Prima Magia
L’oratorio
si trovava in una piccola zona fuori del centro. I locali non erano
moderni, ma non era stato possibile ristrutturarli perchè i soldi
raccolti durante la questua delle Messe erano stati tutti destinati a
riparare il tetto della Chiesa. Era però bello comunque agli occhi di
Suor Marina, una piccola suora delle Marcelline, che vedeva nei colori
allegri dei muri solo il lavoro dei tanti giovani che avevano passato i
loro pomeriggi con il pennello in mano. In fondo era il loro oratorio e
le crepe, fintanto che erano innocue e non segno di cedimento
strutturale, venivano riempite di colori per risultare alla fine parte
di un grande disegno o di una grande scritta.
Il
motto di quell’anno era ANCHE TU COSI’, con il selciato colorato in
basso, le case colorate in alto e la scritta “così” al centro, con tanti
sbaffi neri che venivano proprio a combaciare con le crepe apparse
quell’estate.
Faceva
molto freddo quel dicembre. Era già caduta tanta neve e quel mercoledì
in particolare nevicava dalla mattina. Era andata a piedi dal metro alla
casa dove abitava con le sue consorelle e da qui all'oratorio ed aveva
le scarpe fradicie. Si era fermata un attimo al bar per prendere un the
caldo. Sentiva che stava covando una influenza, ma doveva resistere. In
fondo quei bambini aspettavano lei: il piccolo Luca, il monello
Federico, la giudiziosa Chantal. Sapeva che aspettavano solo lei per
ascoltare le sue piccole grandi storie, quelle che sapeva raccontare
bene, mimando i gesti, sottolineando le parole, ricostruendo i
sentimenti di paura, gioia, terrore, sofferenza e amore, come solo lei
sapeva fare.
Dopo
essersi rinfrancata un po’ e con la gola che ancora beneficiava del
liquido caldo, si alzò, salutò il signor Del Monte che era di servizio
al bar e andò in segreteria per prendere le chiavi della cappellina.
Attraversò il cortile, salì su per le scale e entrò.
Si
sedette su una piccola panca in preghiera. Aveva nel cuore un grande
dolore, che solo Dio poteva cullare e si lasciò accarezzare dal suo
pensiero e sfiorare dal suo amore. Quindi accese le luci, preparò le
panche e si preparò a ricevere i bambini.
Questi
arrivarono puntuali alle cinque. Entrarono in cappellina un po’
chiassosamente, ma non più del solito e lei li accolse ricordando loro
che avrebbero dovuto farsi il segno della croce. Quando tutti furono
seduti, le cicche gettate nel cestino, le lattine di cocacola appoggiate
a terra ed i sacchetti di patatine sigillati, suor Marina li guardò e
pensò al brano della Natività che si accingeva a leggere. Prima però li
guardò tutti, rimbrottò Luca e Federico che chiacchieravano e pose il
suo dito indice sibilando il silenzio...
- Allora bambini. Sapete che siamo vicini a Natale.... Chi nasce a Natale?- Gesù... nasce Gesù...- Bravi! E Dove nasce Gesù? Nasce nella clinica più bella di Milano oppure nasce da qualche altra parte?- Io io suor Marina!- Dimmi Chantal...- Nella mangiatoia! Nessuno li aveva voluti...- Bravi... ma allora la sapete questa storia.. è inutile che ve la racconto..- No, dai...- Va bene.. ma prima ditemi una cosa... voi la conoscete una storia simile ai giorni nostri? Qualcuno talmente povero che non ha la possibilità di nascere in un bell’ospedale, con tutte quelle belle ostretiche vestite di verde, il caldo ed il letto comodo e qualcuno che lo lava appena nato?- No... e tu, suor Marina?- Io sì....
Nella
sua mente, l’immagine di Sandra era ancora viva. Non era riuscita a
salvare quella piccola bimba dalla strada. La incontrava spesso in
metropolitana quando andava a Milano e l’aveva rubare mille volte. Aveva
provato sempre ad avvicinarla, ma sempre un uomo enorme le si era
parato davanti invitandola ad andare via. Anche quel pomeriggio era
andata così. Erano in metropolitana. Verso le tre non c’è molta gente e
non è normale che qualcuno ti venga addosso. Soprattutto se è uno
zingaro lo sai che devi stare attento e mettere mano al portafoglio: per
proteggerlo.
