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16 dic 2010

Margherita

-         C’era una volta...
-         Un re!
-         No, no dai.. facciamo che c’era una volta una regina...
-         Che noia tutti questi re e regine! C’era una volta una principessa...
-         E tu, Margherita, cosa diresti?
-         Io? ...beh... io... c’era una volta Margherita!
-         Allora, c’era una volta... Margherita.

Prima Parte

C’era una volta Margherita.

Io lo so chi era Margherita. Anche se non l’ho mai conosciuta è come se ora l’avessi davanti agli occhi: era una bambinetta magrolina, con i capelli sempre arruffati, tenuti su da una fascia elastica che le stringeva sempre maledettamente la testa. Ogni mattina la mamma le sistemava i capelli in una coda che neanche dieci minuti dopo era disfatta. I capelli erano castani tendenti al biondo. Erano ricci e Margherita col tempo imparò a dire “troppo” ricci ed a guardare con un po’ di invidia le bambine con i capelli lisci come seta. Sprizzavano da tutte le parti e non stavano mai fermi, ricadendole sul viso solleticandole la pelle quando meno se lo aspettava.


Gli occhi erano verdognoli, di un vispo che si farebbe fatica a credere. Eppure erano nascosti dietro un paio di lenti spessissime, che li rimpicciolivano. A Margherita non piacevano affatto, ma era costretta a portarli perchè senza non ci vedeva proprio nulla. Non si sentiva presa in giro, ma semplicemente non era a suo agio e si sentiva un po’ bruttina. Così si rinchiudeva sempre più in se stessa, giorno dopo giorno.

Non aveva molte amiche e sua sorella non se la filava molto, impegnata com’era a giocare a “essere già grande”.

Così Margherita cresceva portandosi dietro il suo piccolo fagotto di delusioni e rimpianti.
Innanzi tutto per i giochi da cortile... tipo la campana. Lei non ci aveva mai giocato: sua mamma pensava che le bambine per bene dovessero restare a casa e comunque non aveva un giardino dove poter giocare, perchè viveva in città, in una strada molto trafficata. Così lei rimaneva nella sua stanza a disegnare per ore. Oppure giocava a fare l’investigatore, nascondendosi dietro i muri e sparando a sua sorella, a sua mamma o a suo papà, che puntualmente si arrabbiavano e finivano per sequestrarle la pistola. Una volta un amico del nonno le regalò un volante e lei fu contentissima: per mesi interi il suo passatempo preferito fu sistemare le sedie del soggiorno come fossero un pulman, sedendosi al posto del guidatore,  per condurre i suoi immaginari passeggeri da una parte all’altra del mondo.

I pomeriggi li passava principalmente a casa, perchè sua mamma non guidava e suo papà era spesso via. Nessuno poteva accompagnarla di qui e di là. Non che le interessasse molto fare sport, come tutte le sue amiche di scuola. Però non le sarebbe dispiaciuto frequentare il corso di pattinaggio: aveva seguito un corso solo un anno, grazie al pulmino delle suore che la riaccompagnava a casa dopo la lezione, e quell’anno era bastato per innamorarsi di rincorse, gambe incrociate e angeli volanti. Poi l’istruttrice di pattinaggio era morta e la scuola aveva smesso di organizzare corsi, così la sua occasione da pattinatrice era volata in cielo con l’anima della sua insegnante.

Margherita usciva raramente il pomeriggio. Trascorreva il pomeriggio a volte con suo nonno ad ascoltare racconti militari di una guerra che sembrava tanto lontana, mentre la nonna, la mamma e la sorella se ne andavano in giro a fare spese o passavano il tempo a spettegolare la famiglia, chiuse in cucina. La maggior parte del tempo lo passava da sola, cullandosi nei suoi pensieri, lasciando fuori tutto il mondo intorno a sé: in fondo era convinta che quel mondo non la capisse o non la potesse capire, il che alla fine era per lei equivalente.

