Dopo “Fulmine”, libro amatissimo dai ragazzi che racconta la storia di un eroe del nostro tempo che sogna un mondo di uguali, senza privilegi né discriminazioni di censo e di razza e dopo i racconti grotteschi sul razzismo raccolti “Nel gommone”, Lello Gurrado conclude la trilogia sul tema dell’immigrazione e dell’integrazione con “Lampa Lampa”.
È la storia di Sulley, un diciottenne del Gambia, lo stato più piccolo dellì'Africa, che lascia la sua terra inseguendo un duplice sogno: quello di raggiungere Lampedusa (quella che i migranti africani chiamano Lampa Lampa) e quello di incontrare Leo Messi, il fuoriclasse del calcio mondiale,per il quale stravede.
Ma Sulley svanisce nel nulla. Di lui si perdono le tracce. “È annegato” sentenzia il passeur che gli ha organizzato il viaggio. Taiwo, il padre di Sulley, non ci crede e va personalmente a cercarlo rifacendo, tappa dopo tappa, il cammino del figlio.
Qui il libro di Gurrado decolla, perché Taiwo vedrà da vicino le brutture della traversata del deserto, assisterà a furti, violenze, stupri, vedrà i miraggi, ascolterà antiche leggende, come quella del coccodrillo rosso e della regina dei miraggi, conoscerà i segreti delle oasi e delle prigioni libiche, fino a quando, miracolosamente, direi favolisticamente, ritroverà il figlio.
Un libro inteso, crudo, documentatissimo, violento. Ma anche un inno alla vita e alla speranza. I sogni, dice Lello Gurrado, a volte si avverano.
Taiwo sì. La traversata nel deserto lo spaventava. Quella del Mediterraneo lo terrorizzava addirittura. Aveva paura del mare, ma non del ruggito delle onde: a fargli paura erano gli uomoni. Giravano voci terrificanti su come agivano gli scafisti, negrieri spietati, assassini, sì, assassini senza scrupoli, ed erano loro a terrorizzare i migranti. Non il mare, non le tempeste, non gli squali. Gli uomini.
Capitano cose strane a chi cerca di arrivare in Europa.
“Non ho i soldi per partire.”
“Te li do io i soldi.”
Bibal rimase ancora in silenzio. Poi fece a Taiwo la più scontata delle domande.
“Perché mi vuoi con te?”
“Perché sono vecchio e da solo non posso farcela. Mi serve aiuto.”
“Aiuto per fare cosa?”
“Per scoprire cosa è successo a mio figlio, il ragazzo con la maglietta di Messi.”
“Non credo che quello che scoprirai ti piacerà. Circolano voci terrificanti.”
“Ma io voglio sapere. Preferisco piangere e soffrire avendo cognizione di ciò che gli è capitato piuttosto che continuare a vivere facendomi domande.”
“Va bene, verrò con te. Ma non chiedermi atti di coraggio o di eroismo. Io voglio vivere, avere un futuro.”
“Lo avrai, ragazzo, non preoccuparti.”
“L’Africa non sarà mai un continente come gli altri. E sai perché? Perché ci manca il senso di appartenenza. Nessuno è consapevole e tanto meno fiero di essere africano, ognuno è figlio del proprio paese, punto e basta. Gli altri sono americani, europei, asiatici, noi siamo senegalesi, etiopi, nigeriani, egiziani, gambiani, libici, ghanesi. Non ci sentiamo africani, diamo l’impressione di vergognarcene e invece dovremmo essere orgogliosi, perché l’Africa è il continente più antico, quello in cui ha avuto origine l’umanità.”
Risero. Risero. Risero.
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