Mi chiamo Davide e sono uno scrittore. Faccio parte della categoria degli esordienti ed ho all’attivo la pubblicazione di un libro, esploso l’estate scorsa nelle librerie di tutta Italia. Sto scrivendo il mio secondo libro, un thriller, completamente diverso nel genere rispetto al primo, che è un romanzo storico sulla Prima Guerra Mondiale.
Collaboro ad un blog di scrittori esordienti, “Inchiostro e Calamaio”, che ha un discreto successo presso il pubblico del web e ogni tanto partecipo ai “Giochi d’Autore” organizzati dal Web Master, che ci lascia un tema sul quale scrivere, onde poi pubblicare tutti insieme i vari racconti e deliziarsi a leggerne le diversità. E’ un gioco stimolante. Ci sono un paio di “penne” davvero spettacolari su quel blog e mi diverto a misurarmi con loro, che in realtà esordienti non sono. Ho sempre sospettato che dietro il Web Master ci sia una casa editrice che vuole selezionare nuovi talenti e sfrutta il potenziale di alcuni scrittori per stimolare gare. Non ho mai voluto approfondire: anche se scoprissi cosa c’è dietro, non mi divertirei di più o di meno.
Non scrivo per lavoro, ma scrivo per passione. In realtà io sono un medico, chirurgo per l’esattezza. Mi piace rilassarmi e volare con le ali in alto, quasi come contrappasso al mio mestiere che mi costringe invece ad avere giornalmente un contatto carnale con il mondo.
Scrivo tutte le sere, fatta eccezione quando sono di turno. Non appartengo alla categoria di scrittori che aspettano l’ispirazione per scrivere. Io penso che se uno è scrittore dentro, basta che si metta tranquillo per cinque minuti e inizi a scrivere ed il resto viene da sè. L’ispirazione serve solo a rafforzare certi passaggi, a portare sulla penna alcuni argomenti piuttosto che altri, a raccogliere dalla quotidianità il materiale da trasfigurare nelle pagine che vengono scritte, ma non è fondamentale. Chi ama scrivere, sa scrivere anche di una semplice mela poggiata su un rozzo tavolo di legno e farne intuire al lettore il profumo intenso, il sapore dolce, la consistenza granulosa ed il colore brillante.
Voglio raccontare proprio a voi che mi leggete quello che mi è capitato il 31 ottobre di quest’anno, la notte di Halloween. Sto ancora cercando di capire se fu sogno o realtà, perchè le immagini di quella notte sono ancora vive nei miei occhi. Eppure, nulla di ciò che sto per raccontarvi potrebbe sembrare reale ad una persona razionale ed io stesso tornando sui luoghi ove ciò che vi racconto si svolse, non trovai null’altro che abbandono e solitudine.
Quella domenica pioveva e faceva freddo. Durante le visite mediche mi era capitato di cogliere la delusione nei volti di alcuni ragazzini, che avevano preparato a lungo la loro uscita serale a caccia di “dolcetti o scherzetti” e che sarebbero restati barricati in casa perchè le loro madri difficilmente li avrebbero fatti uscire sotto quel temporale che segnava l’inizio dell’autunno. Quelli più fortunati avrebbero forse strappato un “sì” ad un giro per il condominio, su e giù per le scale, ma meglio di niente! Io stesso avevo comprato qualche dolciume per non essere impreparato e non dover subire uno scherzetto.
Mi ero rintanato in casa verso le sette di sera, dopo essere tornato da un turno particolarmente stressante e, come sempre capita in questi casi, avevo cenato, avevo dormicchiato un paio d’ore, avevo fatto una doccia e mi ero seduto alla scrivania verso le undici, per andare avanti con il mio libro. Ero al capitolo diciotto, quasi a metà della mia storia. Prima di iniziare decisi di fumarmi una sigaretta e rimasi davvero deluso nel ricordare che avevo fumato l’ultima del pacchetto proprio quando ero uscito dall’ospedale. Per la fretta di trovare in macchina un riparo, mi ero dimenticato di comprare la mia stecca. Così mi rassegnai all’idea di uscire sotto la pioggia che continuava incessante: infilai il mio impermeabile, presi l’ombrello e le chiavi dell’auto e uscii.
