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10 mar 2011

L'odore del mondo - Radhika Jha - In metro

Mi trascino ciecamente in direzione della metropolitana

Finalmente sono sotto, al riparo della stazione. La banchina è affollata. E l’odore non infastidisce nessuno. Il treno arriva stridendo e la folla spinge in avanti, mi porta con sé nel treno. Parte il segnale, le porte ci chiudono all’interno e il treno comincia a muoversi, acquista velocità ed entra nel buio.

Osservo la porta di fronte, c’è un adesivo familiare, un coniglio rosa con la zampa incastrata nella porta. Dal punto in cui la zampa è imprigionata s’irradiano sottili linee nere di dolore. Ma il coniglio guarda indietro, sopra la spalla, e sorride seducente. La separazione è dolorosa, ma bisogna sopportarla con il sorriso. Forse è naturale separarsi da coloro che si amano, se si vuole vivere una vita in movimento. Forse la scelta è tra amore e movimento. Penso subito a Olivier. Mi aspettava paziente per cena. Ma io sono intrappolata in un tunnel di movimento eterno. Addio Olivier, sussurro tristemente dentro di me, sono caduta fuori dal tuo mondo. Dentro la carrozza la falsa luce del giorno sorride eternamente.

Il treno accelera lungo la curva e rallenta all’ingresso della stazione. Entra un burattinaio. Sospiro e mi guardo intorno. Anche gli altri passeggeri hanno voltato lo sguardo da un’altra parte. Il burattinaio non sembra farci caso. Si china, tira fuori un panno di velluto nero e lo appende tra due pali della carrozza. Poi estrae una vecchia videocamera e la sistema in mezzo al corridoio. Scompare dietro la tenda.


Da sopra la tenda appare una marionetta che canticchia in modo stonato una melodia popolare. I passeggeri cominciano a mormorare e a strascicare i piedi.

- Finiscila con questa noia! – grida un uomo
 Hai sentito quell’uomo, Patrick eh - compare una seconda marionetta che colpisce la prima sulla testa – La tua canzone è terribile.

Alzo lo sguardo sorpresa.

- Aloua Ahmed – risponde la prima – Che altro posso fare. Non ho nient’altro da fare . – Il resto delle parole sono coperte dal rumore di un treno che ci passa a fianco.
- Che cos’è? – chiede la seconda marionetta
- Un treno
- No. Ti sbagli. Non è un treno, è la guerra.
- E tu sei pazzo – scatta Patrick. Non c’è più nessuna guerra adesso. Gli Stati Uniti ci proteggono

Qualcuno ride.

- Ti dico che riconosco il suono, è proprio la guerra
- Sei proprio sicuro? E come fai a conoscerla? Te l’ha detto Dio? E’ il tuo migliore amico?
- Lo so perché… - Passa un altro treno. La marionetta cade, frustrata. – Merde, putain de train, me fait chier, non riesco a pensare

Alcune ragazzine sogghignano per le oscenità.

- Che cosa? Tu pensi?
- Certo che penso!
- Qual è il punto? Qualcuno ti paga per pensare?
- Nooo. Ma mi piace. Sono bravo a pensare.
- Pazzo. Non puoi essere bravo se nessuno ti paga. Nessuno mi paga per fare qualcosa – Nella carrozza cala il silenzio: tutti ascoltano il burattinaio.
- Bene, allora sei libero di fare i soldi. Vuoi fare soldi?

Prima che l’altra marionetta possa rispondere, una pesante voce maschile brontola dietro di me: - Tutti vogliono fare i soldi, ma senza lavorare

Mi volto: è un orso d’uomo, imponente, con i capelli grigi. Dietro di lui c’è un gruppo di sei uomini, tutti con gli elmetti gialli da lavoro.

