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4 nov 2010

Trilogia: il Buio, lo Specchio e la Luce

Il buio


98342 by yorehaslosthistail-d5go84s
www.deviantart.com
 La fiamma mi brilla davanti agli occhi e ne scorgo i riflessi arancio, giallo, azzurro e verde. Se avessi uno specchio di fronte, vedrei i miei occhi lucidi attraverso quella luce, come se fossi altro da me. Non so se capirei il dolore che dietro si cela inconfessato. Non so se azzarderei i pensieri che in realtà mi opprimono ora.

Vedo la fiamma accostarsi alla mia bocca in un gesto che avevo dimenticato: una sigaretta. Ma è l’ultima sigaretta del condannato a morte. L’ultimo respiro. Senza sentirmi in colpa. Senza sentirmi i soliti rimproveri nelle orecchie. A parte che non c’è nessuno affianco a me a ripetermi che fa male. Adesso però so che è il male minore. Così aspiro, dopo mesi di digiuno aspiro e sento la morte che mi riempie la bocca. Tossisco. Ho aspirato troppo. Non pensavo che ci fosse questo effetto per me, che ho fumato anni – anzi! – decenni della mia vita. Evidentemente questi mesi che non l’ho fatto mi hanno purgato i polmoni oltre che privato il cervello della sua droga. Eppure mi intestardisco e riprovo con un’altra boccata. Stavolta va meglio. Non tossisco, sento il fumo che scende ed il cervello che si rilassa. Era ora. Da tempo l’avevo desiderato, ma non immaginavo più di rifarlo ancora.



Sono seduta a terra, davanti alla finestra aperta e guardo il parco. Piccole luci illuminano un sentiero dove due ragazzi passeggiano. Li vedo attraverso il fumo che espiro, ma loro non lo sanno. Loro non se ne importano. Non immaginano che qualcuno stia osservando i loro baci e le loro carezze. Non badano che a cercarsi con le mani e con la bocca, in un istante che a loro pare l’eternità. Intorno a loro non c’è nessuno. Sono appoggiati ad una panchina. Lui è seduto. Lei un po’ si sdraia con la testa sulle sue gambe, un po’ gli si mette a cavalcioni. Anche io un tempo l’ho fatto. Quanto tempo fa? Non ricordo. Non voglio ricordare, perchè non ha più senso.

Passano due macchine. E’ tardi, è l’una di notte e c’è qualcuno che ancora non è a letto. Qualcuno che rientra da una festa o da una cena tra amici, tra parenti. Chissà. Non che m’importi, ma mi affascina il fatto che per un attimo, un breve momento, si possa essere accomunati ad uno sconosciuto per il solo fatto di trovarsi in un certo posto insieme. Sì, certo, io sono nella mia casa a guardare il mondo fuori dalla finestra e lui è fuori, nel mondo. Eppure siamo qui. Entrambi. A pochi metri di distanza e senza volerlo siamo stati uniti dal destino. Quante volte succede? Ogni giorno, ovunque. Tu sei fra la gente e la gente condivide quei tuoi istanti, a volte importanti, a volte no. A volte vorresti dimenticarli mentre qualcun altro vorrebbe ricordarli o tenerli fermi lì per sempre. Pensa a questo istante: quei ragazzi lì vorrebbero tenere fermo il tempo, l’autista vorrebbe correre appena pochi minuti più avanti per essere già a letto e non fare la fatica di scendere dall’auto, salire a casa, mettersi a letto. Io. Io? Io vorrei aver già concluso quello che ho in mente e dimenticarmi di questa faccenda.

Sento un rumore alle mie spalle. A casa non c’è nessuno, per cui sarà Alessandro, il ragazzo che abita vicino, che rientra da qualche posto. Magari era lui l’autista che guidava. Le pareti non sono così spesse, perciò si sente tutto. Sento quando fa l’amore con la sua ragazza, sento quando suona la chitarra, sento quando passa l’aspirapolvere. E lui sentirà me quando piango. Perchè piango, ultimamente, molto. Troppo.

Mi riconcentro sulla sigaretta. Oramai è quasi finita. Comincio a sentire il sapore più forte ed amaro, sento il calore più vicino alla bocca. In fondo mi è piaciuta. In fondo non volevo smettere. L’ho fatto per qualcun altro. Come tutta la mia vita. Vissuta per qualcun altro, ma non per me. Ed alla fine sono rimasta senza niente per me, nemmeno una briciola per riempire il mio stomaco quando ha fame. L’unica soluzione è stata convincersi di non avere fame, di avere già mangiato. Prendersi in giro. Ironizzare. Provare a ridere, ma di me, con un sorriso da iena perchè sulla mia vita non c’è nulla da ridere.

Bene. Adesso che ho fumato posso andare avanti. Cosa c’era in piano? Il primo bicchiere di vino e la prima pasticca. Ho scritto tutto, così quando si annebbierà la mente avrò uno schema da seguire, non dovrò essere troppo razionale. Vai... butta giù... Fatto...

Non provo nessuna sensazione. Solo caldo, caldissimo allo stomaco. E forse un brivido di freddo che viene da fuori. Un alito di vento che è sfuggito tra gli alberi e mi ha schiaffeggiato. Chissà, forse si era accorto di quello che sto facendo...

Adesso mi accendo una seconda sigaretta e provo a farmi un’intervista. “Hai deciso di suicidarti e decidi di lasciare scritto qualcosa a qualcuno. Cosa scriveresti a chi”. Che domanda del cazzo! Ma io ho già deciso e perchè dovrei scrivere a qualcuno? Qualcuno si è interessato a me negli ultimi trecentosessantacinque giorni, per caso? Se trovate una sola persona che lo ha fatto, allora io sì, penso che dovrei lasciargli scritto qualcosa. Ma non c’è. Non mi viene in mente nessuno. Cosa dovrei scrivere e a chi? Al mio capo ed ai miei cari colleghi? Sono stata messa da parte, spinta a fare un lavoro di merda del quale a nessuno frega. Mi hanno deriso, infangato. Si sono presi gioco di me, di quello che ero stata. Sempre con il sorriso sulla bocca. Sempre con le braccia fintamente aperte. L’azienda dei lunghi coltelli. Non cercavo amicizia, no. Ma nemmeno la guerra. Se avessi voluto la guerra avrei fatto il soldato. Bene... beviamo alla salute di tutti i colleghi, quelli che magari un gesto di amicizia te lo hanno offerto davvero, però eri troppo deluso per vederlo. E a quelli per i quali brindi che il liquido vada di traverso perchè sogneresti di vederli arrancare come te, senza respiro. Giù.. un altro bicchiere ed un’altra piccola caramella.... Senti che caldo dentro? Chi lo dice che la morte è fredda?

