Odiava
quel locale.
La
musica le rimbombava nelle orecchie con quel ritmo incalzante che accompagnava
ogni battito. Bum, bum, bum bum.Le luci soffuse confondevano i suoi occhi, e quella penombra la incupiva. Se suo padre le avesse lasciato il vantaggio della scelta, sarebbero stati ora in quel piccolo ristorante sulla collina, e i suoi occhi sarebbero levati in alto verso la piccola chiesetta sugli scogli, quella vicino al faro. La croce grande in cima, stagliata contro il cielo, le avrebbe dato la forza di sopportare con pazienza quel lungo e inutile monologo paterno.
Erano seduti al tavolino oramai da due ore, e suo padre non aveva mai smesso di parlare. Aveva redatto un elenco scontato e banale dei pro e contro della vita che aveva scelto, e gliela stava leggendo senza convincimento, con voce monocorde, citando una serie di luoghi comuni che offendeva la sua intelligenza.
Lo
aveva ascoltato rispettosa per due ore, annuendo con il capo ad ogni punto,
sforzandosi di interromperlo come faceva da ragazzina.
Era
una donna oramai, e quegli scatti improvvisi non le appartenevano quasi più,
nemmeno quando si trattava di difendere la sua indipendenza.
Sapeva
però di dover restare all'erta: suo padre avrebbe usato ogni mezzo pur di
convincerla a non partire. Il suo affetto rasentava un senso di possesso e la
sensazione di averla persa per sempre lo guidava nei meandri del suo egoismo e
lo rendeva pronto e vigile ad ogni obiezione. La sua voce, priva di qualunque
emozione, era solo un espediente messo in atto per nascondere la voglia
inconfessabile di metterla sulle ginocchia e prenderla a sculacciate come
quando era bambina.
Aveva
l'impressione che fossero due atleti di fioretto, ritti al centro della scena,
punta contro punta, cercando il momento giusto per affondare il colpo
nell'avversario, cogliendolo alla sprovvista.Era la sua vita, era pronta a difenderla e stavolta il tocco vincente sarebbe stato il suo. L'unico timore era la sua incapacità di gestire la rabbia, l'unico peccato che sentiva di aver mai commesso nella sua vita, per tutti i giorni in cui lui l'aveva guidata, non prendendola per mano come un padre premuroso, ma come un comandante che si aspetta dai suoi soldati solo obbedienza e silenzio.
L'astio
e il rancore verso quell'uomo che avrebbe dovuto proteggerla, invece di
sfidarla così apertamente, montavano ad ogni punto di quell'elenco che suo
padre continuava a leggere. Gli dava atto che almeno ci aveva pensato e
ripensato, anche se con l'unico intento di tenerla ancora con sé.
Guardava
gli occhi del padre, fissi sul foglio, che ad ogni punto si alzavano verso di
lei, come se lui volesse rafforzare con uno sguardo d'intesa ogni estremo di
quella sentenza di condanna.Non c'era molta gente nel locale quel mercoledì sera, perciò quando le giunse una ventata fredda alle spalle, le bastò girarsi per vederlo. Si sentiva quasi in imbarazzo per quella presenza, che non si aspettava. "Ci vediamo fuori dal locale", gli aveva detto, e non si aspettava che prendesse alcuna iniziativa.
Il
disagio crebbe quando lo vide muoversi verso di lei e sedersi al tavolino vuoto
a fianco a loro. Temeva la reazione di suo padre, non per lei che era abituata
al suo stile di comando, ma per l'uomo che sedeva a pochi centimetri da loro.
C'era in quello sguardo tuttavia la sicurezza che nessuno avrebbe potuto
scalfirlo, nemmeno il più violento degli uomini, così si rasserenò.
Osservò
suo padre, le gocce che si formarono quasi improvvisamente sulla sua fronte,
come se una ventata di aria bollente fosse scivolata sul ghiaccio
sciogliendolo. Gli scendevano impietose sul volto, rigandolo come fossero
lacrime. Avrebbe desiderato vederlo piangere almeno una volta, per convincersi
che dietro quell'intransigenza ci fosse ancora un uomo. Eppure non aveva mai
intuito nemmeno una scheggia di debolezza sul suo viso, nemmeno di fronte alla
bara di sua madre, la donna che lo aveva accompagnato per lunghi anni, colmando
di sorrisi i suoi silenzi impossibili. No, si convinse, non avrebbe pianto
nemmeno per lei.
Quasi
non lo sentiva più. La musica sempre più forte si mischiava alle parole del
padre, finché si accorse che i suoi occhi si erano fermati in fondo a quella
lista e si erano alzati verso di lei.
«Sai
come la penso. Se decidi di andartene con lui, sappi che farò l'unica cosa che
non avrei mai voluto fare. E sono deciso a farla, per quanto mi costi fatica.»
