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2 set 2010

Mille volte amore - Sul filo del rasoio

Camminavo ai bordi della strada mentre andavo a lavorare. Stavo per attraversare la strada che mi avrebbe portato a varcare l’enorme cancello a guardia della fabbrica dove lavoro. Sono un’ape operaia. Una di quelle formiche che ogni giorno camminano lungo lo stesso stupido percorso trascinandosi una piccola mollica di pane per portarla nel grande magazzino al quale qualcun altro attingerà quando avrà fame.

Ero sovrappensiero. La malattia di mia madre mi preoccupava. Era oramai ricoverata da oltre un mese in ospedale ed i medici non avevano ancora scoperto cosa le provocasse quei valori bassi nel sangue.


Quando sono sovrappensiero cammino con la testa bassa e le spalle un po’ curve, come se il peso di ciò che mi frulla in testa mi schiacchiasse all’inverosimile. E in quei casi mi accorgo di ciò che la gente butta per terra incurante dell’igiene. Quel giorno però, un venerdì, mi sembra di ricordare, trovai un piccolo tesoro. Era una lettera ai bordi della strada. Non aveva nè mittente nè destinatario e così la raccolsi, perchè magari al suo interno poteva esserci qualcosa che mi avrebbe condotta al suo legittimo proprietario. Poteva essere importante. Mi piegai, la raccolsi e mi fermai a sentirne la consistenza ed il profumo. Non era una carta qualunque. Era una carta molto elegante che doveva essere costata più delle normali carte da lettera da supermercato. E profumava. No, forse sarebbe meglio dire “odorava” perchè si trattava di un odore capitato lì per caso, tracce delle mani e del corpo di chi l’aveva maneggiata.


La aprìì e vidi che era una lettera. Guardai al volo se ci fosse un riferimento per poterla recapitare o restituire ma non c’era nulla e così mi fermai, riattraversai la strada e mi sedetti su una panchina nel parchetto di fronte alla mia fabbrica, per leggerla con calma, per gustare quelle emozioni che mi erano state cedute gratuitamente ed involontariamente.


Diceva così:


Cara Sylvie,


non riesco a capacitarmi di ciò che è successo. Davvero. Le tue parole sono state crude ieri. Lì per lì ho pensato di essere andato oltre, di aver esagerato nel parlarti in modo assolutamente sincero. In fondo, noi non ci conosciamo. Non così tanto da poter affrontare un discorso così personale. Eppure mi sento tradito, mi sento infangato, mi sento travisato e non ho più altro modo di dirtelo che questo, perchè tu non rispondi più ai miei SMS e telefonarti non voglio: sarebbe troppo, per te, ma soprattutto per me, per il mio orgoglio sbattuto.


Vedi, probabilmente mi sono lasciato sfuggire di mano i miei sentimenti. Non so perchè. Io sono sposato, ho tre figli. Certo la mia vita non è perfetta. Non è uno di quei quadri che guardi ed ammiri perchè rispecchia alla lettera l’immagine che tu hai dentro di te di ciò che è raffigurato. Nella mia vita ho avuto anche io i miei sogni stracciati, i miei sogni rubati. Ho commesso anche io i miei peccati. Ma ora ho raggiunto un equilibrio, ho accettato la mia vita così come è e non ho intenzione di cambiarla: lo stravolgimento diventerebbe tale che non lo sopporterei.


Poi all’improvviso sei arrivata tu, elegante ed in punta di piedi. Discreta al punto che tra un sorriso e l’altro ci hai impiegato mesi ed io no... no Sylvie, non pensavo proprio a nulla, non provavo proprio nulla se non un sottile piacere legato all’aver aggiunto una piccola amica con la quale chiacchierare, confrontarsi: una persona diversa da quelle che frequento di solito con la mia famiglia o nel mio lavoro. E per me era sentirmi più ricco, dentro. Era poter capire alcune cose in più della vita, attraverso altri occhi. Ma non pensavo di poter avere una storia con te, no, questo no. Era fuori dai miei schemi.