“Ma guardati in giro. Non c’è solo il lavoro” diceva il Grillo Parlante a Pinocchio. Certo, Grillo. C’è anche l’amore. L’amore che ferisce, che ti uccide dentro. Quello che ti crea delle emorragie dentro l’anima che nemmeno il sorriso più aperto di un bambino può suturare. L’ho cercato l’amore. Chiunque può confermarvelo. L’ho cercato aprendo il cuore ai sorrisi, avendo fiducia in chi mi tendeva una mano. Cosa ho trovato? Vampiri e demoni, pronti a succhiarti l’anima per venderla all’inferno. Infedeli alla ricerca del solo sesso. Eterni Peter Pan alla ricerca di Campanellino solo per sentirsi elogiati ed amati, ma disposti a darti solo una notte di gioia, contro una vita di dolore. Ricordi? Sì, parlo proprio con te. Ricordi come ci siamo conosciuti? Eravamo ad una festa insieme. Io come al solito, la piccola sfigata seduta sulla sedia che aspettava qualcuno che mi venisse a chiedere di ballare. Tu. Il solito che le becca tutte purchè respirino. Uno di fronte all’altra. E’ stato un attimo. Mi hai visto brillare gli occhi e mi hai riconosciuto. La preda. Hai attraversato la foresta di persone che ci divideva e hai puntato dritto su di me. Due bicchieri in mano. “Ho perso il mio amico. Ti va un Martini?”. Te lo aveva detto qualcuno che io adoro il Martini, vero? Eri bellissimo. Lo sei ancora. Nonostante l’età. Mi invitasti a ballare. Mi appiccicasti il tuo corpo addosso e la lingua nell’orecchio e sul collo. Fu come fare la doccia ballare con te. Ma mi piacque talmente tanto che la mente si offuscò e quando mi chiedesti il numero di telefono per chiamarmi il giorno dopo io non esitai nemmeno un attimo. Faccio la doccia tutti i giorni. Potrei abituarmi anche a sentirmi il tuo corpo addosso tutti i giorni. Mi hai chiamato. Mi hai cercato. Per un mese sembrava che non vivessi senza di me. Mi cercavi a tutte le ore. Venivi a casa mia preso dalla disperazione e dalla gelosia. Poi un giorno puff! Sei sparito. Ti ho cercato ovunque, ma non ti sei fatto trovare. Fino a qualche settimana fa... dopo anni ti ho trovato... quanti? Venti? E per me è stato come se fosse passato un solo giorno. Mi hai detto “Ti chiamo”. Sto ancora aspettando... allora, senti, senti questa. Bevo alla tua salute. Un altro bicchiere ed un’altra caramella. Sento il calore. Tutto il calore che speravo di avere da te e tu non mi hai dato.

“Possibile che non hai nessuno che ti voglia bene? Una famiglia, dei figli?” Bella questa. Dove l’hai letta? Su dimmelo...dai, mi compro tutto il libro così posso ridere fino al resto dei miei giorni... cioè praticamente ancora qualche minuto... Aspetta, adesso mi accendo la terza sigaretta... ho deciso che mi faccio tutto il pacchetto... è piccolo, sono dieci... Dicevi? Una famiglia? Mio padre ha mollato mia madre quando avevo due anni. Se n’è andato con una ragazzina che aveva vent’anni. Ma ha avuto la sua vendetta. Lei l’ha mollato dopo dieci. Lui non ha retto ed è morto poco tempo dopo. Almeno l’amava. E’ l’unica cosa che posso portare a sua discolpa. Però non mi è bastato. No. Non è bastato a riempire il vuoto che ha lasciato dentro. Ho ancora le immagini di me a scuola, sola con mia madre, mentre la maggior parte delle mie compagne avevano anche un padre affianco. E’ morto... dicevo così anche quando lui era vivo. So che non ne era orgoglioso, ma era l’unico modo per non sentirmi in colpa per quell’assenza. E lei, mia madre. Piccola, umile, esile. Lei ha retto l’universo perchè non mi crollasse addosso. Cosa l’abbia aiutata a sostenere quel peso non lo so. Perchè lo abbia fatto non lo so. Immagino per me. Immagino per quel motivo che invece a me non viene in aiuto in quest’istante... Figli... Non ho mai avuto un compagno degno di questo nome, figurarsi dei figli... Avrei dovuto metterli al mondo per farli soffrire? Io non ero della statura di mia madre. Io non avrei mai potuto reggere quello che ha retto lei. No... posso provare a bere alla salute dei miei figli che non sono mai nati, che sono da qualche parte dell’universo, inconsistenti, informi, con metà delle mie sembianze e metà del vuoto che rappresenta il loro padre. Salute...

Adesso aspetta. Ferma l’intervista. Devo vomitare... Io non reggo l’alcool, questo lo sai...

