Disegnavano. Inizialmente copiavano ogni tipo di disegno dai
libri che compravamo loro, poi man mano che si rinchiudevano al centro di quel
cerchio solitario, i disegni diventarono più astratti, linee calcate fino a
stracciare i fogli, strisce di colori accesi che si interrompevano in squarci
netti. Un giorno Martha mi disse che la preoccupava quel loro modo di disegnare,
ma io le avevo risposto che non c’era nulla di cui preoccuparsi, che avevamo solo
due Fontana in famiglia. Non ebbi la sensibilità di comprendere che quelle
brecce nella carta erano squarci nella loro mente, il pozzo dal quale risaliva
a galla tutta la melma che avevano dentro.
Avevo la vista annebbiata, mi illudevo simulando una
normalità che non c’era. Ma del resto, qual è il limite tra ciò che è normale e
ciò che non lo è? Chi stabilisce che una tela stracciata al centro è arte e la
carta strappata di un disegno è frutto della mente malata? Chi decide che una
bambola sventrata è un momento di rabbia o uno sprazzo di follia? Chi decide
che l’esperanto è un tentativo di comunicazione e la criptofasia un’abitudine allarmante
da osteggiare?
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