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27 mar 2011

Mille volte amore – Una scala per le nuvole

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Primo Capitolo – As usual

Il campanello della porta strideva oramai nelle orecchie di Monique da cinque minuti, mentre sotto la doccia sperava che Milly si alzasse e andasse ad aprire. Un attimo di silenzio la convinse che così era stato ed invece, il tempo di infilarsi l’accappatoio e strizzarsi i lunghi capelli con un asciugamano, il campanello ricominciò insistente.

Monique aprì la finestra che affacciava sulla stradina d’ingresso alla casa per vedere chi fosse, ma indovinava che fosse Daniele, visto che quasi tutti i pomeriggi, da circa un mese, veniva regolarmente a casa per aiutare Milly in Statistica. Il sole le ferì gli occhi e le riscaldò la pelle abbronzata che non era coperta dall’accappatoio. Gli occhi azzurri brillarono al sole.


- Ciao Daniele! Sono qui, guarda su… - disse a voce alta, facendogli segno con la mano per attirare la sua attenzione
- Ciao Monique! Avevo appuntamento con Milly…
- Immaginavo… non me la contate giusta voi due… dovrei tenerti fuori! Ma non è ancora arrivata ad aprirti?
- Stai tranquilla… lo sai che è come una sorellina per me… ma una di voi due si decide ad aprirmi o sto qui a farti da Romeo, mia Giulietta?
- Eh… mi tocca scendere… due minuti, arrivo! – gli disse richiudendo la finestra, per scendere giù ad aprire il cancello.

Aprì la porta di casa lentamente, sbirciando se fuori ci fosse qualcuno. Poi bisbigliò a Daniele:

- C’è qualcuno fuori?
- Eh? Non ti sento?
- C’è qualcuno fuori?
- No, perché? – chiese Daniele, ma capì immediatamente quando vide Monique sgattaiolare fuori dalla casa in accappatoio ed aprire il cancello. - Sembri un fantasmino, lo sai, con quell’accappatoio grande e l’asciugamano in testa!
- Oh grazie! Qualcuno magari mi potrebbe anche trovare sexy, se non ti dispiace! – gli borbottò facendo l’offesa e poi si mise a ridere.
- Adoro il tuo sorriso! Però sì… sei un fantasmino sexy… nonostante la tua età!

Monique lo guardò un po’ storta e Daniele si riprese subito dandole un bacio sulla guancia:

- Ma no, ma no… stavo scherzando.. .lo sai che ti adoro…. E’ su Milly?
- Credo di sì… sparisci dalla mia vista prima che ti picchi! – gli fece eco Monique tenendogli il broncio per dispetto.

Daniele! Sospirò dentro di sé. Lo conosceva da vent’anni quel ragazzo. Era andato all’asilo con suo figlio Antoine. Aveva frequentato le elementari con Antoine. Aveva giocato per anni a calcio con Antoine. Era stato a catechismo con Antoine. Le medie le avevano passate insieme. Al liceo erano stati nella stessa classe e l’università era stata una passeggiata mano nella mano, per loro. Poteva essere suo figlio… come Antoine, già Antoine! Chissà dov’era in quel momento. Se n’era andato subito dopo la laurea, in America, per una borsa di studio ed aveva lasciato lei e Milly sole, in quel piccolo paesino di provincia.

Daniele era rimasto attaccatissimo a loro ed ora che anche Milly era all’università, si piazzava in casa ogni pomeriggio per farle ripetizioni di Statistica. Arrivava lì verso le sei del pomeriggio e restava fino alle nove, qualche volte anche fino alle undici, se Monique lo invitava a cena e lui era libero. Passavano le serate a chiacchierare, a ridere, a prendersi beffe l’uno dell’altra. Monique spesso si stufava di quella complicità e se ne andava a dormire, alzandosi di tanto in tanto, quando non prendeva sonno, per spiarli. Non voleva confessarlo a se stessa, ma in fondo era innamorata di Daniele. Era bello, era allegro, era simpatico, era dolce. Era tutto ciò che poteva desiderare. Tranne il fatto che lui non l’amava, almeno non come dovrebbe amarsi una fidanzata. Per Daniele, Milly era la confidente, l’amica, la sorella che non aveva, così come Antoine era stato il confidente, l’amico ed il fratello che non aveva mai avuto.