Ecco. Sono tornata. Mi sento euforica... metto un po’ di musica. Un po’ di buona musica.. Heavy metal, quella dei miei tempi... ecco.. e mi accendo la quarta sigaretta... Che tempi quelli nei quali andavo in discoteca... Via di corsa da casa prima che mia madre si accorgesse che ero in minigonna e vai sulla moto di Franz... Quante volte mi sono scottata con la marmitta. Tornavo a casa con delle veschiche pazzesche tutte le volte che uscivo con Franz. Oramai mia madre lo sapeva... quando vedeva quelle macchie bluastre sulla gamba mi diceva “Sei uscita di nuovo con Franz?”. Non lo poteva vedere. Diceva che si drogava. In realtà... in realtà io l’ho visto solo una volta farsi uno spinello, nella sua Cinquecento blu con la capotte. Io non ho mai fumato nè assaggiato droga. Ho solo fumato sigarette. La prima a diciotto anni, dietro il cancello della scuola, nella vietta dove ci si fermava per raccontarsi le storie della sera prima, allora che non c’erano i cellulari... Beviamo alla generazione tecnologica, quella che si prende e si lascia con un SMS... e buttiamo giù un’altra caramella... mi sa che le altre le ho vomitate tutte di là prima... dovrò mica ricominciare?

Mi sta venendo sonno... ma l’intervista deve continuare... come il titolo di un libro di Oriana Fallaci “Intervista alla storia”. Come il titolo della canzone dei Queen “Show must go on”. Chissenefrega del sonno quando stai per morire? “Come ti senti?” incalza l’intervistatore. Come vuoi che mi senta, brutto pirla? Mi sento male... ho già quanti? Quattro, cinque bicchieri di vino extraforte in pancia, che già non è male per una che è praticamente astemia ed altrettante pasticche di tranquillanti e un’aspirina. O almeno quel che resta dopo averne vomitato un po’. Sento un caldo tremendo dentro ed un freddo pazzesco fuori. Non so come sia possibile ma è così... sento montare dentro una sensazione strana. Sento questo fuoco che arde. Come il fuoco dell’accendino... a proposito, ecco la quinta sigaretta... sono a metà strada, ma non so se ce la faccio a finire il pacchetto. E mi sento strana. Sai come quando pensi che debba succedere qualcosa e ne sei convinto e te lo aspetti e sei lì come un ebete e pensi “Adesso succede”... e poi ti accorgi che non è successo nulla... beh, io non so se succederà qualcosa, ma sono sicura di sì... sento le gambe molli. Per fortuna sono seduta. Mi viene da ridere. Buffo. Non ho nulla da ridere eppure rido. Sono qui che scrivo al computer il diario degli ultimi minuti. Sto elencando i motivi più seri e drammatici per i quali ho deciso di suicidarmi e mi viene da ridere. Ci sarebbe quasi da incazzarsi... già... ci sarebbe quasi da incazzarsi ma allora perchè sto ridendo con le lacrime agli occhi? Aspetta... adesso mi alzo e faccio la prova della gamba... vediamo a che punto sono... se sto in piedi allora non posso ammazzarmi subito. Sono troppo cosciente...

Ahia! Ecco sono caduta, allora la cottura è al punto giusto... vai, la sesta sigaretta...devo affrettarmi... quindi due bicchieri e due pasticche... sento dentro una fitta. Sento dentro un dolore pazzesco. La risata lascia il posto alla realtà. Perchè sono qui? Vuoi saperlo davvero? Perchè non ho alternative. Non ho più nulla. Ho le mani vuote. Non riesco più a dare nulla alle persone intorno a me, nè a ricevere da loro. Me lo dicono. Me lo dicono che non stanno più bene con me, perchè sono egoista, perchè le faccio sentire una merda, perchè mi incazzo per nulla. Perchè lo faccio? Me lo chiedo eppure non trovo una risposta. Io un lavoro ce l’ho. Brutta gente mi circonda, ma un lavoro ce l’ho. E c’ è gente che non ce l’ha. Donne come me fanno le puttane perchè un lavoro non ce l’hanno. Ed io sputo sopra quello che ho. Dovrei sputare in faccia a chi me lo fa odiare. Eppure quel minimo di decenza che mi è rimasta in fondo mi mette nelle condizioni di non farlo e mandare giù ogni giorno un boccone amaro, piuttosto che sputarlo in faccia a chi mi vuole fare sentire una merda. Licenziarmi? Non potrei vivere senza lavoro. Come faccio? Vado a dormire alla stazione Centrale sperando di innamorarmi del primo City Angel che mi raccoglie per pietà? No. Però potrei aspettare domani a suicidarmi. Potrei prendermi la soddisfazione di licenziarmi e suicidarmi domani sera... No... non si può, oramai sono a metà. Il coraggio di oggi non ce lo avrò domani. Devo continuare... accelerare.. un altro bicchiere, un’altra pasticca e la settima sigaretta.

Squilla il telefono. E’ mia madre. Lo lascio squillare. Si accorgerebbe che non riesco a spiccicare una parola. Prima ho balbettato qualcosa tra me e me e mi sono resa conto che non riesco a mettere insieme più di due consonanti e due vocali. Ma è normale... forza un altro bicchiere, alla salute di mia madre che continua a chiamare. Mamma non ti rispondo... mi sto suicidando... lo vuoi capire? Eh... già, se lo avessi capito saresti qui a bussare al citofono invece che al cellulare. Ma tu non mi hai mai capito. Eri troppo forte tu. Eri troppo impegnata ad impedire che l’universo crollasse un po’ più in là rispetto a dove ero io per occuparti di me. Eri la volta che mi sovrastava, eri il cielo sopra di me, sempre azzurro, ma tra te e me c’era il vuoto, senza ossigeno. E’ così che mi sento. Il tuo amore non è riuscito ad attraversare quel vuoto. Ti vedevo affannarti, correre e sapevo che lo facevi per me ed in fondo mi sentivo un po’ in colpa per quello. Volevo ringraziarti, ma quanti modi ha una bambina per ringraziare un adulto? Un adulto troppo infervorato per accorgersi che per evitare che il mondo mi schiacciasse bastava solo prendermi e portarmi via, tenermi stretta tra le tue braccia, vicino al tuo cuore.