Più cresceva e più si sentiva diversa e lontana da ciò che la circondava. Più cresceva, più la sua voglia di parlare non trovava sfogo naturale nelle chiacchiere tra sorelle o tra mamma e figlia o tra amiche. Fu così che Margherita lasciò pian piano i disegni infantili per riempire pagine di parole, ritagli, fotografie. Persa nelle sue stesse parole, i suoi sogni incominciarono a confondersi con la realtà e ad allontanarsene sempre più.

Finchè un giorno Margherita smise di parlare. I genitori erano preoccupatissimi e la portarono in giro cercando un medico che potesse curarla. L’unico modo per raccontarsi che Margherita aveva era quello di esprimere i suoi sentimenti così come li figurava nella sua mente, ma poichè nessuno li capiva, alla fine smise anche di raccontarsi. I medici raggiunsero il loro verdetto unanime che non c’era nulla che non andasse in Margherita e che bisognava aspettare che decidesse di riprendere a parlare da sola, uscendo da quel suo piccolo mondo dove si era cacciata. Frequentò per mesi  importanti luminari di psicologia, senza alcun risultato: la piccola Margherita rimaneva attaccata al suo mondo tramite milioni di piccole ventose e staccarne una non avrebbe portato a nulla.

Seconda Parte

Era un caldo pomeriggio di primavera quando suonò il campanello alla porta dell’appartamento dove la piccola Margherita viveva con i suoi genitori e sua sorella. Era un sabato e stranamente erano tutti a casa. La piccola Margherita, sempre solerte ad aiutare i suoi, ma soprattutto curiosa di tutto ciò che succedeva intorno alla sua casa, corse allo spioncino e vide un uomo con uno strano cappello che attendeva che qualcuno lo accogliesse. Margherita aprì e aspettò che lui le dicesse qualcosa. Invece lui rimase zitto, poi si inginocchiò alla sua altezza e le fece ciao con la mano, senza parlare.

Margherita ricambiò il saluto e lo guardò negli occhi quasi a sfidarlo. Lui le fece segno di farlo entrare e allora Margherita gli prese la mano e lo condusse in sala, facendolo accomodare su una poltrona. Stranamente nessuno dei suoi la raggiungeva e questo le cominciava a dare fastidio sempre di più, perchè non si riteneva all’altezza della situazione. Oibò – pensava – finchè son muta io va bene, ma questo qui cosa vorrà? – si diceva girandogli intorno, mentre lui seduto composto semplicemente girava la testa seguendo le sue mosse.

Margherita si sentì in dovere di offrirgli qualcosa e così disegnò pasticcini e the su un foglio di carta e glielo porse. L’uomo le sorrise annuendo con la testa e Margherita si sentì sollevata, avendo una buona ragione per sottrarsi alle attenzioni dell’uomo.

Quando tornò in sala, con un vassoio di pasticcini, una teiera, una zuccheriera e due tazze da the, l’uomo si alzò e l’aiutò a sistemare tutto sul tavolo da pranzo. Si sedettero e silenziosamente gustarono il loro the. Margherita era sempre più meravigliata di quella situazione e non sapeva come reagire, essendo per la prima volta nella posizione di chi doveva interagire con qualcuno che non aveva nessuna intenzione di parlare. Margherita non sapeva cosa fare. I suoi erano presi da mille affari e si rifiutavano di assisterla con l’ospite. Lei era imbarazzatissima e rimaneva seduta a disegnare da una parte, mentre il suo ospite la guardava.

Ad un tratto l’ospite si alzò ed andò via. Margherita lo accompagnò alla porta e se ne dimenticò. Il giorno dopo l’ospite tornò e il giorno dopo ancora e ancora per molti giorni. Margherita oramai ne aveva fatta un’abitudine, quasi l’aspettava e si preoccupava se arrivava in ritardo. Quando arrivava lo sistemava in sala, andava a preparare il the e poi si sedevano entrambi alla grande tavola da pranzo. Margherita disegnava finchè ad un certo punto lui si alzava e andava via.

