Verranno forse dopo. Ma ci basta.»
FABIO PUSTERLA, Le terre emerse
Esiste un punto, «certo difficile
da trovare, ma che vale la pena cercare», in cui convergono le ipotesi piú
inconciliabili. È lí che - secondo quella che la fisica teorica chiama «teoria
generale del Tutto» - risiederebbe la spiegazione dell'universo. Per Alessandra
e Marinella, gemelle di quarantotto anni cui cui la vita ha riservato strade
molto diverse, quel luogo è la casa del padre che le ha abbandonate quando ne
avevano otto. Ora che è morto si ritrovano entrambe lí, tra quelle pareti che
lasciano filtrare ricordi e rancori, e che a tratti sembrano contenere un mondo
ben piú vasto. Per le sorelle quella vicinanza forzata si rivelerà una tortura
con il sorriso sulle labbra, una resa dei conti dagli esiti davvero
imprevedibili. Due ritratti di donne memorabili che, nel corso della lotta
senza quartiere che è il cuore della storia, trascineranno il lettore giú,
sempre piú giú, fino al buco nero in cui, forse, si trova la spiegazione di
tutto. Un racconto intimo, estremo, comico e tragico, perché sempre - proprio
sempre - attento alla vita. E per seguirla in tutti i suoi rivoli, alterna
parti al presente, di pura azione, e parti al passato, che sono la nicchia che
sa scavarsi il pensiero a modo suo. In quella nicchia una specie di coro greco
umanissimo e infragilito commenta la storia, entra nella testa dei personaggi
usando le parole di chi sa tutto e non sa niente: la voce traballa, è
fallibile, emozionata, compromessa, e per questo tanto piú capace di restituire
la complessità delle vicende umane e la contradditorietà degli individui.
http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/romanzi/l'importanza-dei-luoghi-comuni/
Citazioni
Per lei le cose avvenivano come era giusto, e cioè perché progettate esattamente per far sì che avvenissero. Punto. Esisteva, da qualche parte, un posto sterminato dove si archiviavano i fatti prima della loro distribuzione… Ed esisteva qualcuno che aveva il dono sublime di sapersi muovere dentro a quello spazio infinito. Dentro alla casa, che era stata della famiglia per poco tempo, e poi solo del padre, aveva sentito una leggera fitta subito ricacciata in basso tra la gola e lo stomaco, come si fa con i segreti irraccontabili. E aveva aspettato che quell’angoscia, in forma di amarezza feroce, si accumulasse in un punto da cui fosse difficile sentirla.
Lo ricordo perfettamente quel giorno. Io vedevo la mamma
piangere e chiedevo perché. Tu non chiedevi niente, niente di niente… Così la
mamma continuava a dire… «Niente tesoro mio, tu non devi avere paura… qualche
volta i grandi piangono…»
Quello che fa paura di te è la quantità di costruzioni che
riesci a fare, quanto diventa enorme il tuo granellino di sabbia.
Un silenzio compatto congelò quel momento. Sembrò quasi che
le frasi fossero finite e fossero finite le parole necessarie per quelle frasi,
e le lettere necessarie per quelle parole. Si diffuse il suono del silenzio che
è il battere assordante del sangue delle tempie; che è il mantice del respiro
affannato; che è la sistole e la diastole del pulsare di timpani. Come un suono
di tamburi nella savana…
Capita che i genitori non abbiano bisogno di frequentare i
figli per conoscerli, li conoscono per altri versi, li conoscono su se stessi…
Non sono mai gli oggetti a dare risposte, ma coloro che li
hanno usati, magari spostati, dati via, venduti… Le cose non devono avere troppa importanza
perché, a meno che non le consumiamo noi finché siamo in vita, hanno il brutto
vizio di sopravviverci. Gli oggetti prendono la strada che le persone decidono.
Dentro queste case che siamo resta il peso di ciò che
abbiamo detto, ma anche di ciò che non abbiamo osato dire. Le parole di troppo
e quelle mai pronunciate.
Sto studiando una teoria di Fisica che ha a che fare con la
necessità di trovare un punto in comune. Una teoria generale del Tutto. Dice
che esiste un punto in cui anche le ipotesi totalmente antagoniste coincidono.
Un unico punto certo difficile da trovare, ma che vale la pena cercare.
Deve esistere un momento, un’azione… Qualcosa che spegne
questo dolore. Questa specie di silenzio che ci portiamo dentro anche quando
parliamo.
E’ in momenti come questo che mi sembra, anzi ho la
certezza, di aver perso su tutti i fronti. Ho come la sensazione che tutte le
cose migliori mi siano sfuggite dalle mani… Sarà che davvero ho passato un
numero infinito di giorni a trovare ragioni, a fornire spiegazioni, quando non
c’erano spiegazioni… Ecco… Non è orribile che occorra diventare vecchi per
avere questa chiarezza?
Dovrei imparare che basta voltarsi indietro per perdere
anche quelle labilissime certezze che siamo riuscite a costruirci. Eppure non
lo imparo… Mi ostino a sbagliare sempre allo stesso modo…
Ma chi l’ha detto che i figli rendono più forte…? Ti
indeboliscono invece, ti rivelano posti colmi di paure che nemmeno immaginavi…
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