Non c’è altro, in fondo. Nulla di più. Sono qui, con l’adolescente che scriveva i diari le domeniche pomeriggio in camera sua con la radio accesa, con la ragazza che sbavava dietro ai poster di Antonio Cabrini perchè non aveva nessun amore per occuparle i pensieri davvero, con la me stessa di venti anni fa, quella di dieci e quella di cinque. Tutte insieme in un solo dolore. Tutte insieme sullo stesso bicchiere. Un altro ed un’altra sigaretta. E siamo a nove.

Una costante. Il dolore è stata una costante. Tagliato qui e là da qualche momento felice. Si dice che la mente rimuove i ricordi dolorosi. Beh, allora dovrei subire una lobotomia perchè il mio cervello è pieno di cose da rimuovere. Squilla ancora il cellulare, ma è un SMS. Non ci posso credere. Tu... ti fai vivo nei momenti nei quali meno me lo aspetto. Mi chiedi di vederci stasera... sì, potrei... sono sola ma sto facendo la cosa più importante della mia vita e non ti voglio tra le palle. Capito? Quando avevo bisogno e ti chiamavo non c’eri. Mi hai buttato fuori dalla tua vita senza scuse e spiegazioni, il giorno dopo che avevi fatto l’amore con me. Ed ora dovrei correrti di nuovo incontro, come ho fatto tutte le volte che mi hai chiamato? Sto riacquistando la mia dignità e qualcuno direbbe “Meglio tardi che mai”. Quindi non ti risponderò. Anche se mi si sta profilando a dispetto dell’annebbiamento da alcool un disegno malvagio, quello di dirti di venire qui da me, per farti poi gustare lo spettacolo di un cervello spiaccicato sull’asfalto. Ma forse non ti sentiresti nemmeno in colpa. Ciò che non dà lustro alla tua persona a te non tange. Nemmeno con un gesto estremo catturerei il tuo amore. E allora fanculo, resta lì ad aspettare che risponda al tuo messaggio...

L’ultimo bicchiere e l’ultima sigaretta.

Un sorso di vino. Una boccata di fumo. Si mischiano e l’effetto è micidiale. Sento il calore attraversarmi il petto, proprio tra i due seni e scendere giù verso la bocca dello stomaco per poi salire velocemente a picchiarmi in testa. Nebbia dappertutto. Forse è davvero arrivato l’ultimo momento. Aspiro ancora fumo... forse devo farlo ora. Adesso che non ci sto più tanto con la testa. Sarà più facile perdere l’equilibrio e volare. Che bello... Non vedo l’ora di provare questa sensazione. Aprire le ali e finalmente librarmi verso l’alto, un solo attimo prima di precipitare giù. I rumori intorno iniziano ad attutirsi... devo fare presto, sennò crollo prima di riuscire a salire sul davanzale. Appoggio il computer perchè devo smettere di scrivere, ma in qualche modo devo continuare a raccontarti la fine...

Ecco... chiudi gli occhi e senti la mia voce che racconta: ce l’ho fatta... sono sul davanzale. Sotto a me il vuoto. Totale. Sono nella situazione ideale: vuoto dentro e vuoto fuori. L’quilibrio dovrebbe reggermi, in fondo è una legge fisica quella del bilanciamento oppure no? Cosa direbbe il prof del liceo, quello che non mi interrogava mai in fisica perchè tanto sapeva che ero secchiona e studiavo? Se due forze spingono in direzione opposta su un oggetto con la stessa intensità l’oggetto rimane fermo, corretto? Ultima boccata. Poi vado... davvero, devo andare. Non trattenetemi più. Il racconto è finito. Torna a fare quello che facevi prima. Perditi pure questa fine. Tanto è amara. Torna dov’eri. Dov’eri? In ufficio e hai deciso di prenderti una pausa? A casa mentre tua moglie, tuo marito, tua madre o tuo padre urlano che la cena è pronta? O ti stanno urlando di spegnere il computer perchè è un mucchio che stai come un ebete davanti? Ascoltali. E’ un consiglio saggio. Smettila di leggere queste cazzate e torna alla tua di vita.

Lascia perdere la mia vita. E’ la mia, non è la tua e non devi per forza stare qui a sentirmela raccontare. Io non sono nessuno per te, capisci? Io no. Non capisco cosa è che ti tiene attaccati gli occhi a questo racconto. Pensaci. Forse se mi conosci avresti potuto intervenire prima che io giungessi a questo punto, vero? Pensaci. E se non mi conosci allora cosa ti importa di leggere la fine? E’ l’ultima volta che te lo chiedo. Spegni e vattene. Se vai avanti, ti resterà l’amaro in bocca. Se te ne vai non saprai mai se l’ho fatto davvero, ma ti resterà una speranza.

Io speranze non ne ho più. Ho cessato da un po’ di sperare di averne.

Io non ho un posto qui su questa terra... non l’ho mai avuto. Io posso solo volare. Nei sogni degli altri. Nella ebbrezza del vivere degli altri. Ma non vivo di me. Non vivo della mia vita. Per questo ho deciso che se non ho una vita, allora posso decidere di morire quando voglio. Ad esempio adesso. Il cuore batte all’impazzata. Gli occhi passano dal cielo alla terra. Ho le vertigini. La sensazione di equilibrio sta cessando. Sento che devo andare. Coraggio, poi vedrai che sarà tutto finito, mi dico. Cosa è questo sentimento che compare in extremis e perchè? Non cambia ciò che penso. Non cambia i motivi per i quali sono salito qui sopra... ed allora .. devo andare, sì...

Uno... ho paura... Due... ho paura mio Dio ho paura però lo so... devo andare.

Solo un attimo. Questione di un attimo. Si formano tante immagini nella mia mente. Sorrisi, lacrime, visi, oggetti, pensieri, posti, ricordi, rimpianti, carezze.

Tre.

Lo specchio


Black Out by april_mo-d5gnpe9
www.deviantart.com
Mi fai schifo!
Ti guardo e non riesco che a pensare solo questo.
Puoi avere il mio viso, i miei occhi. Puoi parlare con la mia bocca e fare i gesti con le mie mani. Ma non riesci ad essere me. Sei lontana un universo da quello che sono io, dentro di me.

