Dove risiedono in noi, in quale parte si nascondono?
Se meccanicamente un ricordo non è altro che una serie di
variazioni chimiche e strutturali dei neuroni, prodotte da un segnale elettrico,
di cosa è fatto il suo cuore pulsante?
E’ un respiro che soffia sulla pelle.
E’ un odore che attraversa le narici per arrivare al cuore.
E’ un gusto che si scioglie in bocca portando un dolore.
E’ un suono che spacca i timpani per svegliare l’incoscienza.
E’ un colore nel quale si specchia l’anima.
Nasce ovunque nel corpo, in ogni centimetro che ne aveva
assaporato il sentimento, e si dirama altrove, in posti impensati, attraverso i
cinque sensi, fino alla mente.
E colpisce all’improvviso.
In un giorno dall’odore umido di pioggia e di ossa rotte, mentre ricordi la pioggia che scrosciava dentro un’auto piena di un sospiro d’amore per un bacio non dato.
In un letto solitario dalle lenzuola disfatte e bagnate da
lacrime silenziose di chi non voleva fare esplodere il proprio sentimento, nel
rispetto dell’incertezza di chi era di fronte.
In un respiro soffiato tra due mani infreddolite,
riscaldate soltanto dal calore di una sigaretta fumata accanto a una finestra
in pieno inverno.
Nella soffocante afa che i marciapiedi di città sciolti dal
sole sprigionano sulle gambe, rammentando la volta in cui quel calore
accarezzava la pelle, sulla quale stavano scendendo impietosi e vergognosi un
paio di collant, restati orfani improvvisamente del loro reggicalze.
In uno specchio che riflette l’immagine sbiadita di chi hai
amato e non c’è più.
In un bicchiere vuoto di Baileys lasciato affianco a un
portacenere pieno di cicche, che riporta in un’altra casa, nella quale la
lingua ancora intrisa di liquore si era infilata con lussuria tra due labbra
bollenti.
In due occhi anonimi tra la folla, al cui cospetto risplende
lo sguardo d’amore soffocato tra gente che non poteva capire e non avrebbe
approvato.
Nello sfiorarsi casuale di una mano, che ti fa fremere al
pensiero di una carezza rubata.
In una fitta al cuore che fa riaffiorare il tremore di un
appuntamento fugace tra l’ordinarietà degli istanti di un giorno.
In una lacrima, l’ultima di tante, che rende salata la lingua
che mai più incontrerà quella bocca.
E all’improvviso non ci sono più ricordi, nascosti
furtivamente da una cosciente ragione, perché non possano fare più male. E puoi
combattere perfino contro te stesso, ma essi restano lì, chiusi dietro un muro
indistruttibile ai più, per proteggerti da un dolore che è troppo forte per
essere umano.
“Dove
sono i miei ricordi?» si chiese Lisa.
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[1] GIRASOLI GENIALI: I neuroni del cervelletto sono chiamati anche cellule di Purkinje (in rosso nella micrografia a luce confocale): se per far lavorare il cervello di un adulto ci vogliono 150 miliardi di neuroni, che creano 20 mila interconnessioni, per il cervelletto le cellule di Purkinje riescono a produrne fino a 200 mila.
L’esistenza di queste connessioni, o sinapsi, fu scoperta alla fine del XIX secolo dal fisiologo inglese Charles Scott Sherrington: non si tratta in realtà di connessioni fisiche perché tra due neuroni si interpone sempre una microscopia fessura. Per superare questo varco, i segnali cambiano addirittura faccia e da elettrici diventano chimici.
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