Monique lo adorava. Fin da quando era bambino, aveva avuto una passione speciale per lui. Restava le ore incantata a guardare il suo viso: la forma squadrata della fronte, gli occhi verdi smeraldo, le ciglia lunghissime che davano intensità al suo sguardo, i capelli che appena crescevano un po’ di più si arricciavano in boccoletti, la bocca di un colore rosso vivo che contrastava con i denti bianchissimi, il mento squadrato e volitivo. Ma non era solo la simpatia che ispirava il suo bel faccino da monello… Era l’allegria che sprizzavano i suoi occhi, i suoi sorrisi ubriacati di felicità e la sua impassibilità di fronte alle contrarietà della vita, che lo portava sempre a sminuire gli intoppi ed esaltare i momenti sereni.

Anche quando era cresciuto non aveva mai perso il suo fondamentale ottimismo. Anche nell’età più ostica, quella della ribellione, quella dell’incertezza, quella delle paure che derivano dal vedersi crescere intorno al cuore da bambino un corpo da uomo, lui manteneva la sua positività e dove vedevi un sorriso, dietro sapevi di poterci scorgere il suo bel faccino.

Era diventato ragazzo e poi uomo. Monique si era fatta indietro. Vedeva i suoi “due” ragazzi crescere, giocare, uscire. Vedeva i loro cuori iniziare a palpitare e fremere dietro le borse da danza delle ragazzine. Li curava da lontano, insieme a Germana, la mamma di Daniele, con la quale era sempre stata molto amica, unita da una maternità raggiunta in una età in cui altre ragazze ancora studiavano o pensavano solo a divertirsi.

Persino quando Antoine era via, Daniele la andava a trovare. Gironzolava per casa, scherzava con Milly, le portava un gelato da mangiare insieme. Monique accettava di buon grado il ruolo di madre “in seconda”, se non altro perché le colmava un po’ quel vuoto che l’assenza di Antoine aveva creato nella sua vita. «Tutto nella norma…» si diceva Monique.

Secondo Capitolo – L’incidente

Erano passate un paio d’ore da quando Daniele era salito su da Milly. Monique sentiva più che altro risate e musica e dubitava che stessero lavorando ad improbabili teorie statistiche. Sorrise tra sé e sé, pensando che forse finalmente era successo qualcosa tra quei due. Un po’ si sentiva ancora in dovere di controllarli, un po’ tendeva a fidarsi e cercava di pensare ad altro, spingendo avanti ed indietro il tosaerba nel giardino.

L’effetto della doccia era già sparito. Il caldo di quell’estate era opprimente e nel giro di poco tempo la freschezza che aveva provato sotto la doccia tiepida era svanita ed aveva lasciato posto al sudore appiccicaticcio. Si sentiva quasi sporca ed insofferente, le dava fastidio il profumo dell’erba appena tagliata, che le entrava nelle narici e si spostava subito a pizzicarle la gola. Aveva raccolto i capelli in una coda, ma le ciocche davanti le si ribellavano davanti agli occhi e ogni tanto doveva riportarle all’ordine dietro le orecchie.

Ad un certo punto era talmente concentrata, che non si accorse che Daniele stava uscendo in giardino. Daniele intuì che Monique era persa in qualche pensiero tutto suo e ne approfittò. Voleva farla spaventare, così come sempre faceva quando erano piccoli, insieme a Antoine, arrivandole alle spalle e afferrandola per la vita. Non glielo faceva da tanto… era un’abitudine che si era persa crescendo, ma, chissà perché, il vederla tutta sola nel suo mondo, gli riportò alla testa quelle risate che si faceva con Antoine, ogni volta che riuscivano a farla sobbalzare di paura. Così si avvicinò di soppiatto, appoggiando leggermente le scarpe sull’erba e portando le mani in avanti pronto ad afferrarle la vita.