Tu sei falsa, sei bugiarda, sei senza scrupoli. Non credi in nulla.
Non saprei nemmeno dire quale obiettivo persegui.
Non saprei dire se ne hai uno. Ho qualche dubbio.

In fondo, pensa alla tua vita.

Prendi un argomento a caso. La famiglia. Cosa hai?
Guardati. Fai pena, oltre che schifo. Hai mandato all’aria quello che avevi faticosamente costruito per anni. Hai rovinato per sempre tuo marito e tuo figlio per rincorrere cosa? Chi? Un principe azzurro o un bastardo? Dici di esserti innamorata? Alla tua età?
Ma cosa ne sai tu, dell’amore, piccola stupida? Per te l’amore è ancora quello delle favole: e vissero insieme felici e contenti? L’amore non è quello, tesoro, sveglia!
L’amore è alzarsi la mattina affianco a chi vuole combattere quel giorno ancora insieme a te. L’amore è volersi svegliare avendo al proprio fianco la persona che fino a quel momento ha lottato con te. L’amore è non poter fare a meno dei difetti dell’altro ed essere stufo dei suoi pregi. Tu lo sai? Lo hai mai sperimentato? O alla prima difficoltà hai detto “Basta” e ti sei arresa?

Prendi un altro argomento. I tuoi genitori. Dove sono?
Ad un certo punto sei andata via. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. E così è stato. Te ne sei fregata della loro vita, li rifuggivi, non ne potevi più.
Eppure ti hanno voluto.
Eppure ti hanno amato.
Eppure ti hanno cercato.
Forse hanno sbagliato, ma tu, come madre, pensi di non aver mai sbagliato con tuo figlio?
Non chiederti dov’erano quando soffrivi. Chiediti dove sei tu ora quando soffrono.
Non chiederti dov’erano quando avevi bisogno di amore. Chiediti dove sei tu ora quando loro chiedono amore.

Vai, andiamo avanti con la lista. Il lavoro? Cosa vuoi? Essere Amministratore Delegato? Prova ad accontentati. In fondo non fai un lavoro degradante. Non sei umiliato ogni giorno come capita a certe persone che lavorano per uno sputo di soldi. I tuoi soldi li guadagni e li guadagni bene... o sbaglio?
Certo, non sei nell’azienda ideale. Ci sono piccole faide e piccole battaglie, ogni tanto torni a casa con qualche ferita. Ma in fondo cosa ti aspettavi? Che ti stendessero il tappeto rosso appena entrata e ti dessero quattro giovani a sventolarti le piume quando hai caldo?

Sveglia, ragazza...

Più ti guardo e più mi chiedo come tu faccia ogni giorno a sostenere l’immagine che hai di te, a crederti invincibile, a credere di poter spaccare il mondo, a credere che tutto ti sia dovuto.
Lo sai cosa c’è dietro di te? Lo sai cosa vedo nei tuoi occhi?
Vedo il vuoto.

Tu non pensi. Tu non ti lasci nemmeno sfiorare dal pensiero.
Ti abbandoni all’istinto e te ne freghi di ciò che provochi intorno a te.
Eppure lo sai che hai i giorni contati, vero? Ma questo non ti fa cambiare.
Ogni giorno a testa alta, spavalda, attraversi la tua giornata fino a sera.
Poi arrivi qui, in questa casa, davanti a questo specchio.
E ti smonti.
Metti via gli occhi dolci.
Metti via il sorriso.

Ti guardi dentro e quello che vedi non ti piace.
Come si cambia? Come si fa a cambiare?
Dov’è la leva per girare e cambiare direzione?
Forse non sai in quale direzione andare, eppure basterebbe solo voltare un po’.

Hai letto stamattina di quella donna? Sì, quella che si è suicidata.
La invidi? Non conosco nessuno che abbia mai invidiato un altro perchè è riuscito a togliersi la vita. Preoccupante la tua affermazione...
La capisco, tuttavia. Sei invidiosa della sua scelta. Sei invidiosa della sua scelta.
Quella donna in un modo o nell’altro ha saputo scegliere, ha trovato il coraggio di prendere una posizione.

E tu?
Tu sei ferma al bivio e rimani lì, voltando prima la testa a sinistra e poi la testa a destra.
E non ti decidi. Non vedi nulla di buono nè da una parte nè dall’altra.
Forse perchè è nei tuoi occhi che manca l’anima.
Forse perchè il tuo spirito è errabondo.

Sei al confine tra il male ed il bene. Come doctor Jekyll e Mr Hyde.
La mattina vesti i panni del cattivo e la sera torni in te e davanti a questo specchio ti dici che la tua anima non ti piace.
Fai qualcosa allora.
Scegli. Scegli se restare al buio o se camminare nella luce.
Solo tu puoi decidere. Nessuno lo farà per te.

Nemmeno io che sono la tua immagine nello specchio.

La luce


Darkness and Light by han_van_zem-d5fysrv
www.deviantart.com
La mia mano trema mentre si appoggia sul portone della chiesa e lo spinge all’interno per entrare. Bisogna fare una grande fatica perchè è uno di quei portoni massicci, di quelli antichi con tutti i rilievi che riproducono immagini dei profeti, un po’ acciaccato dal tempo, di colore verde in alcuni punti. Spingo con tutte le mie forze e penso che è una metafora della fatica e dell’impegno che comporta l’essere cristiani. E’ come se Dio mi dicesse “Se vuoi venire a parlare con me devi volerlo davvero, devi crederci davvero, perchè dura fatica entrare qui e credere che io ci sia”.