Lasciai la macchina al parcheggio della chiesa, per andare dall’unico tabaccaio che aveva un dispenser esterno per le sigarette. Raccolsi una manciata di spiccioli dal cassettino dell’auto, giusto quelli necessari a pagarmi un pacchetto e mi incamminai verso il negozio. Presi le sigarette e mi voltai per tornare alla macchina, accendendomene una proprio mentre camminavo. Mentre il fuoco bruciava il tabacco la mia mente si allarmò, percependo qualcosa di anomalo intorno e fu solo quando rialzai gli occhi aspirando con avidità il fumo, che mi accorsi che qualcosa di strano c’era davvero: ferma in ginocchio a terra c’era una donna vestita da strega. Avrei giurato che cinque minuti prima non ci fosse nessuno e del resto era plausibile visto il tempo. Era lì con un cappello nero a punta ed un mantello anch’esso nero, bloccata in ginocchio a trafficare con una grata sull’asfalto.
- Serve ... serve aiuto signora? – dissi timidamente – non mi sembrava di averla vista quando sono passato cinque minuti fa... me ne scuso...forse ero sovrappensiero..
La donna si girò ed io rimasi incantato. Era la donna più bella che avessi mai visto, con lunghi capelli neri che sembravano seta e che dal cappello le scendevano giù contornando il viso per poi scendere sui seni. La sua bocca aveva il colore rosso porpora di una rosa e la sua pelle sembrava seta tanto era liscia e lucida.
- Grazie! Oh è terribile... mi si è incastrato il tacco degli stivali in questa grata e a mezzanotte devo rientrare a casa!
Fu solo quando alzò il viso bene per rispondermi e la luce del lampione si riflesse su di lei che mi accorsi che aveva gli occhi color viola, ma nel contesto del suo abbigliamento e della notte delle streghe in corso la cosa non mi sembrò così strana.
- Vediamo un po’ cosa si può fare... ha provato a togliere lo stivale? Magari riusciamo meglio a disincastrarlo...
- Eh.. non è facile! Si è incastrata la cerniera...
- Tutto insieme... sempre quando si ha fretta...
- Già... guardi tenga qui che io provo a fare scendere la cerniera... ecco... così... bravo! Ce l’abbiamo fatta!
- Beh, solo a metà! Adesso dobbiamo disincastrare lo stivale dalla grata...
- Le spiace se le chiedo un favore?
- Prego...
- Non pensi sia sfacciata... ma io devo veramente rientrare a casa, altrimenti sono nei guai...
- Un padre un po’ severo, eh? – provai ad indovinare e lei mi fissò neglio occhi e rispose con aria molto seria:
- No. Sono in libertà vigilata.
- Ah – mi bloccai, con l’istinto quasi di farmi indietro e a posteriori avrei dovuto seguire quell’istinto. Non feci in tempo a razionalizzare il mio desiderio quando lei aggiunse:
- Abito a Crespi d’Adda. Mi può riportare lo stivale appena riesce a toglierlo?
- Crespi? Ma è quel paesino della filanda, dove ci sono le case dei padroni a forma di castello della Famiglia Addams?
- Esattamente quella, grazie.
- Ma è un po’ lontano...
- Grazie grazie... Abito proprio vicino al Cimitero della Filanda! – disse allontanandosi.
- Mm.. proprio in tema con questa notte! Va bene.. ma quando glielo porto?
- Stasera.. grazie l’aspetto!
Non ero riuscito a dirle di no. Era troppo bella e poi un po’ mi piaceva quell’alone di mistero intorno a lei, vestita così da strega, in “libertà vigilata”, nella notte di Halloween. Chissà che non ne uscisse una bella storia da raccontare...
Rimasi almeno dieci minuti buoni sotto la pioggia a cercare di staccare quel maledetto stivale dal tombino in cui si era incastrato, ma alla fine riuscii e tornai oramai zuppo alla macchina. Accesi il riscaldamento al massimo e mi domandai dove diavolo fosse finita quella ragazza. Di sicuro era in macchina da qualche parte vicino al parcheggio e magari avrei potuto recuperarla per strada, evitandomi così tutto il tragitto fino a Crespi.