Suor
Marina era ferma all’angolo di un vagone. L’aveva vista salire ed
accostarsi ad un uomo ben vestito. D’istinto le si era avvicinata. Era
Natale: anche quella bambina aveva diritto ad un pasto caldo, un letto e
delle coperte, dei regali. Anche lei aveva bisogno di credere in Babbo
Natale o Gesù Bambino e si figurava che nessuno gliene avesse mai
parlato, nemmeno quando era più piccola, sebbene sia Babbo Natale che
Gesù Bambino non facciano distinzione di sesso razza o religione, quando
si tratta di portare regali e confermare la magia di Natale.
Era
un uomo distinto. Strano trovarlo in metropolitana ad un’ora nella
quale certi tipi di uomini in giacca e cravatta si nascondono dietro le
finestre vetrate di uffici dove viaggiano solo soldi e pochi sogni.
Era
stato un attimo. Nello stesso momento in cui lei si era appoggiata a
lui e lui si era ritratto quasi come infastidito, suor Marina era stata
certa che gli avesse già rubato il portafoglio e aveva provato a
rincorrerla. L’uomo era apparso dal nulla, come sempre e l’aveva
guardata sussurrandole “Stacci lontano, suora, se vuoi arrivare a
Natale”. Si era girato e se ne era andato via, seguendo la piccola
Sandra.
Mentre
le porte del vagone si richiudevano, vide Sandra svuotare il suo
piccolo bicchiere di monetine nel pantalone dell’uomo e le scappò una
lacrima.
Seconda Magia
L’uomo
si stava crogiolando nel caldo del vagone. Non era una ora solita per
essere in giro. Di solito a quell’ora si trovava seduto alla sua
scrivania con una tazza di the fumante davanti, gentilmente portata
dalla sua segretaria oppure in qualche aereo a viaggiare da un punto ad
un altro del globo.
Ma
quello era un giorno speciale e aveva deciso di andare personalmente a
comprare dei regali per i suoi due bimbi, Matilde di sette anni e Pierre
di quattro. Era stata sempre sua moglie ad occuparsi di quelle cose
piccole, ordinarie o straordinarie. Quell’anno in particolare.
L’operazione
societaria aveva occupato molto del suo tempo ed aveva trascorso interi
mesi a Parigi, per poter mantenere il ruolo di responsabile che aveva
nella società che si fondeva nella multinazionale francese. Doveva dare
tutto il suo tempo ai suoi capi, anche quello che tradizionalmente aveva
sempre riservato ai suoi figli: sere, sabati e domeniche.
Così
si trovava a viaggiare verso il centro di Milano. La moglie lo aveva
indirizzato verso alcuni negozi dove avrebbe trovato delle belle idee e
lo aveva lasciato libero di andare “No, oggi sono dal dentista. Non
posso accompagnarti”. “Peccato” aveva pensato lui “sarebbe stata una
bella occasione per passare un po’ di tempo insieme...”. E già: anche
con lei il tempo speso insieme non era stato molto. Eppure Katia era
adulta, lo capiva. Si era lamentata un po’ all’inizio perchè sentiva
tutto il peso delle responsabilità e la fatica dei numerosi impegni ai
quali star dietro. Le aveva assunto una tata e lei sembrava essersi
tranquillizzata. O almeno non gli rinfacciava più di essere sempre
fuori.
Era
appeso alla barra di sostegno della vettura del metro, quando si sentì
sballottare e aprì gli occhi infastidito: una piccola zingarella lo
aveva urtato ed era scappata. “Maledizione! Stai attenta” voleva
urlarle... poi stette zitto pensando che in fondo quella piccola bambina
aveva l’età di sua figlia ed era costretta a elemosinare il pane sui
metro.