Quando sono dentro mi accorgo di essere sola. La chiesa è deserta e la solitudine si amplifica in quella navata alta e stretta dove ogni mio respiro potrebbe perdersi senza che io riesca a ritrovarlo. Mi guardo in giro. Sono proprio da sola. Ma non mi interessa, anzi meglio, così forse Dio puoi starmi a sentire. Non hai nessun altro da ascoltare. Tutte le orecchie per me, se le hai le orecchie. Buffo... ti immaginiamo come noi perchè ci hai fatto a Tua immagine e somiglianza, ma poi mi chiedo come faccia un puro spirito come Te ad avere naso, orecchie e bocca. Non si può... davvero no. Mi scappa un sorriso e la cosa mi rincuora. Già mi fa bene essere venuta qui, dopo tanto tempo. Quanto? Non me lo ricordo più. Una vita fa, forse. Quando frequentavo l’oratorio perchè mi piaceva Daniele, ma lui non le vedeva le ragazzine. Era più grande di me!

Forse lo so perchè sono venuta... Come tutti, mi sono ricordata di Te solo quando ho pensato di aver bisogno di Te. Ho letto stamattina di quella donna che si è suicidata gettandosi dal davanzale della finestra. Che tristezza! Hanno trovato un pacchetto vuoto di sigarette e del vino. Il cellulare con due chiamate non risposte: chissà cosa sarebbe successo se avesse risposto... Ha raccontato su un PC la sua serata fino al momento in cui è salita sul davanzale. Deve essere stato terribile per Te vederla lì, sola, che urlava aiuto e non fare nulla, vero Dio? Perchè Tu ci dai la vita ma poi te ne sbatti di quello che ci succede. Lo hai chiamato “libero arbitrio”, ma, quando sbagliamo, da buon Padre ci perdoni ma poi non ci aiuti a portare il peso dei nostri rimorsi. E che razza di padre sei, allora? Lasci che decidiamo della nostra vita e ci punisci se decidiamo di togliercela, ma Tu cosa hai fatto perchè potessimo portare il peso dei dolori che con la vita ci hai regalato?

Lo so, lo so. Non è un atteggiamento cristiano. Questo l’ho imparato da piccola... Ne viaggiano tante di storielle su di Te. Ne ricordo una in particolare, quella che racconta che Tu cammini al nostro fianco e quando le impronte da quattro diventano due in realtà non è perchè ci hai abbandonato, ma è perchè ci stai portando in braccio. Bella. Sì, l’immagine è bella. Quando sono stata male l’ho sempre pensato: ‘Ecco, adesso Dio viene e mi porta in braccio’, ma Tu non arrivavi mai ed io mi dicevo “Ci sarà qualcuno più in difficoltà... in fondo le mie sono piccole cose..” Ma questo non mi dava nessun conforto, sai? Non mi aiutava a sollevare il cuore dal peso che io portavo, senza Te. Non mi aiutava a svegliarmi la mattina con un sorriso. Te lo dicono tutti: “Sorridi, così le cose vanno meglio”. Ho provato a mummificare il sorriso sulla mia faccia e nel cuore, ma non è servito a nulla. Quando ho sofferto non c’era mai nessuno. Ero sempre sola dentro. Una solitudine che ti spacca. Vedi tanti intorno a te. Qualcuno davvero ti regala un sorriso, un abbraccio ed una parola di conforto. Da’ calore. Solo per un attimo. Poi è inevitabile che dentro di te torna il buio. La piccola lampadina si accende per essere poi soffocata dal buio: il buio può sopravvivere in eterno. La lampadina prima o poi si fulmina. Certo, Tu mi dirai: la luce sono io. Ma non brilli per me, questo l’ho imparato. Forse sono altre le pecorelle smarrite per le quali brilli. Non per me. Io sfuggo al tuo sguardo. Sono lì, fuori del tuo campo visivo. Al freddo della grotta ed al buio, lontano dal bue e dall’asinello che fanno calore. A volte mi sento proprio così e Tu non ci puoi fare niente. O forse non vuoi...

Perciò, Dio, io la capisco quella donna. La capisco davvero. Ci sono momenti nei quali ti ritrovi di fronte ad un muro. Sai che ti stai per schiantare ed allora credi sia inutile rallentare la corsa. Anzi. Decidi di accelerarla perchè così la fai finita e non ci pensi più. Tanto sai che non interessa a nessuno. Tanto sai che il dolore di una morte per quanto intenso ti prende per un po’ e poi passa. E’ nella natura umana. Forse sei Tu stesso che hai fatto in modo che nessun dolore sia abbastanza forte da restare nel tempo. E forse noi stessi, se pensassimo a questo, decideremmo di sopravvivere a quel muro, immaginando che dopo lo schianto ci sia qualcosa per la quale vale la pena di sopravvivere al nostro dolore. Sopravviverci. Letteralmente: viverci sopra. Sopra al dolore che attanaglia il cuore. Sopra alla speranza che non c’è più. Sopra ad ogni mattino, quando i tuoi occhi si aprono e tu maledici il momento in cui la notte è cessata ed il sole ha ricominciato a sollevarsi, perchè come un vampiro tu non sopporti la luce. Sei abituato al buio, forse te lo cerchi persino!

La capisco. Certo che sì perchè so cosa vuole dire quando l’amore non c’è, quando intorno ogni appiglio scompare, come una montagna sulla quale ti stai inerpicando che nasconde le sue pietre ove potresti trovare un appoggio. Non so se si debba avere più coraggio per morire o più coraggio per vivere. Forse la seconda. Decidere ogni giorno di alzarsi da quel letto, comunque, vuol dire avere tutta la forza di questo mondo per sollevare ogni centimetro di pelle che spinge più della forza di gravità per restare giù. Vuol dire avere il coraggio di aprire le palpebre quando pesano come saracinesce antieffrazione. Vuol dire mandare giù qualcosa comunque anche quando lo stomaco è completamente chiuso e quello che mangi ti torna su. Vuol dire coprirsi ed uscire quando fa freddo, immergersi negli umori della gente nel metro, coglierne gli odori, strofinarsi ai loro dolori - non bastassero quelli che già ciascuno ha! - riscaldarsi alle loro gioie, arrivare al lavoro e tirare una boccata d’aria prima di passare quella porta a vetri e affrontare le umiliazioni di ogni giorno, i colleghi che ti guardano male, i colleghi che ti fanno uno sgambetto, i colleghi che ti sorridono e poi sta a te capire se è un sorriso giusto o falso. Uscire poi quando è ora e dirigersi verso casa, con l’amarezza di ogni giorno, tirarsi il collo per sopravvivere come madre e moglie ed alla fine arrivare la sera stanca, senza voglia di altro che annullarsi nel sonno della notte. Ci vuole coraggio, un piccolo coraggio ogni giorno. Più facile lasciarsi andare e dire “Basta”.