«Papà,
non cambio idea. Ti prego, ci ho pensato ed è quello che desidero davvero.»
«Mi spiace. Davvero, mi spiace.»
Si
chinò verso la ventiquattr'ore poggiata sotto la sua sedia ed estrasse una
cartelletta blu. Sfilò l'elastico ed estrasse alcune carte.«Mi spiace. Davvero, mi spiace.»
«Ti prego di firmare questo documento, rinunciando a far valere tutti i tuoi diritti sull'eredità. Io ho già cambiato il mio testamento.»
Il
respiro iniziò ad affannarsi, le sembrava che l'aria nel locale semplicemente
non ci fosse più.
Provò ad inspirare profondamente ma i polmoni le si strinsero violentemente provocandole una fitta dolorosa al petto. Sentì il sangue esplodere nel cervello, la vista appannare e nelle orecchie un sibili crescente le impediva di sentire ogni rumore esterno.
Dalla
bocca dello stomaco salì un riflusso acido di rabbia che cercò di trattenere in
gola. Guardò l'uomo a fianco che li aveva osservati discretamente da quando si
era seduto, sorseggiando il suo bicchiere di acqua come se ciò che stava
accadendo al tavolo accanto fosse normale. L'uomo la guardò, ma i suoi occhi
sereni non riuscirono a bloccare tutta la rabbia che montava in lei dagli anni
di solitudine, dai giorni in cui avrebbe avuto bisogno di una carezza, un gesto
qualsiasi che potesse farla sentire compresa.Provò ad inspirare profondamente ma i polmoni le si strinsero violentemente provocandole una fitta dolorosa al petto. Sentì il sangue esplodere nel cervello, la vista appannare e nelle orecchie un sibili crescente le impediva di sentire ogni rumore esterno.
Quella
rabbia salendo raccoglieva ogni attimo di incomprensione, ogni sguardo
impietoso e severo, ogni comando, ogni ordine ricevuto da quando era bambina.
Si sentiva trattata come una delinquente, quando la sua era solo una scelta
d'amore, l'amore più vero che possa esistere, quello che non conosce egoismi,
accuse e incomprensioni. E si era aspettata che suo padre potesse comprendere.
Si
alzò, afferrò il tovagliolo che stava per scivolarle sul vestito e lo scagliò
sul tavolo. Si rese conto della sua rabbia e se ne vergognò guardando gli occhi
dell'uomo seduto a pochi centimetri da lei, nel tavolo vicino. Si ricompose. Si
abbassò verso suo padre, gli diede un bacio, firmò il documento e poi lo guardò
di nuovo: «Ti perdono papà. Come disse Gesù "Padre, perdona loro perché
non sanno quello che fanno.»
Il
padre si alzò. L'uomo al tavolino accanto spostò il bicchiere, si alzò e lo
guardò negli occhi offuscati dalla sconfitta. Non si aspettava che gli
rivolgesse parola, perciò rimase sorpreso quando si sentì sussurrare
nell'orecchio le sue parole.
«Padre,
le stia vicino.»
«Sua
figlia starà bene. Voi laici non comprendete spesso le nostre scelte. A maggior
ragione, posso capire che per lei sia impossibile comprendere la scelta di sua
figlia di chiudersi in un piccolo monastero di clausura, fuori dal mondo. Ma le
assicuro che la sua è una scelta di libertá, che starà bene. Non abbia paura
per lei, piuttosto ne abbia per se stesso e per la sua anima.»
«Non
sono abituato ad essere disobbedito e mancato di rispetto.»
«Il
rispetto che viene dal timore ha vita breve e puzza di menzogna.»
L'uomo
gli batté una mano sulla spalla.
Il
padre si risedette, solo e affranto.
I documenti erano ancora sul tavolo. I suoi occhi scorrevano quelle parole che sembravano
non aver più senso. Aveva cercato di trattenere sua figlia da una scelta che
non condivideva, forse nell'unico modo che conosceva. E quel minuto essere che
aveva tenuto tra le braccia, invece di disprezzarlo, l'aveva preso ora tra le
sue.
Si
accorse che in fondo alla pagina, appena sopra la firma, sua figlia gli aveva
scritto qualcosa. Prese i fogli in mano e lesse. «Ti vorrò sempre bene, papà.»
Non
aveva mai seguito il suo istinto. La sua vita era sempre stata un intreccio di
strategie e un imbrogliarsi di tattiche per sconfiggere il nemico. Capì in
quell'istante che l'unico nemico era sempre stato dentro di sé, così strappò
quelle poche parole, infilandole nel taschino, e appallottolò il resto delle
carte sul tavolo.
Si
alzò e uscì. Sorrise, aveva smesso di piovere.
Foto: what_a_nun_by_hennatea-d2yqbrw.jpg (deviantart.com)
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