Prendete un bambino che non sa quando è nato.
Immaginate che abbia un sorriso gentile e malinconico e una nutrita dose di
ironia, e che intorno ai dieci anni cominci un viaggio verso qualcosa che non
conosce, alla ricerca di un posto qualunque in cui crescere. Mettiamo che
questo bambino sia nato nella provincia di Ghazni, nel Sud-est
dell’Afghanistan, che appartenga all’etnia hazara, quella dai tratti mongolici,
perseguitata da pashtun e talebani, e che il suo viaggio lo porti ad
attraversare, oltre alla propria nazione, il Pakistan, l’Iran, la Turchia e la
Grecia, per trovare, dopo cinque anni spesi in strada tra lavori improbabili,
speranze impreviste e momenti drammatici, una casa e una famiglia in Italia. Se
questo giovane afghano, che oggi ha vent’anni, avesse voglia di raccontare la
propria storia a qualcuno che accetti di scriverla, che sappia farsi permeare
dalle sue parole, masticando ricordi nel tentativo di restituirli al lettore
con la stessa forza narrativa di un romanzo, rispettandone lo sguardo e le
verità, e se incontrasse Fabio Geda, ecco che, allora, il risultato sarebbe
questo libro. Un tentativo entusiasta e dialogico di ricucire i pezzi di una
vicenda personale, quella di Enaiatollah Akbari, strappati via dagli eventi
drammatici della nostra storia recente, tra Medio Oriente e Occidente.
Brandelli di voci, di visi, di avvenimenti sparsi nelle stanze della memoria
dall’incedere della vita. In un viaggio, cartina alla mano, che Enaiatollah
Akbari ripercorre anche quando dimenticare sarebbe più semplice, e che
racconta, ri-racconta, soprattutto a se stesso, ma con la speranza che tutti lo
ascoltino.
Se nasci in Afghanistan,
nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, può capitare che, anche se sei un
bambino alto come una capra, e uno dei migliori a giocare a Buzul-bazi,
qualcuno reclami la tua vita. Tuo padre è morto lavorando per un ricco signore,
il carico del camion che guidava è andato perduto e tu dovresti esserne il
risarcimento. Ecco perché quando bussano alla porta corri a nasconderti. Ma ora
stai diventando troppo grande per la buca che tua madre ha scavato vicino alle
patate. Così, un giorno, lei ti dice che dovete fare un viaggio. Ti accompagna
in Pakistan, ti accarezza i capelli, ti fa promettere che diventerai un uomo
per bene e ti lascia solo.
Come si fa a cambiare vita
così, Enaiat? Una mattina. Un saluto.
Lo si fa e basta, Fabio.Una volta ho letto che la scelta di emigrare nasce dal bisogno di respirare.
E’ così. E la speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento. Mia madre, ad esempio, ha deciso che sapermi in pericolo lontano da lei, ma in viaggio verso un futuro differente, era meglio che sapermi in pericolo vicino a lei, ma nel fango della paura per sempre.
Non ci avevo mai pensato,
Enaiat, lo sai?
A cosa?Al fatto che sentire sia molto diverso da guardare. È meno doloroso. È così? Permette di giocare con la fantasia, di trasformare la realtà.
Sì. O almeno lo era. Per me.
Un desiderio bisogna
sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel
tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e
che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto a una spanna dalla
fronte, allora di vivere varrà sempre la pena
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