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10 mar 2011

L'odore del mondo - Radhika Jha - a Dunkerque


Trovo una caffetteria, una piccola tempesta mi si agita nello stomaco. Apro la porta e vengo accolta da voci diverse, conversazioni tranquille e discussioni gridate. La caffetteria è piccola e buia e intorno al bar sono ammassate delle persone, per lo più uomini. La parte dove si cena è vuota, tranne che per una persona sola che siede in un angolo vicino alla finestra. Mi viene indicato il tavolo di fianco ed ordino un kir e una caraffa di vino.



L’uomo è così vicino che posso quasi toccarlo. Sta mangiando una salsiccia. La guardo affamata. E’ rivestita di pelle tesa e trasparente. La forchetta buca la pelle. Il coltello nella mano ferma e velata di blu la incide in modo netto. La fetta s’infila dritta come una freccia nella bocca priva di labbra, nascosta all’ombra di un grosso naso sporgente.



Mastica rumorosamente. Il lungo mento floscio sbatte contro il collo, emettendo un piccolo suono profondo, fat fat fat.



Mi piego in avanti affascinata, e i nostri gomiti si toccano.



- Mi scusi – dico e torno indietro
- Prego – il vecchio sorride – Ora posso parlarle



Lo guardo, sorpresa.



Il sorriso si allarga: - Vede, questi sono i contatti umani. Lei mi tocca e adesso possiamo parlare.



Si allunga e mi tocca volontariamente la guancia. – E’ fantastico entrare in contatto con la gente, specialmente con i giovani. – Mi ritraggo, sorpresa ma anche un po’ allarmata. Non voglio il peso del contatto con questo strano vecchio che si rivolge disinvolto agli sconosciuti.



- Che cosa pensava quando mi ha toccato? – chiede con cordialità



La domanda mi coglie di sorpresa: - Io… - la mente è vuota – Ho dimenticato… - scuoto la testa – Non era importante.



- No, mi dica, cos’era? – insiste
- Qual è il suo ricordo più bello – chiedo bruscamente per cambiare argomento



L’uomo si mette comodo e pensa alcuni secondi.



- Quando ho dormito con mia moglie per un anno, prima di sposarla – Annuì a se stesso – Sì quelli erano gli anni migliori
- E dopo che l’ha sposata, cos’è successo?
- Abbiamo avviato un ristorante. Io cucinavo, lei serviva in tavola e puliva – si guarda intorno . – Ma non è bello rimanere sempre in un posto. Si deve viaggiare, cambiare aria.



Mi fissa, gli occhi intensi. Faccio segno di sì per incoraggiarlo.



- Così viaggio, vado in molti ristoranti diversi, grandi, piccoli, brutti, mediocri, e anche enormi. Ho tre figlie. Tutte buone cuoche. Mi incoraggiano a viaggiare. Nella cittadina dove vivo, sulle Alpi, ci avvizziamo a furia di non vedere nient’altro che mucche e noi stessi. La gente e le mucche cominciano ad assomigliarsi.
- Da noi, da dove proviene la mia famiglia, le mucche vengono usate per negoziare le mogli – scherzo
- Veramente? – si infila in bocca un altro pezzo di salsiccia e mastica. – Mucche umane. Forse la tua gente e la mia, dopotutto, non sono così diverse. – Ride sonoramente allo scherzo e solleva il bicchiere di vino. – Santé – beve alla mia salute, inclinando il bicchiere davanti a me. Prendo il mio e faccio lo stesso. D’un tratto il kir ha un sapore migliore. Sorrido.



Mi guarda attentamente, uno strano sorriso sulle labbra. – Ma scommetto che voi non avete mucche solitarie – dice, e ridacchia con l’aria trionfante.



- Cosa intende? – il mio sorriso nasconde una punta di irritazione.- Le mucche solitarie non esistono, fanno sempre parte di una mandria. – Bevo ancora un po’ di kir.
- Le mucche umane sono sempre solitarie – dice con tristezza – una nuova razza. Non le ha ancora incontrate, forse.



Si allunga verso la caraffa di vino, vuota. Gliene verso un po’ del mio. Mi ringrazia e beve un lungo sorso. Poi ricomincia a parlare, la voce bassa, appena udibile al di sopra dei rumori del bar.



- Alla fine la monotonia diventa solitudine, e ce ne avvolgiamo. Poi con la solitudine arriva l’oblio, e tutto è grigio, sempre più grigio. C’era un pittore nel nostro villaggio. Tutti i giorni mischiava una goccia di pittura bianca con una punta di nero, e dipingeva un quadro. Alla fine si sistemava davanti a una vecchia macchina fotografica che aveva precedentemente fissato su un cavalletto e scattava la fotografia: lui accanto al quadro. Faceva così tutti i giorni, e ogni giorno aggiungeva una goccia di bianco sulla tavolozza. All’inizio le tele restavano nere. Poi cambiarono: prima grigio scuro e poi, ogni giorno di più, il colore cominciava a schiarirsi e il pittore era circondato da sfumature di grigio allungate verso l’infinito. – Taglia un altro pezzo di salsiccia. Io finisco il kir e comincio con il vino.
- E poi? Qual è la fine della storia? – chiedo impaziente
- Non c’è fine, è sempre lì che dipinge la stessa cosa tutti i giorni – risponde semplicemente il vecchio
- Oh – sono delusa – Per quale motivo allora mi ha raccontato questa storia? – chiedo ruvidamente



Mi guarda con la faccia assorta. – Per quale motivo? – e comincia a ridacchiare. – Non saprei, l’ho dimenticato – Si interrompe e tossisce. Dopo il colpo di tosse si asciuga con la fronte il tovagliolo infilato al collo.



- Dimentico facilmente adesso. Ma ho trovato il modo di recuperare i ricordi. Nella tasca destra della giacca conservo sempre gli scontrini dei ristoranti dove sono stato e in quella sinistra il biglietto del treno. Mia figlia Isabelle mi lascia alla stazione di Martigny. Là prendo un kir al ristorante de la Gare, di fronte alla stazione. In questo modo segno il punto d’inizio del viaggio. Da lì in poi conservo gli scontrini. E se lo scontrino non riporta il nome del ristorante, glielo faccio scrivere. Così so dove sono, è un sistema molto efficace.



Lo ascolto con invidia. Quel vecchio era più felice senza ricordi. E forse lo sapeva, ecco perché poteva parlare liberamente con gli altri, perché li dimenticherà, come dimenticherà me e ricorderà soltanto il nome del ristorante.



Finisce il pasto senza parlare, perso nel suo mondo senza tempo. Poi bruscamente si alza e se ne va. Il piatto è pulito alla perfezione. La caraffa di vino è vuota. In mezzo c’è lo scontrino, lievemente sporco e già pagato, con il nome del ristorante scritto a chiari caratteri. Afferro lo scontrino e corro fuori. – Signore – grido. Ma il vento porta via le mie parole. Il vecchio è inghiottito dall’oscurità.

1 commento:

  1. Era da tanto che non leggevo un libro così intenso...

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