Tu da lassù chissà quante risate ti fai... vero? Vedi che ci affanniamo, vedi che combattiamo per qualcosa che non ha senso e ridi, ridi di noi. Soltanto a volte ci accorgiamo della nostra piccolezza. Quando qualcosa di più grande irrompe nella nostra vita, solo allora capiamo. Perchè siamo testoni, noi... perchè ci accorgiamo di quanto siano inutili le nostre rappresaglie del lavoro solo quando qualcosa sulla famiglia o sulla salute ci prende in contropiede. Solo allora ci accorgiamo di avere dato troppa importanza a qualcosa che non deve averla. E tu te la ridi... ridi senza bocca, perchè sei puro spirito... ma ridi o sorridi a quanto siamo infinitesimamente piccoli e stupidi. Pretendiamo di conoscere tutto della vita, ma non capiamo che una misera parte. E tu lo sai...

Non so perchè sono venuta qui dopo anni. Forse quel suicidio mi ha colpito. Perchè anche io tante volte ho pensato che fosse l’unica strada e se sono ancora qui è solo perchè ogni volta rifiutavo l’idea di essere in un vicolo cieco e cercavo sempre l’altra strada sulla quale incamminarmi, perchè doveva pur essere da qualche parte... Sono stata fortunata in questo. Forse se quella donna avesse visto un’altra strada non si sarebbe tuffata nel vuoto. Eppure lo ha fatto. Evidentemente lei era contro il muro, spiaccicata. Non hanno pubblicato nulla di quanto ha scritto eppure a me piacerebbe leggerlo. Mi piacerebbe leggere fino a che punto nello sconforto i nostri pensieri si accomunano e dove inizia quel bivio che da una parte ti porta alla morte e dall’altra ti porta alla vita. C’è chi non vede che una strada. Mi piacerebbe sapere da cosa è nascosta l’altra ai loro occhi e cosa provano nello stomaco, nel cervello, nel cuore e nella pancia quando hanno deciso di farla finita e sono all’ultimo minuto, all’ultimo secondo prima di andare via. Voglio capire io dove sono diversa, perchè proprio lì, in quella mia diversità, fino ad ora è stata custodita la mia salvezza.

C’è uno strano silenzio ed una strana luce qui dentro. Forse è solo la mia impressione o forse sono i miei ricordi che non funzionano. Ho vissuto qui per anni, ho frequentato questi luoghi nella mia infanzia. Ho qualche flash della comunione, della cresima, della professione di fede. Poi l’oratorio. Poi basta. Forse qualche matrimonio di amici d’infanzia. Nulla più. Sento l’odore dolciastro dell’incenso. Mi è sempre piaciuto. Mi ricorda le celebrazioni più importanti nelle quali veniva incensato l’altare. Ricorda qualcosa di sacro, qualcosa di immortale che va ben oltre rispetto a tutte le nostre piccolezze. Qualcosa che non ci è dato di capire, almeno adesso. Un domani chissà.

Mi sento quasi a disagio. Non so. Osservata da Te. Osservata dall’alto. Non mi fraintendere. Non mi sento giudicata. Per la prima volta nella mia vita non mi vergogno di quello che ho fatto, ma mi sento compresa. Una sensazione strana. Io che mi sono sempre sforzata di capire gli altri, di intuirne i bisogni, ora all’improvviso mi sento raccolta in uno strano abbraccio e compresa, senza che debba parlare per spiegarmi come mi sento. Dio, cosa stai facendo? Mi stai prendendo in braccio? Come nella favola delle impronte... ? Forse mi stai sollevando dal mio stesso peso e Ti stai facendo sentire dentro di me. Sarebbe bello da credere, ma la vita non è una favola. Quello che ti raccontano da piccoli presto si dimostra una enorme bugia bianca. Ti raccontano che la vita è bella, è amore e calore. Ma l’amore fa male. Questo non te lo dice nessuno. Lo scopri su di te, dai primi amori che ti tradiscono, ti violano, ti abbandonano, ti ignorano, ti logorano dentro il cervello ed il cuore. Da questi amori innocenti agli altri che vivi da adulto, quelli ai quali appendi tutte le tue speranze, che siano amori leciti o adulteri. Può capitare, porca miseria, diciamocelo. Può capitare che un giorno ti svegli e ti trovi innamorato di un altro. O almeno lo credi. E non dico che sia amore, quello con la “A” maiuscola. Basta anche solo un semplice innamoramento per sentirsi spiazzati, con l’infinità di differenze che ci sono tra i due sentimenti. Ti senti perduto. E ti senti sperduto. Forse ti prende proprio in quella piega di sofferenza del tuo cuore che per un attimo si è intravista. L’innamoramento è subdolo: ti prende senza che tu lo sappia. Gioca con la tua vita, con chi sta intorno a te, colora gli altri di sfumature che tu adori, fa brillare di luce quello che non hai e offusca quello che hai, così sei portato naturalmente verso ciò che è altro da te, altro dalla tua vita. E giorno dopo giorno sei sempre più sola ed il vuoto aumenta intorno. Un vuoto che non riesci a riempire.
Anche io mi sento un corpo vuoto. L’anima non so più dove sia. Ho tradito me stessa e quello che pensavo di essere. Ho tradito la fiducia di chi si appoggiava a me. Mi hanno tradito. Mi hanno rubato la gioia, il sorriso e la voglia di vivere. Sono qui seduta in questa chiesa vuota perchè vorrei essere stesa ai piedi dell’altare a presenziare al mio funerale. Solo a quel momento saltano fuori tutti quelli che ti volevano bene. Prima no... che buffo vero? Prima nessuno ti è al fianco, nessuno che ti restituisca l’anima che hai perso. Basta poi che il soffio vitale esca da te e tu diventi un altro ai loro occhi. Non mi piace, sai? Vorrei che la gente aprisse gli occhi, mi vedesse come sono fatta davvero dentro e mi accettasse per come sono, prima che io muoia. Può fare male, forse per questo la gente si illude che tu sia diverso da come sei e poi ci resta male quando scopre di essersi solo illusa. Ma tu che ci puoi fare, se ti sei sempre mostrata com’eri? L’illusione è colpa loro, non tua.