- Tu sai come fare i soldi? – chiede la prima marionetta.
- Naturalmente
- Non è possibile. Tu sei arabo
- Che ne sai? La mia gente era composta da commercianti prima ancora che la tua sapesse contare
- Palle. La tua gente… Tutti truffatori. E comunque, qual è il tuo piano?
- Il mio piano è semplice ed elegante. Noi inviamo un’istanza al governo dicendo che siccome non ci sono abbastanza posti di lavoro, vogliamo crearci noi stessi il lavoro, ma abbiamo bisogno di capitale. Così quello che proponiamo è che ci diano una certa somma per avviare i nostri affari
- Perché dovrebbero farlo?
- Perché poi non dovrebbero più pagare nessuna indennità sociale, risparmierebbero le tasse. Vedrete, gli piacerà, daranno qualsiasi cosa.

Mi viene da ridere, una risata cinica, però.

- Mi piace prendere l’assegno mensile. Mi fa sentire francese – dice la prima marionetta

I passeggeri ridono. Ma io non riesco a unirmi a loro.

- Non essere stupido, puoi essere indipendente, è meglio che essere francese – dice la seconda marionetta

Ma per essere indipendente bisogna prima essere francesi, penso con amarezza. Osservo le facce intorno: loro non lo sanno.

- Non è possibile - dice Patrick – Sono stupido. Ecco perché mi hanno cacciato dalla scuola. Non riesco a pensare qualcosa che non sia già stato pensato.

Il pubblico ride di nuovo. Li guardo e l’invidia si aggiunge alla rabbia nei confronti del burattinaio.

- Non preoccuparti – dice orgogliosa la seconda marionetta – Ti posso aiutare. Ho un sacco di idee – Ci guarda – Pour toi. Lavage-â-main – dice

Un attimo di silenzio e il pubblico scoppia a ridere. Quando la risata finisce Patrick dice:

- Una lavanderia che lava i vestiti a mano? Che c’è di bello?
- Qualcuno la preferisce ai lavaggi a macchina, è più naturale.
- Sei un asino. Vattene – Guarda avanti e ricomincia a cantare stonato
- Ti sbagli – insiste Ahmed – Credimi, ho studiato il mercato
- Tu non sai niente – grida Patrick, quasi in lacrime – Sei solo un buono a nulla come me. Tu sai per quale motivo i ricchi pagano mia madre? Per lavale le loro bellissime cose nei loro appartamenti

Ahmed fa un balzo indietro. – Perché non mi hai detto cosa faceva tua madre? – Finge di pensare, la mano sotto il mento. – Ma tua madre, che cosa fa con i suoi vestiti sporchi dopo che ha finito di lavare i vestiti sporchi degli altri?

- Ha una lavatrice – risponde Patrick soddisfatto

Il pubblico scoppia a ridere. Senza accorgermene, anche io mi unisco al gruppo.

- Perché non mi hai detto che tua madre ha una lavatrice – chiede Ahmed
 Non me l’hai chiesto – risponde Patrick scorbutico
- D’accordo, non entriamo nel personale. Tu usi la sua lavatrice per avviare una vera lavanderia
- Non posso. Non so usare la lavatrice. Lo fa sempre mia madre

Ahmed esasperato si schiaffeggia una gamba. – Allora dimentica la lavatrice. Come fa tua madre con i ricchi di Parigi, tu puoi lavare a mano i vestiti dei vicini

- Ma?
- Niente ma… - dice Ahmed con fermezza – Faremo credere alla gente che sai farlo meglio di loro. Meglio e a buon mercato, su una grande insegna. Si metteranno in fila fuori dalla porta.
- Ma i vicini mi conoscono. Ecco perché mi nascondo qui – si lamenta Patrick

La nostra risata si alza all’unisono. Una donna dai capelli grigi, la faccia segnata dalla fatica, mi cattura lo sguardo. Ci guardiamo e sorridiamo.