Fu un attimo. Con un salto le si portò dietro. Le afferrò la vita e se la girò intorno, finendo per trovare il suo viso ad un palmo da quello di Monique. I loro occhi si fissarono inebetiti. I loro respiri si incrociarono. Le loro bocche si trovarono a non più di qualche centimetro di distanza. Non era previsto. Non era normale. Qualcosa era andato storto. Non funzionava così quando era piccolo. Funzionava che lui le appoggiava le mani sui fianchi e cercava di girarla, ma non ci riusciva perché lui era piccolo e lei pesava di più. Lei sussultava, si girava di scatto e iniziava a rincorrerlo. E lui scappava e le gridava «Corri a prendermi!» e faceva a gara con Antoine a toccarla senza farsi mai prendere. Perché non aveva funzionato ancora così? La baciò sulla guancia e si distaccò da lei, ancora sotto shock, urlandole: - Ciao mammina, ci vediamo!

Capitolo Terzo – La notte ed il giorno
Daniele si rigirava nel letto. Quella notte non riusciva a prendere sonno. Aveva provato a fare tutto quello che si cerca di fare in questi casi: latte e miele, camomilla, alzarsi a leggere un libro, alzarsi a scrivere un po’ al computer, alzarsi a lavorare, contare le pecore, i maiali e le capre. Nulla! Erano le cinque di mattina e non riusciva ancora a dormire.

Sapeva benissimo il motivo per il quale non dormiva, ma stentava ad ammetterlo. Ogni volta che gli veniva in mente la scena di lui che avanzava verso Monique, l’afferrava e la rigirava, per poi trovarsi il suo viso vicino, sentiva un qualcosa di frizzante dentro di sé ed una vocina impertinente che gli suggeriva «Dovevi baciarla, stupido!».

Qualcosa nella sua testa gli suggeriva di pensare ad altro. In fondo sarebbe stato come baciare sua madre! Quanti anni c’erano tra di loro? Venti, almeno, ammesso che Monique avesse la stessa età di sua madre. «No, no» si urlava dietro per non pensarci, ma la sua mente continuava a riproporgli quelle immagini e la vocina dentro di lui continuava a dargli dello stupido.

Alle sei di mattina decise che non sarebbe più rimasto in balia dei minuti che passavano. Si alzò senza far rumore, per non svegliare suo padre e sua madre, si preparò un caffè nero bollente, si infilò la tuta e si diresse verso il Parco lungo il Naviglio. Non ci sarebbe stato nessuno a quell’ora. Avrebbe avuto il tempo di pensare, capire, immaginare, sognare, riflettere e, soprattutto, dimenticare. «Forse» si diceva «devo esorcizzare la cosa. Devo pensarci su talmente tanto, ridicolizzarla, analizzarla, spulciarla, guardarla sotto tutti gli aspetti, smontarla e poi la dimenticherò… Sì, devo fare così». E la sua mente iniziò a viaggiare. Immaginò una fine diversa per quella scena. Pensò al momento in cui il suo viso si era trovato a pochi centimetri da quello di Monique e guardò come in un film le sue labbra avvicinarsi a quelle di lei, le sue braccia avvolgerla come si abbraccia una donna, non una madre, le sue mani cercare il suo corpo, stringerlo a sé, mentre scopriva l’eccitazione crescere. «Ma no! » si interrompeva «No, potrebbe essere mia madre! Che cavolo sto pensando…» e allora, sconfitto, infilava le cuffiette e riprendeva il percorso, per poi togliersele dopo un po’ nervosamente e ritrovarsi a pensare a quelle due labbra appena sotto i due occhi azzurro cielo di Monique.

- Daniele! Daniele!

Daniele si voltò e sgranò gli occhi. Monique? Che caspita ci faceva lì? Stava ancora sognando?

