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16 apr 2012

De tranquillitate animi - [Seneca]


Il De tranquillitate animi è dedicato all'amico Sereno. Nell'opera Seneca indica i modi per raggiungere la tranquillità dell'animo e, nei capitoli 3-5, invita alla partecipazione alla vita politica, cercando una mediazione fra i due estremi dell'otium contemplativo e dell'impegno proprio del civis romano, suggerendo un comportamento capace di adattarsi alle condizioni politiche per conseguire la serenità e la capacità di giovare agli altri, se non con l'impegno pubblico, almeno con l'esempio e la parola.

Nemo ullum auferat diem nihil dignum tanto inpendio redditurus
Che nessuno ci porti via alcun giorno, dato che non potrà renderci nulla che sia degno di tanta perdita.
[L’essere scontenti di sé] trae origine dall’incostanza dell’animo e da desideri timidi o poco fortunati, laddove gli uomini non osano quanto vogliono o non lo ottengono e sono tutti protesi nella speranza; sono sempre instabili e mutevoli, il che è inevitabile succeda a chi sta con l’animo sospeso. Tendono con ogni mezzo al soddisfacimento dei loro desideri, e si addestrano e si costringono  a obiettivi disonorevoli e ardui, e quando la loro fatica è priva di premio, li tormenta il disonore che non ha dato frutto, né si rammaricano di aver teso a obiettivi ingiusti, ma di averlo fatto invano. Allora li prende sia il pentimento di quello che hanno intrapreso sia il timore di intraprendere altro e s’insinua in loro quell’irrequietezza dell’animo che non trova vie d’uscita, poichè non possono né dominare i loro desideri nè assecondarli, e l’irresolutezza di una vita che non riesce a realizzarsi e l’inerzia dell’animo che s’intorpidisce tra desideri frustrati.

De constantia sapientis - [Seneca]


In questo dialogo Seneca definisce il concetto di sapiens, cui caratteristiche essenziali sono appunto la costanza e l'imperturbabilità. Per costanza Seneca intende sia la perseveranza del saggio nei propri giudizi e intenti nonché la coerenza tra pensiero e azione, sia l'immutevolezza della virtù nel corso del tempo, che deve rimanere salda e irremovibile davanti alle difficoltà che la sorte presenta; l'imperturbabilità è invece quella proprietà del saggio di rimanere indifferente di fronte all'"iniuria" e alla contumelia: l'"iniuria", vale a dire l'offesa, ha come intenzione l'arrecare un danno a qualcuno; ma il saggio non può subire alcun male, poiché dove c'è virtù non c'è male, e quindi l'offesa, pur raggiungendolo, non lo danneggia. Il saggio non è quindi inarrivabile, ma invincibile. La contumelia invece non è una vera e propria offesa, è perciò meno grave, e consiste nell'assumere un comportamento che porta disagio a un altro, il quale si sente disprezzato. Ricevere una contumelia è quindi un 'venire disprezzato'; ma il saggio è quanto di più simile ci sia a un Dio, se non fosse per la sua mortalità, è pertanto maggiore di chiunque sia l'artefice della contumelia e non può certo essere disprezzato da un essere inferiore. È così dimostrato che il 'sapiens' non può subire né offesa né contumelia. Il saggio, infine, poiché ha riposti tutti i suoi beni in sé e non ha lasciato nulla affidato alla fortuna, non può da essa essere danneggiato. La fortuna infatti può portare via tutto ciò che ha donato all'uomo; ma la virtù non è un dono della fortuna, e non può perciò essere da essa sottratta.
 Tutus est sapiens nec ulla adfici aut iniuria aut contumelia potest [...] inuulnerabile est non quod non feritur, sed quod non laeditur.
Il sapiente è al sicuro. E non può essere colpito da alcuna offesa o contumelia. [...] In realtà io non ho deciso di insignire il sapiente di un onore immaginario fatto di parole, ma di porlo in quella condizione in cui non sia permessa alcuna offesa contro di lui. «E che, dunque? Non ci sarà nessuno che lo provochi, che lo aggredisca?». Nulla in natura è tanto sacro da non trovare un sacrilego, ma non per questo gli esseri divini sono meno in alto, se esiste chi cerchi di assalire una grandezza posto di molte oltre sé, anche se non la toccherà; è invulnerabile non quel non viene colpito, ma quel che non viene leso: ti presenterò un sapiente di questo conio. E’ forse dubbio che la forza più sicura è quella che non è vinta piuttosto che quella che non viene messa alla prova, dato che sono dubbie le forze non sperimentate, mentre a ragione è considerata assolutamente salda quella fermezza che respinge tutti gli attacchi? Così sappi tu che il sapiente è di migliore qualità, se nessuna offesa gli nuoce, piuttosto che se non gliene viene fatta nessuna; e io dirò uomo valoroso quello che non è domato dalle guerre e non è impaurito dalla forza del nemico che si avvicina, non quello che si gode un pingue ozio tra i popoli inoperosi. Questo, dunque, affermo: il sapiente non è soggetto ad alcuna offesa; pertanto non importa quante frecce siano scagliate contro di lui, dal momento che è del tutto invulnerabile. Come la durezza di talune pietre non può essere vinta dal ferro nè il diamante può essere tagliato o rotto o logorato, ma – per giunta – rende spuntato ciò che lo attacca, come alcune cose non possono essere consumate dal fuoco, ma, pur essendo circondate dalle fiamme, conservano la propria durezza e il proprio stato, come certi scogli protesi verso il mare profondo fanno sì che questo vi si infranga, ed essi, pur colpiti per tanti secoli, non mostrano alcun segno della furia marina, così l’animo del sapiente è saldo e racchiude in sé tale vigore da essere al riparo dall’offesa, come lo sono quelle cose che ho citato. «Che dire, quindi? Non vi sarà qualcuno che tenti di recare offesa al sapiente?» Lo tenterà, ma essa comunque non gli giungerà; dal contatto con le cose inferiori, infatti, lo separa una distanza troppo grande perchè alcuna forza dannosa possa far arrivare fino a lui i suoi attacchi.