Tu no, sono sicura non ti sbagli sulle persone. Tu sai cosa abbiamo dentro. Nel bene e nel male. E ci lasci scegliere se combattere la nostra battaglia o arrenderci e lasciare il campo. Quante volte mi è saltato in mente di fermarmi e scendere da questo autobus? Migliaia... fin da quando ero ragazzina... ma mi si formava sempre l’idea che scendere era una sconfitta ed io sono una che non sa perdere. Mi fionderei in un’arena di soli tori piuttosto che rinunciare all’idea di provare a combattere. Sono fatta così. Forse sono più fortunata di quella donna: lei non aveva nè forza nè motivi per combattere, forse. O forse no? Io non sono nessuno per giudicarla. Tu invece sì... non irritarti con lei anche se ha sbagliato. Non dopo che la vita non le ha dato niente. Almeno tu, nella tua infinita pietà dalle qualcosa alla quale aggrapparsi. Anche se adesso è troppo tardi. E chi lo dice che è tardi?

Che strano... Sai? Non mi sento più sola. Mi guardo in giro, eppure nessuno è entrato dalla porta. Sento un po’ più caldo dentro, quel caldo che fa bene, nel quale riusciresti ad accoccolarti e dormire... è come... non so ... è come se ci fosse più luce intorno, proprio qui.. come se fossi sotto un riflettore e stessi tenendo un monologo ad un pubblico che ascolta silenzioso giù dal palco. Non vedo il mio pubblico, ma ne sento il respiro e l’attenzione su di me. Sei Tu il mio pubblico? Eh? Sei Tu che mi stai ascoltando? Se avessi saputo che era così semplice attirare la tua attenzione sarei venuta prima, anni ed anni fa... Non so... è come se avessi un po’ più di dolcezza dentro e voglia di continuare a credere che un giorno le cose possano cambiare. Perchè in fondo è questo, no? E’ la paura di non avere più sogni che ci uccide dentro. Basta averne uno, soltanto uno e le cose cambiano, rinascono le speranze, rinasce la voglia di camminare ancora un po’ per vedere se le cose stanno proprio come pensi. Sei Tu questa speranza? Chi lo sa... io so solo che prima di entrare non provavo questa sensazione di speranza.. ora qualcosa sta cambiando... è cambiato... mi sto convincendo che in fondo non c’è nulla che non vale la pena di essere vissuto... Chissà se quella donna fosse entrata qui invece che saltare dalla finestra, chissà se nel suo cuore si sarebbe potuta formare anche solo una piccola speranza...

O magari è solo una illusione... Tu hai mai sofferto? Tu hai mai ceduto ad una tentazione? Tu sei mai rimasto soffocato dal dolore? No, Tu non conosci nè sofferenza, nè tentazioni. Noi non siamo come Te. Lo sai benissimo e non puoi capirci... Ti prendi gioco di noi, dei nostri disagi, del nostro modo incoerente di interpretare la vita.

Ti prego Dio. Non ora. Non prenderTi gioco di me. Sono venuta qui per implorarTi di questo. Sento qualcosa che si smuove in me e so che è opera Tua. Non Ti ringrazio ora. Ti ringrazierò quando mi accorgerò di essere tra le tue braccia, perchè ancora mi sembra di camminare da sola. Però Tu sbagli... dovresti impicciarti di più della nostra vita e farTi sentire di più. Porta la speranza a chi pensa di non averne più. Porta il tuo calore a chi muore nel freddo dell’indifferenza. A volte sono mille piccoli problemi nei quali ci sentiamo soffocati. Eppure basterebbe poco per farci vedere le cose in modo diverso. Fallo... non Ti costa nulla, ma a noi costa una vita o forse anche due, tre...

Mi alzo... un po’ perplessa per quel lungo monologo. La chiesa è ancora vuota, avvolta in quella luce un po’ strana che si insinua attraverso i mosaici posti sul tetto delle due navate. Mi incammino tra i banchi, quando all’improvviso sento un rumore. Mi volto e diverse panche avanti, proprio dove ero seduta io prima, vedo una donna. Non l’avevo vista entrare: probabilmente è entrata da uno degli ingressi laterali. E’ inginocchiata sulla panca, con la testa appoggiata alla spalliera della panca di fronte a lei e il suo corpo sussulta nei singhiozzi. Vorrei tornare indietro, ma all’improvviso succede qualcosa che mi blocca: un enorme fascio di luce si poggia su di essa, mentre un po’ del calore di quella luce arriva anche a me. Ho l’impressione che qualcosa si stia sollevando dalla donna per andare verso la sorgente di quella luce, qualcosa di scuro e fumoso che da lei si muove verso quella luce , mentre il pianto lentamente smorza, fino a cessare. La donna si siede, giunge le mani in preghiera e dopo un po’ si rialza e se ne va.
Volto le spalle per incamminarmi verso l’uscita e sento come una mano sulla mia spalla. Mi giro ma non c’è nessuno. Un po’ stranita, tiro il portone per uscire: mi sembra stranamente più leggero. “Impossibile” penso. Eppure d’improvviso io stessa mi sento più leggera, come se Qualcuno si fosse preso una parte del peso che avevo in me quando sono entrata e mi avesse dato più forza ancora mentre uscivo. Il sole mi abbaglia ma non mi fa più paura.
Non capisco cosa sia successo in questi dieci minuti.
Ma forse non è necessario che io capisca...

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