Poi all’improvviso quel gioco, quella sfida del cercare la cosa più strana tra i viali del parco, solo camminandoci attraverso. Non ricordo davvero come era nata. Forse mi avevi detto di aver sognato di trovare una rotella di un modellino aereo in una cesta su di una panchina? Qualcosa del genere. Ma insomma, quella passeggiata nel parco, quel confrontarsi, quel correre e poi fermarsi, sorridere e godere della semplice compagnia l’uno dell’altro, dimenticandosi di avere altro da fare, stando l’uno affianco all’altra così senza pretendere o cercare nulla... beh, Sylvie, tutto questo mi ha regalato un’emozione. Non ho pensato che da lì potesse nascere qualcosa tra me e te, non ho pensato di tradire mia moglie nè altre cose che offendono la mia o la tua dignità. Semplicemente sono diventato ingordo di emozioni e così ti ho cercata ancora. Ti ho cercata con mille scuse, ti ho dedicato una poesia che ho trovato per caso mettendo a posto dei cassetti nella scrivania.


Non l’hai gradito, ma io non posso farci molto se non a questo punto tenere queste emozioni per me, metterle in ordine in una scatola e chiudere a chiave riponendola nella memoria. Ti scrivo solo perchè oggi mi sento offeso, offeso di essere stato paragonato a qualcuno che da te voleva solo un rapporto vile, fisico, ordinario. Non era questo che cercavo. Non era questo che volevo. Non era questo che sognavo.


Vedi Sylvie, un uomo vive di emozioni. Forse non è giusto “rubarle”. Forse prima bisogna chiedere il permesso, ma io non sono il tipo da dire “Scusa, mi fai vibrare il cuore lì un po’ a destra... no no più in basso...”. Quando viene il mal di pancia non te lo cerchi. Quando ti senti stringere la morsa dello stomaco oramai l’emozione l’hai già catturata, snasata in giro e non puoi più restituirla, nè chi te l’ha data può pretenderla indietro. Oramai è diventata tua, l’hai colorata, fatta crescere, trasformata.


A me è successo semplicemente questo.


Non ho mai chiesto nulla a te. Non ho mai pensato di poter entrare nella tua vita. Mi hai detto “Esci, non voglio noie nel mio locale”. Va bene, esco. Solo che il tuo locale era carino da fuori, illuminato, con le vetrine pulite, in ordine. La proprietaria era affabile. Sono entrata in punta di piedi e dentro ho respirato qualcosa di bello: così ho pensato di fermarmi a guardare in giro, ma senza l’intenzione di spostarne gli oggetti, cambiare l’arredamento e trasformare qualcosa. A volte, cammini sul filo del rasoio, ma te ne accorgi solo quando la lama ti penetra nella pelle e sanguini.


Volevo dirti questo Sylvie. Solo questo.
Niccolò


Alzai gli occhi dalla lettera e solo allora mi accorsi di averla macchiata con una lacrima.


Rilessi quella frase: “Quando ti senti stringere la morsa dello stomaco oramai l’emozione l’hai già catturata, snasata in giro e non puoi più restituirla nè chi te l’ha data può pretenderla indietro. Oramai è diventata tua, l’hai colorata, fatta crescere, trasformata.” E infondo era quello che provavo in quel momento. Niccolò mi aveva regalato un’emozione. Senza che lui lo volesse. Senza che io lo chiedessi. E non sapevo cosa farne.


Pensai che la cosa migliore potesse essere rimettere la lettera lì dove l’avevo trovata. Forse Niccolò sarebbe mai tornato indietro a cercarla. Forse Sylvie l’avrebbe trovata per caso. Non me la sentivo di intervenire in quella storia, così ripiegai la lettera, la riposi esattamente nel punto dove l’avevo trovata e me ne andai.

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