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20 ago 2015

Poco prima della sua morte, scrivevo articoli di attualità su un giornale. Scrissi un pezzo tagliente sulle donne, riversai in esso tutto il dolore e la rabbia che provavo per lei. Nei suoi diari di quei giorni, era in prigione, trovai questo, lo ricordo a memoria: “In questa cella angusta, pur arriva una brezza leggera la mattina. I venti mi hanno portato le tue parole, quelle stesse che coloravano le ali di farfalla di quel quadro di Van Gogh – ricordi che ne avevo scritto in un libro? - . Le ali si sono ora chiuse nella lama di ghigliottina che pende sulla mia testa. Ho letto Victor Hugo: ‘Si dice che sia cosa da nulla, che non si soffre, ch'è una fine dolce, che in questo modo la morte è molto semplificata. Eh, che cosa sono allora questa agonia di sei settimane e questo rantolare di un intero giorno? Che cosa sono le angosce di questa giornata irreparabile, che passa così lentamente e così in fretta? Che cos'è questa scala di torture che termina sul patibolo? Che cos'è il dolore fisico paragonato al dolore morale?’ Così le tue parole mi feriscono, e nella mia piccola cella non ho scampo. A esse soccombo. Hai vinto, amore mio. Voleva questo il tuo grande amore? Mi hai sconfitta”. Ripensai a lungo a quelle parole, e un giorno, una mattina che il caldo afoso faceva uscire da me il cattivo sudore, con esso tutta la rabbia e il dolore abbandonarono il mio corpo. E quel giorno iniziai a dubitare di non aver mai compreso la sua anima così bambina, eppur così complessa.
 
Inedito, di Carla Pavone
Titolo definitivo: È tutto in ordine

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