Avevo sperato invano! Le strade erano deserte, complice la pioggia e le feste che di qui e di là riconoscevo per le case illuminate a festa con zucche vuote e luci arancioni o per le persone vestite a maschera fuori dai locali. Arrivai a Crespi che era quasi l’una di notte e l’atmosfera particolare di quel luogo mi fece un effetto davvero singolare quella notte, che per sua natura è magica. Rallentai subito dopo la discesa del ponte, mentre l’antica filanda scorreva alla mia destra e le case dei piccoli operai si alternavano l’una dopo l’altra alla mia sinistra. Giunsi fino all’imbocco del viale del cimitero, dove la strada curva a sinistra e lì mi fermai per cercare la casa della mia strana interlocutrice.
Appena dopo la curva intravidi il castello con i suoi torrioni. Ebbi la certezza di essere arrivato per il fatto che era l’unica casa dove c’era un lumino accesso all’ingresso e pensai che quella fosse un piccolo segno lasciato dalla mia amica per consentirmi di riconoscere la sua abitazione. Parcheggiai e scesi dall’auto con lo stivale in mano, facendomi strada con una torcia, perchè a parte quel lumino, il viale era immerso nel buio pesto.
Il cancelletto di metallo nero era aperto e lo spinsi entrando nel cortile. Salii qualche gradino e scoprii che anche la porta era leggermente socchiusa. Sembrava che qualcuno mi stesse davvero aspettando, così la spinsi verso l’interno delicatamente, chiedendo sottovoce se ci fosse qualcuno.
- Ciao! Sei arrivato finalmente...
Sussultai per lo spavento improvviso, ma la paura passò quasi subito quando riconobbi la mia ospite.
- Ecco.. posso darti del tu, vero? Ciao. Sono Malena.
- Malena? Senti ma c’è una festa? E’ tutto così tetro...
- Oh il mio stivale! Ci sei riuscito, grazie grazie grazie... come ti chiami?
- Davide...
- Davide.. che bel nome...
- ... sei riuscita a rientrare in tempo o tuo padre si è arrabbiato? E poi, come sei tornata, avevi la macchina?
- Mio padre? La macchina? Ma che dici? Sei matto?
- Non mi dirai che sei tornata a piedi...
- Io? Ma certo che no... sono tornata sulla scopa!
- Sulla scopa? Ah certo... streghetta dei miei stivali... – e quasi rimasi colpito dalla battuta involontaria che avevo appena pronunciato... “strega” e “dei miei stivali”...
- Cosa c’è? Non ci credi?
- E adesso vorrai farmi credere che sei anche una terrorista che viaggia in libertà vigilata e non c’è nessun padre...
- Esatto non c’è nessun padre ma sono in libertà vigilata...
- E chi vigila..? – chiesi pronto a sentirmi dire l’ennesima buffonata.
- Senti, è una brutta storia, non mi va di raccontarla adesso... vuoi qualcosa da bere?
- Io sarei curioso di sapere cosa hai combinato per essere in libertà vigilata? Hai materializzato “gli elefanti viola”?
- Elefanti viola?
- Sì... come fa Maga Magò ne “La Spada nella Roccia”, non lo hai mai visto da piccola?
- Maga Magò? La Spada nella Roccia? Ma cosa dici?
- Senti, è la notte di Halloween ma questo gioco mi ha stufato. Quindi me ne vado a casa... – e continuando a borbottare mi avviai verso l’uscita e mi fermai solo quando realizzai che la porta semplicemente non c’era più. Mi voltai borbottando - Malena, basta con questi giochi - ma mi bloccai quasi subito.
Malena assunse una espressione tremendamente seria vedendo il mio sguardo attraversarla e attaccarsi a qualcosa dietro di sè. L’uomo era dietro di lei e mi guardava con uno sguardo penetrante e magnetico. Riuscivo a sentire il gelo dentro di me, mentre i suoi occhi girovagavano indisturbati nel mio corpo, nel mio cuore, nel mio cervello. Era una sensazione strana che non avevo mai provato prima, come se qualcuno mi stesse analizzando l’anima ed io non potessi impedirlo e nascondermi alla sua vista.
- Davide, credo tu abbia conosciuto Doctor Sock, giusto? – e si voltò, trovando conferma dietro di sè dell’arrivo dell’uomo.