- Oh, ma quanto corri?
- Ciao Monique… ma che ci fai qui?
- Io vengo a correre tutte le mattine. Tu, piuttosto, che ci fai?
- Non riuscivo a dormire…
- Ah no? Il caldo, eh?
- No… no… pensieri…
- Preoccupato per il lavoro?
- Ehm… no no nulla, tranquilla… le cose a volte vanno a posto da sole senza che tu ci faccia nulla…
- Sei sempre così saggio alle sei di mattina?
- No… - rispose Daniele con un sorriso ammiccante – solo quando mi capitano certe cose…
- E quali cose?

Daniele si vedeva flirtare con Monique. Si vedeva sorridere, con la bocca, con gli occhi, con il corpo, come faceva di solito quando voleva conquistare una ragazza. Ma non era una ragazza, porca miseria! Che caspita stava facendo? Voleva rovinare tutto?

- Niente…
- Oh, come sei misterioso… mi fai paura… dai, torniamo insieme? Vieni a casa a prendere un caffè?
- Massì, dai… Milly dorme?
- Non c’è… ieri sera alla fine le ha telefonato Claudia ed è andata ad una festa.
- Ma era già tardi quando sono venuto via io…
- Eh che ci posso fare?

Monique lo prese per mano e lo spinse a correre.

Daniele si sentiva sempre più strano, felice, inebetito. Cosa caspita era scattato in lui la sera prima non sapeva dirlo, ma trovava la situazione sempre più assurda. Monique, poteva essere sua madre. Non poteva pensare a lei in altro modo, non poteva! Eppure la sua bocca gli tornava davanti agli occhi, risentiva il profumo della sua pelle, sentiva sulle sue mani il corpo liscio sotto di sé. L’emozione dentro di sé cresceva e con essa una strana eccitazione. Interruppe il flusso dei pensieri chiacchierando.

- Davvero vieni sempre a correre?
- Ma perchè? Non dirmi che non lo sapevi? Non te l’ha mai detto Milly? Ogni tanto viene anche lei…
- No, non lo sapevo… sei in forma… per la tua età, intendo…
- Senti un po’, ragazzino… è da ieri che mi stai prendendo in giro sulla mia età… cosa vuoi? Sfidarmi?
- Non posso… ti batto…
- Senti, allora… facciamo così… arriviamo fino alla Casa degli Alpini. Senza sosta. Di corsa. Chi arriva ultimo paga pegno, d’accordo?
- Sei sicura?
- Sì… e che pegno facciamo?
- Lo decide chi vince… hai cinque chilometri per decidere…. Ti va?
- Mm… inizia a tremare, ragazzo!
- Pronta?
- Sì…
- Quando quella bici arriva qui andiamo ok? Uno…. Due… Tre…

Partirono di corsa. Senza impennate pazzesche, ma seri, impegnati in quella sfida che aveva per entrambi un particolare significato. Monique non voleva arrendersi alla sua età e si sforzava di tenere il passo della gioventù, ben sapendo che non poteva comunque tirare troppo subito, ma doveva lavorare di tenacia e riservarsi le forze per l’ultimo chilometro, quello di solito per lei più faticoso. Daniele invece correva a testa alta, affianco a lei, più per rispetto che per lo scarso allenamento, con gli occhi che brillavano alla sola idea di poter scegliere un pegno da farle pagare.

Monique correva, guardando avanti a sé, sentendo il sudore che traspirava dalla pelle, percependo il suo corpo nello sforzo, i muscoli tesi, le gambe che cercavano di mantenere saldo il passo. Sentiva ogni centimetro della sua pelle accarezzata dal fresco vento della mattina. Era quasi eccitata per quella sfida e vedere che Daniele le stava affianco senza sorpassarla le dava comunque un po’ di carica, pur nella convinzione nascosta che in fondo lo faceva per non umiliarla subito.