- Sei un politico? – chiede d’un tratto Patrick ad Ahmed – Perché se lo sei, faresti meglio ad andartene e a lasciarmi in pace. Io non voto
- Non sono un politico. Sono un animateur des emploi

Patrick sembra confuso. Poi ridacchia in modo derisorio. – Che tipo di lavoro è questo? Non ne ho mai sentito parlare!

Ahmed mantiene il suo atteggiamento sicuro – Non importa – dice in modo arrogante – sono il primo di una lunga tradizione che si apre al futuro – Alza il braccio come un prete – Creerò lavoro per tutti

- Lo farai? – grida qualcuno nel pubblico, sbuffando incredulo. – Neanche il governo e le grandi imprese riescono a farlo.
- Ecco perché i grandi manager e i burocrati sono così grandi e importanti da non inchinarsi mai abbastanza a guardare le crepe
- Per paura di essere fottuti da dietro – aggiunge qualcuno dal pubblico. Ahmed si china lentamente tenendo una mano sul culo e guardandosi dietro impaurito. L’intera carrozza applaude freneticamente

Il treno si ferma all’improvviso in mezzo alla galleria. Una voce annuncia che è successo qualcosa nella stazione successiva. Le marionette discutono la possibile causa del ritardo. Ma io non guardo più. Sogno un ristorante, il mio ristorante, immerso negli odori che ho creato. Il treno comincia a muoversi. Sono nella cucina di Olivier, la nostra cucina, riscaldata dai fornelli e dai vapori, dove il mio odore è perso nel profumo di quando facciamo l’amore.

Torno al presente, con la mente che ancora vaga negli abissi. La nostra carrozza è affollata. C’è gente in piedi nei corridoi. Osservo il muro di corpi, la temperatura dello scompartimento si alza e l’aria diventa maleodorante. All’improvviso si apre un varco nella folla e compare un uomo piccolo, quasi piegato in due. I capelli lisci e unti ricadono sulla fronte e coprono praticamente la faccia, gli occhi che sembrano fissi su un invisibile punto appena sopra il pavimento. Dondola in avanti le braccia che sembrano mosse da un elastico non accordato con lo strascicarsi senza direzione dei piedi, e con l’apatia con la quale intona il lamento del mendicante. Un’ombra scende sulla carrozza. Gli altri lo fissano, e poi si voltano, a disagio o irritati. Solo il gruppo di operai rimane impassibile. Si spostano e continuano a parlare. Li invio perché riescono a ignorare il mendicante. Io non ci riesco. Vedo che si avvicina e provo una paura superstiziosa: so che è il mio destino. Adesso è di fronte ad alcuni giovani che lo fissano senza espressione. Uno di loro gli mette una moneta nella mano ciondolante. Lui prosegue, oltrepassa tre ragazze adolescenti e con il braccio urta accidentalmente contro le gambe di una delle tre. Lei grida, e le altre guardano l’uomo con rabbia. Il mendicante si volta velocemente, non incontra gli occhi di nessuno, e di nuovo ripete: - Merci. Nella confusione, s’imbatte nel gruppo di operai. Questa volta lo notano.

- Fait attention, merde – esplode il grasso caposquadra
- Vaurien, mascalzone – aggiunge un altro, sgridando il mendicante. Un terzo uomo, il più piccolo del gruppo, con la faccia da topo, allontana la mano del mendicante con uno schiaffo. Le poche monete volano via e cadono sul pavimento. Il mendicante emette un suono e si piega sulle ginocchia.

Il caposquadra abbassa lo sguardo e poi osserva la tenda nera delle marionette. – Perché raccogli quei soldi? – dice, piegandosi e afferrando il mendicante per i capelli: - Non hai fatto niente per guadagnarli, non li meriti.

Sento il petto stringersi per la tensione e rimando giù la bile che mi cresce in gola. Osservo il volto del mendicante: è morbido, rugoso, sembra quasi rosicchiato dai topi. Gli occhi sono ancora peggio: profondamente incassati nel cranio, privi di espressione, morti, contornati da cerchi scuri. Sono occhi da pazzo, vuoti, e guardano all’interno.