Strano nome per un essere umano, pensai, anche se di un uomo sembrava avere solo le sembianze esterne, non l’anima. Era alto, completamente calvo, vestito elegantemente con una camicia bianca, la cravatta nera ed un completo anch’esso nero. Il volto era appena reclinato sulla spalla sinistra ed in avanti. Non era la figura nel suo complesso che mi aveva fatto paura. Quello che mi aveva terrorizzato erano stati i suoi occhi. Sembravano trasparenti ed avevano la pupilla un po’ ellittica come quella dei gatti. Malena colse quello che stavo provando e mi parlò:
- Doctor Sock è il mio padrino, Davide. Lui mi ha con sè da quando ero piccola ed i miei genitori sono morti. E’ il capo dei Maghi di Amis, in Romania. Non so se ne hai mai sentito parlare...
- Melania... Milena...no
- Malena...
- Malena... sì scusa, ascolta, sono stufo.. basta questi giochi. Adesso tu mi fai uscire ed io me ne torno a casa mia...
- Non posso farci nulla. E’ il Doctor Sock che decide. Lo sapevo che non dovevo farti venire qui...
- State oltrepassando il limite...- dissi, quando all’improvviso l’uomo sparì alla mia vista. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Non poteva essere vero.
- Siediti Davide... per favore... ti spiego tutto...
- Penso di non sentirmi troppo bene.. hai un po’ d’acqua?
- Siediti... te la porto...
Malena si allontanò dietro una tenda e rimasi solo in quella sala che non avevo realizzato fosse così enorme. Aveva dei soffitti a volta molto alti e dei quadri appesi alle pareti dove erano raffigurati vari loschi figuri che sembravano guardarmi con compassione. L’unica luce proveniva da un camino acceso poco distante, verso il quale mi sarei mosso se non fosse che sentivo le gambe particolarmente pesanti e qualcosa dentro di me mi suggeriva di restare fermo ed immobile. Per fortuna non passò molto tempo e Malena tornò con un piattino di porcellana bianca sopra il quale era appoggiato un bicchiere d’acqua.
- Ecco... dunque... mi chiamo Malena e sono una strega.
- Malena, per favore...
- Sono una strega... davvero...
- Sì. Ed io sono il Principe Alì...
- Le streghe esistono, Davide. Di solito ci confondiamo tra gli esseri umani e rinunciamo alle nostre magie per un po’...
- Certo...
- Allora, dimmi tu... vuoi una dimostrazione?
- Senti.. voglio andare a casa... d’accordo?
- Non posso...
- Ecco.. vedi? E perchè non potresti?
- Non posso. Doctor Sock...
- Chi è quell’uomo?
- Te l’ho detto. E’ il mio padrino. Ho perso i genitori quando ero piccola e lui era il fratello di mio padre. Vivevamo in Romania, a Costanza, sul mar Nero. Costanza si trova vicino al sito di Tomis, una colonia greca. Non so quanto tu conosca la storia... scusa, quella che voi chiamate “mitologia”...
- Poco... senti ma è sufficiente questo...
- No, ascolta... Sono una discendente di Medea. Conosci?
- Ne ho vagamente sentito parlare ma non mi interessa adesso.. ascolta io sono uno scrittore ed ho tanta fantasia, ma tu mi batti, sei brava, però ora fammi andare a casa.
- Non posso.
- Come non puoi?
- Non fino a che non torna Doctor Sock.
- Ma chi è questo Doctor Sock.. no, non capisco...
- Se mi fai parlare te lo spiego... E’ un potente mago e faresti bene a fare quello che ti dico...
- Mi arrendo... continua...
- Bene. Medea era figlia di Eete che aveva il Vello d’Oro. Quando Giasone arrivò in Colchide con gli Argonauti, Medea si innamorò di lui e lo aiutò a rubare il Vello. Eete scoprì l’inganno di Medea, ma lei uccise il fratello e ne sparse i resti dietro di sè dopo essersi imbarcata sulla nave Argo. Eete la seguì e approdò a Tomi. Medea era una maga potente. Diventò moglie di Giasone e per gelosia volle togliergli la discendenza, uccidendo i suoi stessi figli, il che portò Giasone al suicidio.
- Senti... è tardi... cosa c’entra tutto questo?