Daniele invece correndo sbirciando la sua falcata. Rallentava quando sentiva di stare per superarla e rinvigoriva il passo quando si percepiva appena indietro rispetto a lei. Osservava le sue gambe. Era appena tornata da una settimana di mare. Era abbronzata, aveva la pelle lucida, le gambe tornite che facevano capolino dai pantaloncini aderenti neri, i muscoli che si disegnavano nel movimento della corsa in modo estremamente sexy. Risaliva con lo sguardo su per il suo fisico longilineo. Non l’aveva mai guardata sotto quell’aspetto. In fondo aveva ancora un fisico estremamente desiderabile, la pancia piatta, il seno formoso ma non appesantito dall’età. Aveva sentito che alle donne dopo l’allattamento il seno si rilassa, ma per Monique questo non sembrava essere un problema. Poi all’improvviso si rimproverava per quei pensieri. «Non sta bene» si diceva, e subito dopo ricominciava a sbirciare.

All’ultimo tratto, dopo il ponte che attraversava il Naviglio appena prima del parco giochi, Daniele decise che era tempo di dare una lezione a Monique e prendersi il suo pegno d’amore. «Forse sono impazzito» si diceva «Ma la desidero e ho deciso di prendermela…». A grandi falcate raggiunse la Casa degli Alpini, lasciando Monique ansimante ben indietro rispetto a lui e si sedette su una panchina davanti ad un castello colorato, ad aspettarla. Quando finalmente arrivò le disse:

- Principessa, salga pure al suo castello!
- Scherzi eh? Che umiliazione… ma non lo raccontare a Milly, mi raccomando… sennò non viene più con me…
- Dunque hai già dimenticato? Eh…
- Cosa?
- Il pegno… no?
- Già… hai ragione… allora, quante flessioni?
- Nessuna
- Come nessuna?
- Vieni qui, principessa! – le disse mentre si avvicinava a lei e l’afferrava a sé con un braccio.

Monique non ebbe il tempo di reagire e si trovò persa nei suoi occhi verdi. Il mondo le stava girando intorno. Il suo profumo maschio e buono le trapassò le narici suscitando in lei una strana sensazione. Sentiva i muscoli di lui sotto il suo corpo, sentiva la sua lingua nella sua bocca, il suo desiderio prepotente contro di sé. Lo vedeva a due centimetri rispetto a sé e non voleva mandarlo via. Chi era quell’uomo vestito da ragazzo che la stava prendendo, corpo e mente?

Di colpo realizzò e allontanò Daniele da sé.

- Daniele, no!
- Monique, aspetta… io non so… - cercò di riprenderla, ma lei iniziò a correre e lui la lasciò andare.

Capitolo Quarto – Il tempo, a volte, non perdona

Daniele era seduto al bordo della piscina. Ogni tanto sgambettava nell’acqua schizzando i suoi amici che nuotavano vasca dopo vasca, facendo a gara a chi ne faceva di più in un’ora. Lui no. Era svogliato in particolare modo quella sera. Era un particolare anniversario, cinque mesi da quando non vedeva Monique. Era diventato matto dopo quella mattina al parco. Non riusciva a togliersela dalla testa. Quando andava a fare le ripetizioni a Milly, Monique non si faveva mai trovare o si imboscava in camera da letto con qualche scusa. Aveva provato a telefonarle, ma lei si era sempre negata. Non capiva, anche perché era convinto in cuor suo che in quel bacio lei ci avesse dato l’anima. Non riusciva a dimenticarla, nonostante il tempo, nonostante l’evidenza che lei non intendesse più incontrarlo.

Eppure due settimane dopo ci aveva riprovato. Sapeva che quel sabato Milly non sarebbe stata a casa: aveva l’esame all’università e sarebbe stata via almeno dalle nove alle cinque. Si era appostato davanti a casa sua. L’aveva vista uscire scarmigliata, in tuta. Sembrava provata da qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. L’aveva seguita, a piedi, fino al supermercato e da lontano la sbirciava, mettendo di tanto in tanto qua e là qualche prodotto, giusto per passare inosservato. Poi, quando Monique si era messa in coda, era apparso all’improvviso dietro di lei e l’aveva timidamente salutata.