Accadde un giorno quasi per caso che l’ospite non arrivò. Margherita sedeva tutta sola nel suo salotto ad aspettarlo. La teiera oramai non fumava più il the caldo ed i pastelli giacevano sui fogli di carta intonsi. Dopo circa un’ora che era seduta, sua madre entrò in sala e le chiese cosa stesse facendo. Margherita scrollò le spalle poi prese carta e penna e disegnò qualcosa. Dopo molti sforzi, Margherita le fece comprendere che aspettava un ospite.
-         Quale ospite, Margherita? – la mamma proprio non capiva. Allora lei prese un foglio e le scrisse “L’ospite che è venuto per molti pomeriggi qui, non ricordi, mamma?”
-         Ma Margherita, cosa dici? – le disse sua mamma – negli scorsi pomeriggi non è mai venuto nessuno... sei sempre stata qui da sola a disegnare...

Margherita non riusciva a crederci. Era reale sì il suo ospite. Beveva il the, le prendeva la mano per seguirla, le sorrideva, la guardava. Poteva sentirne il respiro davvero se gli si avvicinava al naso. Com’era possibile che lo avesse visto soltanto lei?

Per molti pomeriggi Margherita rimase in salone ad aspettare il suo amico, ma di lui non ci fu più traccia. Sua mamma la spiava un po’ preoccupata da fuori e lei faceva finta di non accorgersene, perchè un po’ se ne vergognava. Alla fine si stufò di aspettare e incominciò a non preparare più i pastelli e la carta, poi non preparò più il the ed alla fine se ne dimenticò.

Margherita divenne grande. Non aveva più parlato ed i genitori si erano arresi all’evidenza che nessun dottore l’avrebbe mai potuta curare. Nè parlava nè cercava di comunicare con gli altri, se non lo stretto indispensabile per sopravvivere. Scriveva sempre. Scriveva dappertutto. Su ogni pezzetto di carta lei scriveva scriveva scriveva quello che le capitava e poi dimenticava in giro tutti i pezzetti di carta, sperando che qualcuno li leggesse.

Tornando da scuola, un giorno, incontrò per strada un bambino su una bicicletta.  Questi le sorrise e lei, colta di soprassalto, spontaneamente gli ricambiò il sorriso. Il giorno dopo lo incontrò di nuovo e il giorno dopo ancora e ancora per molti giorni. Margherita oramai ne aveva fatta un’abitudine, quasi se l’aspettava di incontrarlo e si preoccupava se non lo incrociava sempre al solito posto.

Un giorno non lo incontrò e si fermò su una panchina ad aspettarlo. Si fece pomeriggio, le luci del giorno calarono e si fece sera. Margherita tornò a casa preoccupata ed il giorno dopo si svegliò tesa e desiderosa che la scuola finisse presto per andare a vedere se il suo piccolo amico era lì ad aspettarla. Nulla. Nè il giorno dopo era lì, nè il giorno dopo ancora e ancora tutti gli altri giorni.

Margherita era disperata. Per la seconda volta nella sua vita un suo piccolo amico era scomparso nel nulla e lei si sentiva sempre più sola.

Passarono gli anni e Margherita diventò una donna. Trovò un lavoro ed era anche molto brava. Il lavoro le piaceva, aveva la sua casa che teneva con cura e la sera scriveva favole. Tutti i giorni prendeva il tram per andare a lavorare e le piaceva curiosare nei volti delle persone. Ne scrutava i vestiti, guardava le loro scarpe. Se erano signore e aprivano le loro borse ci infilava gli occhi dentro per capire cosa portavano. E di ogni ricchezza che il mondo le regalava lei continuava a scrivere parole su parole.

Fu quasi per caso che un ragazzo della sua età un giorno le sorrise. Lei si sentì un po’ confusa. Era una ragazza per bene e non sarebbe stato conveniente sorridergli e dargli confidenza. Così il primo giorno girò lo sguardo altrove, il secondo guardò in aria e infine il terzo ripiombò nei suoi occhi sorridendogli. Ogni giorno fecero il viaggio insieme scambiandosi sorrisi. Giorno dopo giorno e ancora per molti giorni. Margherita oramai ne aveva fatta un’abitudine, quasi se l’aspettava di incontrarlo e si preoccupava quando la mattina saliva in tram e non lo trovava seduto al solito posto.

