Un anno fa, il 6 dicembre 2013, sei arrivato con noi. Eri
uno scricciolo un po’ impaurito, te ne stavi per conto tuo in un angolino a
cercare di raccapezzarti in una casa. Cos’era una casa? E dov’era la tua mamma o i tuoi fratelli e le tue sorelle? E chi
erano questi strani bipedi che ti giravano intorno? Cosa volevano da te?
Oggi, il 6 dicembre 2014, siamo arrivati noi da te. Non c’era
più il cucciolo che ricordavamo, giocherellone e affettuoso. Davanti a noi c’era
“un uomo”, se mi passi quest’immagine, perché altre non ne ho. Questo periodo
per te è un po’ come la Naia, ti sta facendo crescere, ti sta facendo imparare
cose che noi non potevamo insegnarti, ti sta preparando alla vita, al lavoro.
Un grande lavoro, Edison. Oggi, più di altre volte, l’ho
capito. Ho guardato negli occhi un ragazzino, che non avrà avuto più degli anni
dei miei figli, quei “cuccioli” con i quali tu giocavi. L’ho guardato, io l’ho
guardato, perché lui non poteva. A quindici o sedici anni lui non poteva
guardarsi intorno e vedere quel branco di cuccioli in crescita. Lui è
condannato al buio e in quel buio il suo piccolo grande labrador, un labrador come te,
Edison, era la sua luce. E lo teneva stretto, lo teneva vicino, più di suo
padre che gli camminava a fianco.
E io mi sono sentita orgogliosa, per te Edison, che stai
imparando ad essere la luce che porti nel tuo nome.
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