- Ciao Monique

Monique aveva avuto un sussulto che aveva cercato di nascondere maldestramente. Si erano scambiati quattro chiacchiere di circostanza e poi lei l’aveva salutato e si era incamminata verso casa. Lui l’aveva raggiunta e si era offerto più volte di aiutarla con la spesa, finchè lei non aveva ceduto e così avevano incominciato a parlare, l’atmosfera più rilassata. Gli aveva raccontato un po’ di sé: era nata in Francia, in un piccolo paese della provincia di Parigi, del quale Daniele non ricordava più il nome, ed era vissuta tra Parigi e la sua casetta in campagna fino a quando non aveva conosciuto Piero, il padre di Antoine e Molly. Piero era molto più grande di lei. Lei aveva appena compiuto i diciotto anni e si era iscritta all’università. Piero era lì come ricercatore grazie ad una borsa di studio, ma era molto più vecchio di lei, circa dieci anni. Si erano innamorati e poco dopo, quando lui era tornato in Italia, si erano sposati. Aveva avuto Antoine che non aveva superato che da poco i vent’anni. Milly era venuta “per sbaglio” qualche anno dopo, ma erano stati comunque contenti, nonostante avessero preferito aspettare ancora un po’. Nemmeno dieci anni dopo Piero se n’era andato: una studentessa lo aveva completamente rimbecillito e nel giro di qualche mese aveva abbandonato la sua famiglia. Monique era rimasta completamente sola, in un paese comunque sconosciuto, con due bambini da crescere. Era però orgogliosa del suo lavoro. Antoine e Milly erano due splendidi ragazzi, con la testa sulle spalle ed il cervello che funzionava. Poi Antoine se n’era andato e il cuore ancora le faceva male: «E’ difficile farvi andare via, quando è il momento» gli aveva detto.

Lui l’aveva ascoltato incantato. Monique era bella, era dolce, era speciale. Si ricordava che quando erano piccoli lei si metteva sempre a giocare con loro, li portava al parco e giocava a calcio, a casa facevano delle battaglie magnifiche con i soldatini e poi era bravissima a giocare con il GameBoy. E adesso che era uomo, la apprezzava ancora di più. Non vedeva la differenza d’età. Cercava di ignorare che lei fosse la madre del suo migliore amico. Voleva vedere in lei solo la donna. E fu la donna che lo invitò ad entrare per prendere un caffè. E fu la donna, che lui prese tra le braccia e baciò con una passione che non gli era mai capitato prima di provare. E fu la donna che lui spogliò ed adagiò sul letto. E con lei fece l’amore godendone ogni attimo, assaporandone ogni parte, lasciandosi andare come non avrebbe mai immaginato. Alle tre aveva dovuto andare via «Scusami… ho la partita di calcio! Mi ammazzano se non vado… sono portiere…». Lei l’aveva baciato e non aveva detto niente. Era rimasta a letto, tra bianche lenzuola di lino. Bellissima.

Nell’andare via, lo aveva colpito una sensazione strana nel cuore. Aveva percepito che fosse irraggiungibile. Era appena stata sua eppure qualcosa stonava nei suoi occhi. Forse era un presentimento. Un brutto presentimento che realizzò quando tre ore dopo vide il suo SMS «Dimenticami, Daniele, se puoi». Aveva dato un pugno all’armadietto di fronte a lui, nello spogliatoio dell’oratorio. Pensava «Come cazzo faccio, a dimenticarti?». Da allora non l’aveva vista più ed il cuore, dopo cinque mesi, gli faceva ancora proprio male.

Serena comparve alle sue spalle e lo buttò in acqua, senza che lui potesse opporle resistenza. Finì addosso ad una nuotatrice che passava lì, la quale si fermò visibilmente arrabbiata, pronta a cantargliene un po’. Daniele riemerse tra l’incavolato e l’umiliato e se la trovò di fronte.

