Poco prima della sua morte, scrivevo articoli di attualità
su un giornale. Scrissi un pezzo tagliente sulle donne, riversai in esso tutto
il dolore e la rabbia che provavo per lei. Nei suoi diari di quei giorni, era
in prigione, trovai questo, lo ricordo a memoria: “In questa cella angusta, pur
arriva una brezza leggera la mattina. I venti mi hanno portato le tue parole,
quelle stesse che coloravano le ali di farfalla di quel quadro di Van Gogh –
ricordi che ne avevo scritto in un libro? - . Le ali si sono ora chiuse nella
lama di ghigliottina che pende sulla mia testa. Ho letto Victor Hugo: ‘Si dice
che sia cosa da nulla, che non si soffre, ch'è una fine dolce, che in questo
modo la morte è molto semplificata. Eh, che cosa sono allora questa agonia di
sei settimane e questo rantolare di un intero giorno? Che cosa sono le angosce
di questa giornata irreparabile, che passa così lentamente e così in fretta?
Che cos'è questa scala di torture che termina sul patibolo? Che cos'è il dolore
fisico paragonato al dolore morale?’ Così le tue parole mi feriscono, e nella
mia piccola cella non ho scampo. A esse soccombo. Hai vinto, amore mio. Voleva
questo il tuo grande amore? Mi hai sconfitta”. Ripensai a lungo a quelle
parole, e un giorno, una mattina che il caldo afoso faceva uscire da me il
cattivo sudore, con esso tutta la rabbia e il dolore abbandonarono il mio
corpo. E quel giorno iniziai a dubitare di non aver mai compreso la sua anima
così bambina, eppur così complessa.
Inedito, di Carla Pavone
Titolo definitivo: È tutto in ordine
Nessun commento:
Posta un commento