Enrico
scese e salì in superficie. Iniziò a girare per tutti i negozi
dell’elenco che gli aveva dato la moglie ma non trovò nulla. Era
assolutamente tutto troppo tecnologico per lui, che adorava i trenini
elettrici o le bambole di pezza. Alla fine l’aveva vista: una piccola
scacchiera di legno, con i pupazzi di Disney a fare da pedoni, alfieri,
torri, cavalli, regine e re. Sapeva quanto i suoi figli adoravano gli
scacchi e lui passava sempre volentieri un po' di tempo con loro a fare
qualche partita. Entrò e se la fece incartare.
Al
momento di pagare portò la mano al pantalone, sulla tasca posteriore e
scoprì che era vuota. Come vuota! “Ho perso... no, mio Dio! Che
stupido... quella zingarella me l’ha rubato.. ed io che ne ho avuto
pietà perchè ha la stessa età di Matilde! Maledizione...”
Si scusò con il proprietario e gli spiegò del furto. Quindi si accostò ad un angolo del negozio per telefonare:
- Ciao Katia. Mi hanno rubato il portafoglio. Ti prego, ho trovato una roba spettacolare.. mi raggiungi? Sono in centro.. ci metti dieci minuti a raggiungermi...- Senti Enrico, non posso.. sono ancora in attesa. Mi ci vorrà ancora un’ora.. almeno.. sai che se non faccio ora questo lavoro se ne parla a gennaio... ti prego... ci torni domani, no?- Katia dai... è una pulizia dei denti.. forza, dai.. ti offro una cioccolata con panna se vieni.. ce la prendiamo in quel baretto...- Enrico, ti prego non insistere...- Su.. non mi fare tornare qui apposta domani... E’ l’ultimo pezzo... non me lo perdonerei se lo comprasse qualcun altro...- Eh va bene... che noioso però.. quando prendo un po’ di tempo per me... senti vedo cosa posso fare... ci vediamo entro un’ora in galleria, okay?- Un’ora? Ma se sei a due fermate di metro...- Se ti va bene è così...- Va bene... dai sbrigati...
Chiuse
il telefono e il sorriso gli inondò gli occhi e tutto il suo viso:
quella sera stessa avrebbe avuto in mano il più bel regalo di Natale che
avrebbe mai potuto trovare per i suoi figli...
Terza Magia
- Che palle... Michael... devo andare!- What? You’d told me you could stay all the aft’noon...- Mio marito.. ha perso il portafoglio. Devo raggiungerlo...- Fuck! When’r’you back, then?- Eh... bella domanda... non so, ti chiamo!
Si
alzò dal letto e Michael la guardò. Era bellissima. Ricordava
perfettamente il giorno che l’aveva conosciuta. Un anno fa: era una
giornata piena di neve come quel mercoledì e lui si era infilato dentro
un bar durante un servizio fotografico perchè aveva le mani congelate.
Gli avevano concesso due ore di pausa e invece di andarsene in giro, si
era infilato nel primo locale riscaldato che aveva trovato, aveva
occupato un tavolino e si era fatto servire una cioccolata bollente con
la panna. Era fermo, guardando lo spettacolo fuori dal negozio e la neve
che continuava a scendere imperterrita, come se non avesse voglia di
cessare, quando una donna era caduta appena al di là della vetrina.
Aveva visto un po’ di gente intorno a lei e poi un ragazzo l’aveva
portata dentro e fatta accomodare all’unico posto libero: il tavolino
affianco al suo.
Non si era fatta molto. Solo una piccola botta ai polsi, perchè aveva
appoggiato le mani a terra cadendo. L’aveva guardata in viso quando si
era tolta il cappello ed era rimasto incantato: era bellissima. I
capelli erano biondi e lisci e le ricadevano setosi sulle spalle. Le
sopracciglia formavano un arco perfetto, biondo castano, sopra gli occhi
verdi. Lunghe ciglia contornavano i suoi occhi e la bocca sorrideva tra
il rosso delle labbra leggermente carnose ed il bianco dei denti. Se
n’era innamorato solo per il profumo, per lo sguardo e per le mani che
muoveva in modo incantevole lungo la gamba, carezzandosi il punto dove
probabilmente aveva sbattuto il ginocchio.