- Io sono una discendente di Medea. Come lei e come tutte le donne della mia stirpe fino a mia nonna e mia madre, come lei io ho poteri magici. Come lei posso arrivare a fare del male se amo. I miei genitori sono morti per questo. Fu mia madre che uccise mio padre e poi si suicidò, perchè fu colta da un attimo di profonda gelosia. Mio padre era innocente... ne sono sicura, ne ho le prove. E’ per questo che ho bisogno di un custode. Doctor Sock, fratello di mio padre fu scelto come mio custode per tenere lontano da me ogni uomo, affinchè io non potessi a mia volta innamorarmi ed ucciderlo. Purtroppo circa duecento anni fa...
- Duecento? Accipicchia, te li porti bene!
- Circa duecento anni fa – riprese come se non l’avessi interrotta – mi innamorai di un uomo di Madison, nel Wisconsin, vicino al lago Mendota. Avevo accettato di essere trasformata io stessa per il suo amore in un essere umano, perdendo così la mia immortalità, la mia magia ed il mio potere di fargli del male. Doctor Sock si oppose perchè si era innamorato di me e mi rinchiuse in una grotta sotto il lago fino a che il mio amato non morì, tuffandosi una notte per cercare di salvarmi. Da allora Doctor Sock mi tiene prigioniera e mi libera solo la notte di Halloween, con l’obbligo di tornare qui entro mezzanotte, sola, pena la morte di chiunque mi accompagni o sia con me, se non torno.
- Dio mio.. che favola da paura...
- Perchè non mi credi? Va bene... te la sei voluta. In piedi!
Mi alzai incuriosito da cosa sarebbe successo, pieno di tutto lo scetticismo possibile ed immaginabile. Era la notte di Halloween e non poteva che essere solo uno scherzo, uno stupidissimo scherzo di qualche burlone tra i miei amici. Uno scherzo, peraltro, dovevo ammettere, molto ben riuscito.
All’improvviso Malena si pose davanti a me e appoggiò le sue labbra sulle mie. Doctor Sock comparve proprio in quell’istante e scaraventò Malena contro un muro. Il suo corpo lo attraversò e scomparve alla mia vista incredula, mentre qualcosa che intuii essere il suo spirito continuò a volare su di noi.
Rimasi davanti a quell’uomo, consolandomi al pensiero che in fondo non era poi molto più imponente di me. Eppure nello sguardo mostrava una forza che io non pensavo di avere. Cosa dovevo fare? Arrendermi a lui? Udii all’improvviso Malena urlare il mio nome e implorarmi di scappare. Io non potevo. Lui mi teneva fermo con il suo sguardo fisso nei miei occhi. Avevo i muscoli completamente bloccati. Ogni centimetro di pelle era sotto il suo potere e lui sapeva di quello che mi stava succedendo e il pensiero di ciò gli solleticava il cervello fino a far smuovere le palpebre e sogghignare la bocca. Alzò un braccio, il sinistro, con la mano su di me, come l’imposizione delle mani per la benedizione che ogni domenica vedevo fare in chiesa al sacerdote di turno. Cominciò una nenia sottovoce. Non capivo le parole, sembravano latino o forse una lingua molto più antica. Le pronunciava come fosse un santone ed io lì sotto sapevo che stava pronunciando qualcosa contro di me ma non riuscivo a togliermi di testa l’idea che fosse solo un sogno. Così ripetevo tra me e me “voglio svegliarmi, voglio svegliarmi”, ma non ci riuscivo. Malena continuava ad urlare il mio nome, intervallato da un richiamo per Doctor Sock al quale implorava di lasciarmi andare.
Appena l’uomo cessò la sua nenia, una forza mi impose di inginocchiarmi ai suoi piedi, senza che potessi opporre alcun tipo di resistenza o compiere atti di volontà come distogliere gli occhi dai suoi. Ero lì in ginocchio che ripetevo il mio sortilegio per svegliarmi, quando Malena tornò nel corpo e nello spirito, posandosi affianco a Doctor Sock ed appoggiando le sue mani sulla mia testa. La forza che sentivo provenire dall’uomo cessò ed in quell’attimo Doctor Sock si spostò e investì con una violenza inimmaginabile Malena, che cadde a terra senza sensi. Urlai e mi gettai contro di lui con tutta la rabbia che mi era montata in corpo, in parte per l’umiliazione alla quale mi aveva assoggettato ed in parte perchè non sopportavo che avesse ferito Malena. Non arrivai nemmeno a sfiorarlo, perchè qualcosa mi devastò la mente e mi sembrò che in quel momento i miei piedi si staccassero da terra ed il soffitto di quel castello si aprisse per lasciarmi passare e volare verso l’alto.