Una mattina lui non c’era. Margherita si sentì male al pensiero di perdere ancora una volta un amico. Eppure non lo incontrò più. Per questo, ella si chiuse ancora più in se stessa, convinta che in fondo aveva fatto bene a non regalare le sue parole a nessuno, tenendole a girare solo nella sua testa.

Margherita invecchiò. Con il tempo le sue mani non riuscirono più nè a disegnare nè a scrivere. Ella perciò passava il suo tempo triste su una panchina, al sole nel parco, a guardarsi in giro e ad invidiare ciò che gli altri avevano, chiedendosi come mai le fosse stata riservata una vita così solitaria.

Terza Parte

Un giorno, quasi per caso, vide un uomo, un bambino ed un ragazzo seduti sulla panchina di fronte a sè ed ebbe un sussulto. Erano tutti e tre lì, apparsi all’improvviso, l’uomo del the, il bambino con la bicicletta ed il ragazzo del tram. La guardavano tutti e tre, con uno sguardo privo di espressione. Sembravano finti, come di cera, senz’anima, eppure lei sapeva che erano vivi. O che almeno un tempo remoto del suo passato lo erano stati.

Incuriosita, si avvicinò ad essi lentamente, guardandosi in giro per capire se anche la gente intorno a sé li vedeva o se erano frutto della sua immaginazione. Nessuno sembrava curarsi di ciò che faceva e così si sedette in un piccolo spazio sulla panchina, pescò un piccolo foglietto dalla sua borsa e ci disegnò su un cuore. Lo passò al ragazzo, questi si mosse come per magia e lo passò al bambino e questi ancora fu come si svegliasse apposta per passare il biglietto al signore del the. Le tornò il disegno, ma null’altro successe.

Il giorno dopo ritrovò quei tre che considerava suoi amici, seduti sulla stessa panchina di fronte alla quale era solita sedersi. Si sedette vicino a loro e disegnò su un pezzettino di carta una mano. Passò il disegno al ragazzo, che lo passò al bambino e questi al signore del the. Le tornò il disegno, ma null’altro successe. Il terzo giorno disegnò una bocca, tutti la guardarono ma null’altro successe.

Il quarto giorno disegnò una lacrima, il quinto un anello, il sesto un’ala, il settimo una gabbia, l’ottavo una piuma, il nono un libro pieno di parole. Tutti li guardarono, l’uno dopo l’altro, e null’altro successe.

Il decimo giorno Margherita non disegnò nulla. Era inutile. Nessuno la capiva.

Passò così il biglietto vuoto al ragazzo, che la guardò perplesso. Il bambino cadde dalla bicicletta e scoppiò a piangere e l’uomo gettò a terra una tazza da the sbucata all’improvviso dal nulla. Scapparono poi tutti insieme verso la stessa direzione e Margherita decise che stavolta non li avrebbe persi. Trovava la situazione abbastanza surreale, ma in fondo nella vita nulla le aveva tenuto più compagnia dei momenti trascorsi con quei tre strani figuri e così corse dietro ai loro passi. Giunse al limite di una casa piccola e bianca, con il tetto di tegole rosse, molto simile a quella che Margherita era solita disegnare quando era piccola.

La porta d’ingresso era aperta e così la scostò un po’, guardandosi in giro.

Dentro la casa c’era un piccolo atrio con tre porte. Una a sinistra, una al centro ed una a destra. Aprì la porta a sinistra e si ritrovò nella sala da pranzo di quando era piccola. Sulla tavola c’erano una teiera fumante e pasticcini appena sfornati. Le scappò un urlo di gioia e se ne stupì. Non aveva più udito nemmeno un sussurro dalle sue corde vocali da quando era piccola, perciò rimase stupefatta del tono della sua voce. Non la riconosceva come sua e quasi ne era spaventata ed ammirata insieme. L’uomo del the entrò nella stanza e le disse:
-         Benvenuta Margherita!
Margherita gli sorrise e gli chiese :
-      Perchè sei scappato?
-      Sono scappato dal tuo silenzio, perchè in esso c’era tanta solitudine.