- Sono Michael. Di solito sono un fotomodello, ma oggi per lei posso essere un arcangelo... vuole un po’ di cioccolata calda? Fa un po’ freddo lì fuori...
Katia
lo aveva guardato incredula, ma poi era scoppiata a ridere, perchè non
le era mai capitato un “abbordaggio” così divertente.
Aveva
cominciato a frequentarlo. Prima per qualche cioccolata, poi per andare
a vedere la mostra di fotografia relativa alle foto scattate il giorno
che si erano conosciuti, poi per portargli le medicine un giorno che era
ammalato. La mattina i ragazzi erano a scuola e la casa gliela curava
Andreas, la ragazza che Enrico aveva assunto per sollevarla un po’ dalle
incombenze di casa.
Quella
mattina si era presentata a casa di Michael, in pieno centro di Milano.
Era tarda primavera ma faceva molto caldo. Aveva indosso una maglietta
bianca e dei jeans che evidenziavano il suo corpo sinuoso, le lunghe
gambe ed il lato B quasi brasiliano. Un paio di sneakers la rendevano
più giovane di quello che in realtà non fosse. Da allora, ogni
settimana, il mercoledì pomeriggio, si incontravano. Prolungava la
presenza di Andreas a casa con la scusa del dentista, che lavorava un
paio di stabili prima di quello di Michael ed aveva il pomeriggio
indisturbato.
Non
sapeva perchè quella storia andava avanti. In fondo voleva bene a
Enrico e la sicurezza della sua famiglia era qualcosa sulla quale
contava molto e che non avrebbe abbandonato per un ragazzino. Ovviamente
questo non lo aveva mai detto a Michael, che invece continuava quella
relazione con la speranza che un giorno lei abbandonasse tutto e lo
seguisse a casa in Australia.
- It won’t be a good Chris’mas’without you, you know, Ka’?- I do… but that’s what we can have…- I love you- I know you do
Con
queste parole Katia si chiuse dietro la porta di casa di Michael e
uscì, indossando il sorriso e la faccia tosta per ingannare ancora una
volta il marito. Mentre saliva sul metrò, le cadde l’occhio su una
piccola suora, un’umile suora con le scarpe fradice di neve che
camminava tristemente lungo il corridoio del metro, verso la linea
verde. Non sapeva perchè, ma pensò che quella piccola donna avesse in sé
un cuore più grande di quello che il suo stesso corpo potesse ospitare.
Lei le sorrise e quel regalo fu la cosa più bella che Katia ricevette
quel Natale.
Epilogo
Ci
sono notti nelle quali non c’è bisogno di neve, canti e suoni di
campanelle per sentire la magia che c’è nell’aria. Vedi lo stesso le
renne che volano in cielo ed un uomo cicciotto vestito di rosso che vola
allegro nella volta azzurra piena di stelle. Spazzi il camino perchè
sia libero: “Perchè non si sa mai...” ti dici, bisognoso di credere che
da qualche parte ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di regalarti
qualcosa.
E
in realtà non pensi al Babbo Natale che scende dal camino. Nei tuoi
occhi c’è rimasto il sorriso di una piccola donna la cui esistenza ha
inspiegabilmente dal nulla preso per te vita e significato. E’ grazie a
persone come lei che esiste il Natale. E’ grazie a quelli che sanno
sorridere sapendo che in quel momento tu hai bisogno di quel sorriso. E’
grazie a coloro che ti tendono una mano proprio nel momento in cui la
tua mano sta abbandonando la presa. E’ grazie all’abbraccio in cui ti
avvolgono quando sono loro ad aver bisogno di essere abbracciate. E’
grazie a coloro che ti sanno scaldare il cuore quando il gelo intorno
supera quello delle distese di ghiaccio e galaverna.
E
allora Buon Natale. Soprattutto a loro, che sono la vera magia del
Natale anche quando Natale non è e che ti fanno sperare che quello
stesso sorriso, quella stessa mano e quello stesso calore un giorno
possano nascere da te.
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