Non potevo crederci. Quello che stava succedendo andava al di là della mia immaginazione, che pur ritenevo particolarmente fervida, in quanto scrittore. Non ricordo nemmeno bene le sensazioni di quel momento, perchè la testa mi girava, percepivo la presenza di Malena al mio fianco, il che mi sembrava impossibile perchè l’avevo vista con i miei occhi perdere i sensi, ma allo stesso tempo era come se lei fosse brezza pura, vento e basta e soffiasse dentro di me.
Improvvisamente tutto questo cessò. Mi ritrovai seduto sulla poltrona di casa mia, con il portatile sulle mie ginocchia, gli occhi impastati di sonno ed un pomello rotondo in mano, nel quale riconobbi un bottone della giacca del Doctor Sock. Guardai l’orologio e vidi che erano solo le undici. Impossibile!
Ecco, se non fosse stato per quel bottone, io avrei pensato di aver sognato tutto. Ma quello strano oggetto che avevo in mano non mi apparteneva e non poteva essere capitato lì per sbaglio. Mi alzai, presi di corsa le chiavi dell’auto che erano appoggiate sulla mia scrivania e andai giù per strada. L’auto era parcheggiata esattamente lì dove l’avevo lasciata al mio rientro dall’ospedale ed era abbastanza fredda da rendere plausibile l’ipotesi che da allora non mi fossi mai mosso di casa. Il cancello si rinchiuse con violenza alle mie spalle e mi voltai spaventato perchè sentivo come se qualcuno da qualche parte mi stesse osservando e stesse ridendo di me.
Partii sparato verso Crespi d’Adda. Dovevo capire se era stato un sogno o se c’era qualcosa di veramente reale in quello che credevo di avere vissuto. Arrivai lì in mezz’ora, riattraversai il ponte, scorsi lungo il viale la filanda e arrivai fino al cimitero. Voltai a sinistra e parcheggiai. La casa era lì, non me l’ero sognata. Identica a quella nella quale avevo incontrato Malena, diversa solo per il lume fuori che non brillava più ed aveva il vetro rotto. La porta era socchiusa, entrai e mi fermai. L’aria era fredda. C’erano ragnatele ovunque. Sembrava disabitata da molto tempo, un tempo che potevano essere centinaia d’anni, perchè nulla dell’arredamento o dei tessuti o dei soprammobili apparteneva al mondo di oggi o del secolo scorso. Riconobbi le alte volte ed i quadri sulle pareti ma mi sembrò che quei lugubri ritratti stessero ridendo alle mie spalle. Il freddo mi faceva paura, ma fu solo quando mi sentii una brezza carezzare il viso e le labbra che il cuore mi si strinse in una morsa e decisi di allontanarmi da quel luogo più in fretta che potevo.
Tornato a casa, mi sedetti alla mia scrivania ed aprii il computer al capitolo che avrei dovuto cominciare. Non che ne avessi voglia: ero piuttosto sconvolto. Decisi allora di aprire Internet per cercare qualcosa su Crespi d’Adda e su quella casa. Fu allora che notai che una bustina brillava sulla barra in basso a destra, segno che qualcuno mi aveva scritto una email. Aprii il mio programma per la posta elettronica e sussultai appena vidi il mittente “Malena”. Aprii la posta e vidi solo una piccola scritta “Sto bene. Grazie per lo stivale.” in fondo alla pagina.
Fu un attimo: cancellai l’email, buttai il bottone dalla finestra e ricominciai a scrivere il mio thriller.
Voi, cosa avreste fatto al posto mio?
Vi chiedo solo una cosa: se mai in una notte di Halloween, verso le undici di sera, una ragazza vi dovesse fermare e chiedere di aiutarla a togliere uno stupido stivale da una stupida grata, ebbene, siate giudiziosi! Fate finta di non vederla, anche se i suoi occhi viola saranno quel che di più bello abbiate mai visto. Anche se le sue labbra vi ricorderanno i petali della rosa più rossa al mondo e la pelle del suo viso sembrerà seta come i suoi capelli.
Fuggite, per carità. Fuggite via.
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