci è venuto a trovare dal Mondo-Che-C’è. Non resterà qui molto, quindi dobbiamo approfittare di lei. E’ una scrittrice e ha promesso che quando torna nel suo mondo scriverà di noi...

Un urlo si alzò dal gruppo di faccine incantate all’ascolto di Peter. Io rimasi ferma, un po’ perplessa. Quando realizzai quello che Peter aveva appena detto interruppi quelle urla.
-        Fermi, fermi.... io non ho promesso nulla! Peter, ma...

Una vocina femminile dall’alto dell’albero appena sopra di me si sentì:
-        Peter, te l’avevo detto che non potevi fidarti... tutte uguali le donne! Ma no... tu sei un ingenuo! Non cambierai mai... Te l’avevo detto che non puoi fi...
-        Lo so che non hai promesso nulla... – la interruppe Peter, rivolgendosi poi a me. – Eppure lo prometterai vero?
-        Promettere cosa, esattamente Peter?
-        Che scriverai un’altra storia su di noi?
-        Io? Ma... non sono certo all’altezza di Barrie io...
-        Chi è Barrie? – chiese una vocina piccola piccola dal fondo del gruppo.
-        Lo scrittore che vi ha inventato... – risposi d’istinto.

Un mormorio leggero si diffuse come un’onda sulla truppa di pirati e avversari. “Cosa? Lo scrittore che ci ha inventato?” “Perchè, non siamo reali?” “Uno scrittore ci ha inventato?”.
-        Silenzio! – urlò Peter.
-        Silenzio! – urlò Trilli.
-        Silenzio! – urlarono i bambini tra di loro.
-        Parlo io! – urlò Peter.
-        Lasciatelo parlare! – urlò Trilli.
-        Lasciamolo parlare! – urlarono i bambini.
-        Dunque... – riprese Peter, voltandosi verso di me – Pavone Bianco, tu scriverai una storia su di noi.
-        No! – protestai.
-        No? Perchè... perchè no? – mi chiese Peter.
-        Perchè non sono all’altezza di scrivere una favola. Come Barrie intendo... – risposi.
-        Mah, vedremo... – sbuffò Peter. Mi volse imbronciato la schiena e riprese a parlare ai Bimbi Sperduti – Il Pavone Bianco, F-O-R-S-E, scriverà una storia su di noi. Sapete tutti come si parli mali di noi, nel Mondo-Che-C’è, vero?

Quasi tutti in coro risposero con un mesto “Già”, che rimbalzava come una eco di bocca in bocca.
-        Ebbene, Il Pavone Bianco – riprese Peter – ci farà risplendere nell’Universo delle Favole!
-        No, Peter, ma che stai dicendo? – gli chiesi.
-        Ti ho portata qui apposta. Tu scrivi, no?
-        Io... beh, sì... un po’...
-        Allora, scriverai di noi.
-        Non so... Peter... non aspettarti...
-        Non hai fiducia in te stessa? – mi interruppe - Vuoi dire che ho sbagliato a scegliere te?
-        Posso provarci... ma che... che storia?
-        Beh, una storia... puoi passare qui quanto tempo vuoi e poi torni nel Mondo-Che-C’è a scriverla...
-        Ma io ho famiglia... ho dei bambini... Non posso restare a...

Peter mi interruppe di nuovo:
-        Portali qui... anzi, anzi... li vado a prendere io!

Aveva già chiuso gli occhi per concentrarsi sul suo “pensiero felice” e stava prendendo un po’ di polvere di fata per alzarsi in volo quando lo fermai.
-        No, Peter, fermo.
-        Eh? – mi guardò stranito.
-        Non puoi... – cercai di spiegargli.
-        Non posso? E perchè mai? Questo è il loro mondo...
-        No, il loro mondo non è questo...
-        E’ qui che ti sbagli, Pavone Bianco.

