Christine Lavant è una
maschera, lo pseudonimo scelto dall’autrice di Appunti da un manicomio per celare la sua vera
identità e quella delle persone presenti nel libro.
Dalla sua biografia emerge la permanenza in un manicomio negli anni Trenta e, per quanto non si abbia la certezza che il libro sia la trasposizione romanzata del suo vero diario, risulta comunque evidente il fatto che non si tratti di un semplice volo di fantasia.
Dalla sua biografia emerge la permanenza in un manicomio negli anni Trenta e, per quanto non si abbia la certezza che il libro sia la trasposizione romanzata del suo vero diario, risulta comunque evidente il fatto che non si tratti di un semplice volo di fantasia.
Siamo in un manicomio e
Christine, la protagonista, ha chiesto di essere internata dopo aver tentato il
suicidio. Sta male e da sola non riesce ad uscirne, a liberarsi di
quell’ossessione che la tiene sveglia la notte e le impedisce di accettare la
vita come fanno tutti gli altri: trovarsi un lavoro, sposarsi, avere dei figli.
E morire di vecchiaia.
Christine è innamorata, ma il
suo amore non è corrisposto ed è prigioniero dentro di lei: senza luce né aria,
quell’amore diventa ben presto un cancro che la divora, fino a farle desiderare
di accettare per sé la condizione di “pazza”.
Il pregio di Appunti da un manicomio è la
capacità dell’autrice di descrivere la sua permanenza nel manicomio e le altre
donne internate, ognuna afflitta da una storia personale che ne ha causato la
pazzia. Nessuna delle storie sarà rivelata, il dolore rimarrà, fino all’ultima
pagina, il protagonista incontrastato. Quel dolore che, più spesso di quanto si
pensi, conduce una persona alla follia, la fa precipitare in un baratro da cui
niente e nessuno sembra essere in grado di salvarla: non le persone a cui vuole
bene, la famiglia, gli amici, non i medici e le infermiere, non le medicine o
la camicia di forza. Dal dolore e dalla paura nessuno ci può salvare, se non
noi stessi.
La penna di Lavant tratteggia
con dolce lucidità i ritratti di queste donne e il suo stesso dolore, le
emozioni contrastanti, i desideri e le paure. Il manicomio è un microcosmo in
cui malate, infermiere e medici si muovono ricoprendo ognuno un ruolo del tutto
umano e fallibile. La Lavant mette a nudo ogni personaggio a partire da
caratteristiche esteriori, da quello che fanno o che dicono. È una storia-non
storia in cui si avanza in punta di piedi, per non fare rumore, per non
disturbare le pazze e chi veglia su di loro, nella speranza di non sfiorare,
neppure per un attimo, il dolore che le ha condotte lì e giungere all’ultima
pagina come si giunge davanti a una porta che si è grati di potersi chiudere
alle spalle. Felici di essere fuori, nel mondo, ma ormai consapevoli che,
proprio quel mondo a cui ci aggrappiamo sollevati, è lo stesso da cui le malate
di Lavant sono state esiliate per aver troppo sentito e troppo amato.
Perché, se esistono gli angeli,
a nessuno di loro spetta il compito di impedire che sulla terra avvengano cose
che dovrebbero succedere soltanto nell'inferno più profondo? Scrivo queste cose
usando normali parole, le scrivo come qualsiasi altra cosa, ma dovrei togliere
dai muri una pietra dopo l'altra e scagliarle contro il cielo ad una ad una, affinché
esso si ricordi di avere dei doveri anche nei confronti di chi sta sotto di
lui.
Forse con ognuna di queste
parole finisco per dannarmi, ma il fatto che io scriva è una cosa prestabilita.
Alcuni devono costruire ponti, altri dare alla luce bambini o tradurre in suoni
le cose che hanno dentro di sé, da qualche parte qualcuno forse dipinge un
quadro e a ogni pennellata si odia di più, ah noi tutti andiamo nella direzione
in cui siamo stati lanciati. Pietre! Pietre! Pietre!
È bene
essere una pazza tra i pazzi, e sarebbe un peccato, una presunzione dello
spirito, far finta di non esserlo. Perché anch’io per una volta non mi devo
sentire da qualche parte nel posto giusto e a casa mia? …Qui sono disposti ad
accettarmi, questo lo so fin dall’inizio.
È questa
l’attesa! La stupenda predisposizione a eventi che un giorno finalmente
dovranno accadere. Non è la vita a essere importante, ma il vissuto. E forse
tutte in qualche modo lo sapevano, forse ognuna qui ha ancora un luogo
interiore sano che le permette, a volte, di tanto in tanto, di riposarsi e
attendere.
Maledizione!
E ora di nuovo dobbiamo riflettere
Se
questo cielo fuori sia reale?Allora chi è a far girare in eterno quest’uovo blu
Vicino a noi finché i più si infuriano
E io dalla paura non riesco più a essermi d’aiuto
E alcune stendono le loro ossa
Quasi per beffa sopra le linde piastrelle
E sorridono piano, come dalla brama sedotte-;
E dolce è l’ira – si deve solo gustarla.
Come qualcosa di rubato, nell’oscurità.
Da
ragazza trascorsi sei settimane in un manicomio dopo aver tentato il suicidio.
Christine Lavant.
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