- Monique!
- Daniele… ma sei tu?
- Che c’è, non mi riconosci più dopo tutto questo tempo? Hai già cancellato la memoria?
- Daniele, non è il caso… per favore…
- Esci dalla piscina.. forza dai.. andiamo via di qui…
- Daniele, ti prego…
- No, sono io che ti prego. Ho passato cinque mesi d’inferno per colpa tua. Ti ho incontrato per caso, non sono venuto a cercarti… ma visto che siamo qui, ho almeno il diritto di parlarti un attimo?
- Va bene… ci troviamo tra un quarto d’ora fuori?

Il cuore gli batteva forte. Salutò i suoi amici che lo guardarono un po’ stupefatti andare via, si buttò sotto la doccia calda, si asciugò in fretta e corse fuori ad aspettarla. Dopo circa dieci minuti la vide uscire, i capelli umidi, gli occhi arrossati, ma bella come la ricordava.

- Dove andiamo? – gli chiese Monique – se vuoi possiamo andare in quel bar…
- Casa tua? – osò Daniele
- Non penso sia il caso, Daniele… - disse Monique, con lo sguardo in basso
- Dai, Milly dov’è?
- Dal padre…
- Ti porto a casa tua…

Arrivarono lì. Monique stese gli accappatoi ed i costumi bagnati, preparò un’insalata e la portò a tavola, dove Daniele aveva apparecchiato per due. Mangiarono qualcosa, raccontandosi timidamente la vita ordinaria. Dopo cena, Monique si sedette sul divano e si accese una sigaretta.

- Allora, ti ascolto… - gli disse con la voce un po’ tremante
- Così a freddo… non è facile… - le rispose Daniele, schiarendosi un po’ la voce
- Provaci… sei venuto qui apposta, no?
- Beh… ci sono rimasto male… mi hai liquidato con un SMS… non è da te… non me lo aspettavo…
- Lo so, scusa.
- E’ tutto quello che vuoi dire?
- Daniele, sai meglio di me che quella storia non poteva andare avanti. Abbiamo sbagliato, me ne sono resa conto nello stesso istante in cui stavi uscendo da questa casa. Sei un ragazzo, io potrei essere tua madre. Che senso avrebbe?
- Monique, io ti desidero come si desidera una donna. Io ti cerco come si cerca una donna. Non sei come una madre per me, lo puoi capire, questo?
- Renditi conto che non ha senso Daniele…
- Può anche non avere senso, ma sono le mie emozioni. Mi sei mancata da morire. Ti cercavo, ti spiavo, volevo incontrarti, ma poi mi dicevo che a te non sarebbe piaciuto e restavo in disparte. Ha fatto un male cane, dentro, e fa ancora male. Io non riesco a dimenticarti. Tu invece… - disse con un sorriso beffardo - … a te invece non frega niente… mi tratti come un ragazzino…
- Questo non puoi dirlo, Daniele.
- Posso dirlo, invece. Non avresti reagito come è successo se non fosse così…
- Piccolo impertinente, come ti permetti di dire cosa provo o non provo io? Eri tu qui accanto a me quando mi mordevo le mani per non chiamarti? Eri tu qui quando evitavo di chiedere a Milly cosa facevi, dov’eri, con chi eri? Eri tu che non dormivi la notte rotolandosi nel letto per cercare ancora il tuo profumo? Eri tu che desideravi addormentarsi per sognare ancora quelle poche ore che abbiamo trascorso insieme? Non permetterti più di dire cosa io provo o cosa io non provo. Sono stata male forse quanto te, in questi mesi e sto ancora male, ma ciò non toglie che sarebbe un errore gravissimo fare andare avanti questa storia. E sembra che io sia la più forte, dunque è toccato a me negarmi, scomparire, resistere alla tentazione. Per tutti e due, visto che tu non avevi nessuna intenzione di farlo.