Capitolo 4 – Ritorno al Mondo-Che-C’è

Non so quanto tempo trascorsi all’Isola-Che-Non-C’è, ma ad un certo punto, nonostante i Bimbi Sperduti fossero dei dolcissimi bambini come quelli “reali” e nonostante Peter fosse pieno di attenzioni verso di me, dentro di me iniziai a sentire una profonda nostalgia per il mondo reale.
Così una mattina mi avvicinai a Peter, dopo che aveva aiutato un Bimbo Sperduto che si era fatto male, e gli chiesi di parlargli.
-        Voglio tornare indietro, Peter.
-        Di già? – mi guardò lui un po’ deluso.
-        Sì...
-        Ti mancano i tuoi bambini?
-        Sì. Ma non è solo questo...
-        E cos’altro?
-        Vedi, tutto questo non è... non è “reale”. Mi manca... beh, mi manca la realtà.
-        La realtà?
-        Sì. Mi manca svegliarmi tutti i giorni sapendo che non è detto che le cose vadano sempre per il verso giusto. Mi mancano le sfide con me stessa, per dimostrare che sono capace di affrontare le difficoltà. Mi mancano le mie piccole cose di tutti  i giorni, la gente che si affanna, la gente che ride, la gente che piange...
-        La gente che piange... ti manca? – mi guardava sempre più perplesso Peter.
-        Sì, Peter. C’è anche tristezza nel mondo e questo non si può ignorare giocando sempre.
-        E’ vero... – mi disse e abbassò lo sguardo – Scriverai quella storia per noi?
-        Non lo so. Peter, portami a casa, ti prego...
Non disse nulla. Si alzò, stretto nel suo piccolo scamiciato verde prato e nei suoi fuseau verde bottiglia, saltellò un po’ sui suoi stivaletti beige da folletto e alla fine estrasse dal suo cappello un po’ di polvere di fata e la sparse tutta intorno a noi.
Ci librammo alti nel cielo. In un attimo fummo sopra Londra e in un secondo davanti al vetro della mia camera all’hotel Kingsley, Bloomsbury. Il viaggio era durato molto meno che quello dell’andata. Oltrepassammo il vetro come una magia e di colpo fummo entrambi a grandezza naturale, nella stanza dell’albergo dal quale eravamo partiti.
-        Grazie, Peter. – gli dissi.
-        C’è una cosa che non ti ho detto sulla storia. Puoi ascoltarmi ancora un attimo?
-        Certo...
Ci sedemmo sul letto. Aveva un viso dolcissimo, uno di quei visi dei quali ci si innamora, uno di quegli sguardi nei quali puoi perderti per sempre. I suoi occhi esprimevano tristezza, un sentimento profondo, insolito per come ero abituata a pensare al Peter Pan dei miei sogni.
-        Vorrei che tu scrivessi qualcosa di particolare.
-        Cosa?
-        E’ da quando mi hanno creato che sento sempre parlare male di me...
-        Peter, no! Cosa te lo fa pensare? Sei l’idolo dei bambini, l’eterno bambino che c’è in ogni adulto, quello che tutti almeno una volta hanno desiderato incontrare o essere...
-        E’ proprio questo, Pavone Bianco.
-        Proprio... questo? – gli dissi senza capire cosa voleva dirmi.
Guardavo i suoi occhi sperduti. Desideravo aiutarlo ma non sapevo come.
-        E’ proprio l’essere sempre associato ad un modello negativo, quello del Ragazzo-Che-Non-Vuole-Crescere, che mi fa male... Io ogni tanto volo nel Mondo-Che-C’è. Dove vedo qualcuno che soffre per amore io mi intrufolo e spio. Sono curioso. Io che non ho mai voluto vedere fino in fondo cosa è l’amore, a volte ho voglia di capirlo e lasciarmi travolgere, ma mi fa paura. Sento tante persone che parlano di uomini irresponsabili. Li definiscono “eterni Peter Pan”. Beh, io non sono così...
-        Scusa Peter, non capisco. Tu sei quello che vuole restare all’Isola-Che-Non-C’è perchè non vuole prendersi responsabilità e vuole rifuggire la realtà...
-        Anche tu sei così...
-        Anche io sono come? – gli dissi piuttosto alterata. – Spiegami allora, perchè capisca.
-        Io ho solo voluto mantenere la responsabilità di mostrare agli occhi di un bambino che crescendo non deve perdere la sua gioia di scoprire le cose, di sorridere alle novità. Io voglio solo insegnare loro a non avere paura delle cose nuove, a buttarcisi dentro e provarle, anche se a volte ci si può fare male. Io voglio che sappiano difendere le loro idee con la forza e l’entusiasmo di un bambino, ma rispettando le regole del gioco. Io voglio che non perdano la fantasia. Io voglio che siano Uomini che non dimenticano di vivere il mondo con gli occhi dei Bambini. Sono sempre stato travisato. Mi hanno sempre messo al bando dal mondo degli adulti, ma mi sento più adulto di molti di loro: io ho scelto di restare all’Isola-Che-Non-C’è perchè nessuno possa mai smettere di credere che c’è la possibilità di un sogno, che bisogna avere sogni e crederci davvero.
-        Peter... credo tu sia più adulto di molti Peter Pan che ci sono in giro...
-        E’ vero. Io continuo a provarci, ma sono stufo di essere frainteso. Voglio che il mondo sappia che il “vero” Peter Pan non è un irresponsabile. E’ solo un ragazzo che ha voglia che gli adulti sappiano mantenere in sé quella parte di innocenza, di gioco, di sorriso e di sorpresa che c’è in un bambino... senza però che questo significhi lasciare da parte le proprie responsabilità. Io la mia... me la sono presa...
-        E’ per questo che vuoi che io scriva?
-        Sì... vorrei che tu potessi scrivere di questo, di come sia necessario crescere non lasciandosi sopraffare dalla tristezza, mantenendo sempre l’entusiasmo, la gioia, la voglia di amare, di essere sé stessi, semplici, spontanei e grandi... come lo sono i Bambini.
-        Non hai mai desiderato tornare al Mondo-Che-C’è?
-        Ho desiderato l’Amore. Ho desiderato di viverlo nel profondo. Ho desiderato lasciarmi trascinare da esso verso limiti altrimenti irraggiungibili. Ma so che non posso farlo. Non qui...
-        E Trilli?
-        Trilli mi ama, lo so. Ma non posso lasciarmi andare...
-        Scriverò, Peter. Scriverò di questa avventura e spero che essa passi di bocca in bocca perchè...
Mi baciò. All’improvviso. Si avvicinò, accostò le sue rosse labbra alle mie.
Chiusi gli occhi e quando li riaprii mi ritrovai sul letto, da sola. Mi guardai intorno, corsi alla finestra, ma non c’era più. Non poteva essere sparito così... Forse non c’era mai stato... Forse avevo solo sognato...
Mi alzai e passando davanti allo specchio mi fermai un attimo a guardarmi il viso. Portai istintivamente le mani alla bocca e mi chiesi se fosse stato vero.
Mi infilai sotto il piumone, spensi la luce e chiusi gli occhi. Iniziai a rivedere una per una le immagini di quella fantastica avventura, pensando a come avrei potuto raccontarla, senza chiedermi più se fosse stata un sogno o realtà. Mi addormentai presto, ma non sognai Peter Pan.
Giurerei quasi di essermi svegliata più volte quella notte per un fastidioso battito di ali vicino al mio orecchio. Quando mi svegliai, guardai il mio cuscino e sorrisi: era pieno di piccola polvere dorata.
Eh sì... Trilli era proprio gelosa di me!

Nessun commento:

Posta un commento