Il caposquadra spinge il mendicante senza pietà verso il burattinaio. – Guarda lì – dice ai compagni, - ecco un esempio di senza lavoro. Credete che possa trovare un altro posto? No. Lui è senza lavoro per una ragione, perché non è utile. Allora poche scuse, prendi le tue marionette e vattene di qui

Trattengo il respiro. La carrozza è totalmente immobile.

- Parli di me? – dice Ahmed con voce strozzata – Io non sono disoccupato. Sono l’impiegato dei disoccupati. Un giorno anche tu verrai da me. Ci sono sempre lavori per i maiali, di questi tempi
- Che cosa? – si scalda il caposquadra – mi hai chiamato maiale?

Ahmed finge di arretrare terrorizzato, le gambe che tremano: - Naturalmente no, Monsieur. I maiali sono animali utili. Ci forniscono cibo.

Le ragazze cominciano a ridere, e così gli altri passeggeri. La faccia del caposquadra, visibilmente in collera, diventa rosso porpora. E quasi si avverte un digrignare di denti mentr si lancia contro la tenda nera, afferrando la testa sorridente e sfacciata di Ahmed.

Proprio allora il treno si arresta di colpo. Il caposquadra perde l’equilibrio e inciampa nella videocamera, aggrappandosi alla tenda. Cade pesantemente, portandosi dietro la tenda e le marionette. Il burattinaio guarda giù e fa per aiutarlo, ma il caposquadra gli tira uno sputo. Guardo gli altri operai: sguardi assassini. Istintivamente afferro il braccio del burattinaio e cerco di trascinarlo via. Sento un ruggito ed il rumore di qualcosa che is rompe, come metallo che urta contro il pavimento.

Guardo indietro. Gli operai in soccorso del loro capo furioso si vendicano sulla telecamera silenziosa, che stava ancora filmando. Ci saltano sopra contenti, facendola a pezzi con i pesanti scarponi.

- Andate all’inferno – grida il burattinaio – Quella è la mia telecamera
- Giusto. Lo faremo a te la prossima volta – dice il caposquadra e con i denti fa a pezzi Ahmed.

In un impeto di angoscia il burattinaio si lancia contro di lui. Il grosso caposquadra lo colpisce come fosse una mosca. Il burattinaio cade in ginocchio. Lo circondano e cominciano a colpirlo, lo prendono a calci, e intanto gridano e s’incoraggiano l’un l’altro, Mi scaglio contro di loro, e mi accovaccio sopra il burattinaio. Ci riempiono di calci. Sento colpi alla schiena, alla testa, alla faccia. Il burattinaio, sotto di me, rimane fermo. Poi sento qualcuno gridare, dice agli uomini di fermarsi, dice di non colpire una donna.

All’improvviso i colpi si fermano. Uno straniero mi fa sedere. Gli altri passeggeri formano un cerchio protettivo attorno a noi. – Lascia che l’aiuti – dice una voce rosa – Sta bene? La porto in ospedale? – Una mano si allunga verso di me. La respingo e mi muovo lentamente nel corridoio, portandomi dietro il burattinaio. Mi segue riluttante, gemendo e lottando per scansare colpi immaginari.

Proprio allora il treno si ferma e le porte si aprono. Saltiamo giù. Il burattinaio continua a lamentarsi: - Arrête, la mia borsa, la mia marionetta! – Guardo la folla sulla banchina. Gli operai sono accalcati all’ingresso della carrozza, indecisi se continuare la caccia o rimanere dentro. Ci fissano attraverso i finestrini, fanno gesti minacciosi: - Vi troveremo, non preoccupatevi – recita uno di loro con un movimento delle labbra. Finalmente suona il fischio di partenza. Le porte si chiudono e il treno si muove, lasciandoci sulla banchina a guardare, mentre una dopo l’altra, le carrozze passano rombando.

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