Rimasero insieme a lungo. Margherita sorrideva e parlava senza stancarsi mai. Sembrava quasi volesse recuperare tutto il tempo perduto. Ad un certo punto l’uomo del the dovette fermarla e spingerla indietro nell’atrio della casa, dove c’erano le tre porte.

Margherita aprì la porta al centro e si ritrovò nel giardino che attraversava tornando da scuola. Non si stupì di vedere il suo piccolo amico scorazzare in bicicletta e stavolta non esitò a fermarlo e a chiedergli il suo nome. Parlarono a lungo, Margherita gli raccontò tutte le favole che le venivano in mente, finchè non gli chiese:
-      Perchè sei scappato?
-      Sono scappato dal tuo silenzio, perchè in esso c’era tanta tristezza
Una voce di mamma chiamò il ragazzino e Margherita lo lasciò andare.

Tornata di fronte alle tre porte, Margherita imboccò la porta di destra. Si trovò nel tram che la portava a lavorare, proprio di fronte al ragazzo, che si illuminò in un sorriso quando la vide. Lei lo prese per mano, scesero dal tram e andarono a rifugiarsi in un bar dove si sedettero e si raccontarono a lungo storie di vita ordinaria. All’improvviso gli chiese:
-      Perchè sei scappato?
-      Sono scappato dal tuo silenzio, perchè in esso c’era tanto egoismo
Margherita sentì un forte impulso di tornare indietro, chiuse gli occhi e si ritrovò come per magia nell’atrio della piccola casa bianca.

Era una storia straordinaria quella che aveva appena vissuto, ma nessuno le avrebbe creduto, se l’avesse raccontata. Così decise che avrebbe fatto bene a tacere, ancora una volta. Oramai era anziana e l’avrebbero presa per matta e rinchiusa in un ospizio per vecchi dove sarebbe morta di inedia, tristezza e solitudine. Peggio di quanto già il destino non le aveva riservato.

Stava per uscire dalla casa, quando la casa stessa iniziò a tremare e si sollevò da terra. Margherita ne fu spaventata a morte e non aveva nemmeno un appiglio al quale tenersi. Le pareti si agitavano, sbattendo il suo fragile corpo da una parte e dall’altra. All’improvviso la porta d’ingresso si spalancò e lei si trovò a scivolare in un vortice turbinoso, fino a che non sbattè a terra e chiuse gli occhi.

Non aveva ritenuto mai nessuno capace di comprendere quello che il suo cuore aveva da dire e così si era indurita al punto da cacciare tutti coloro che avevano provato ad amarla. Il suo cuore duro non aveva più parole, nè per sé, nè per gli altri. E lo aveva imparato troppo tardi.

Così sulla sua tomba non fu scritta nessuna parola.
Ogni volta che passo davanti al cimitero la vedo: è una piccola tomba bianca, con una lapide che nel suo silenzio racconta più di molte parole messe insieme.

-         Ma questa non è una favola!
-         E perchè?
-         Perchè le favole hanno sempre un lieto fine e questa non ce l’ha... sembra la realtà...
-         Forse lo è?
-         Non mi piace! Uffa non mi piace... volevo una favola io... inventa un’altra fine...
-         Va bene.. ma solo perchè ti chiami Margherita....

... All’improvviso la porta d’ingresso si spalancò e lei si trovò a scivolare in un vortice turbinoso, fino a che non sbattè a terra e chiuse gli occhi.

Quando si risvegliò, Margherita era nel suo letto.
Era tornata piccola, il volto della sua mamma era chino su di lei per darle il buongiorno.

Ma allora, aveva solo sognato?
Margherita non se lo chiese due volte: che fossero stati solo sogni o che fosse stata realtà, aveva imparato che gli altri erano importanti e non poteva escluderli dalla sua vita solo per evitare di soffrire. Sembrava che la vita avesse deciso di offrirle un’altra possibilità e Margherita pensava che sarebbe stato stupido sprecarla: almeno con le persone alle quali voleva bene avrebbe provato a parlare!

Così  si levò sul letto, baciò la mamma e le sorrise:
-      Buongiorno!!!!!!

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