Era scoppiata a piangere. Lo aveva preso alla sprovvista e non aveva saputo fare altro che prenderle la faccia tra le mani e iniziare a baciarla. Lei non si era opposta. Le scoppiava il cuore accanto a quel ragazzo. Gli guardava gli occhi e si perdeva in essi. Si lasciava andare tra le sue mani e ne provava piacere. Non era un ragazzo che vedeva di fronte a sé. Vedeva l’uomo che sapeva rispettarla ed amarla. Vedeva l’amore che a lungo aveva cercato. Cercava di non pensare che quell’uomo era un ragazzo. Si abbandonava a lui, al piacere che le sue mani sul suo corpo facevano trionfare, ricambiava le carezze, i baci, tra le lacrime che li insaporivano. Finirono per piangere tutti e due, ognuno con il proprio pezzo di dolore sul cuore. Si scambiavano la sofferenza dello stare lontani, si passavano l’amore da una parte all’altra.

Solo dopo qualche ora, fu Monique a tornare sul difficile argomento.

- Io non posso darti quello che tu potresti chiedere alla vita, lo sai Daniele…
- Io chiedo… solo te, Monique.
- Non è così… sei ancora giovane. Hai tanti desideri che nemmeno sono nati in te. Pensa solo al desiderio di avere un figlio. Con me ti sarebbe preclusa ogni chance. Ed è un desiderio al quale io non posso chiederti di rinunciare, perché so cosa vuol dire.
- Monique, non mi interessa…
- Adesso non ti interessa, Daniele, per favore ragiona con la testa, non con il cuore…
- Come devo dirtelo, Monique? I-o t-i a-m-o
- Non sparare parole grosse, ti prego.
- E’ quello che sento e non ho altre parole per esprimerlo. Non ti preoccupare, non mi aspetto che me lo dica anche tu. So che per te non è così…

Daniele si rivestì e uscì. Non cercò più Monique, ma una sera, qualche mese dopo, di rientro da una festa con Serena, che era diventata nel frattempo la sua ragazza, trovò una lettera intestata a lui, nella cassetta della posta. Entrò a casa, si spogliò, si mise a letto e la aprì.

Ti amo. Anche io ti amo.

Ti dovevo una risposta e ti giuro che sto facendo violenza a me stessa per ammetterlo e per dirtelo. Ma per un attimo, ancora per una volta, slego ogni laccio che mi ha tenuto inchiodato il cuore.

Ho fatto stupidaggini in questo periodo, cercando di scovare tutte le coppie famose nelle quali lui è più giovane di lei. Le ho cercate su Internet, le ho sbirciate, ho letto tutto di loro. Ho cercato di convincermi che non è una cosa così fuori dal mondo. Ho pensato che in fondo la parità è anche questa: così come è “normale” per un uomo stare insieme ad una donna anche molto più giovane, una donna dovrebbe pensare sia “normale” stare con un uomo più giovane. Mettevo a tacere i pensieri che mi portavano ad immaginare il difficile passaggio del nostro amore alla realtà: noi insieme tra la gente, la gente che ci guarda, tua madre – Germana, la mia amica – che ci guarda. Oddio! Mi dicevo… massì, comunque se ci amiamo si può fare…

Eppure tutta la razionalità che potevo metterci per convincermi che la nostra storia potesse essere possibile, non bastava a fermare il cuore che batteva per te e che spingeva lontano da te. Sì, questo è un amore strano, che batte solo se riesco a tenerti lontano da me, a difenderti da quello che vedo solo essere un cammino di dolore, per me, per te e per il nostro amore.

Vedi, amore io, tutto sommato quando penso a te, io vedo l’uomo dentro. Vedo quello che sei diventato, quello che potresti essere e rappresentare per me e mi dico che «Sì, ti vorrei ancora». Vorrei che tu mi potessi stringere ancora a te, facendomi provare il calore del tuo amore. Sento ancora in me tutto il tuo amore, dal primo bacio all’ultima carezza. Rivedo la tua anima affianco alla mia, dalla prima volta fino all’ultima. Vedo due persone che hanno saputo amarsi in un istante e potrebbero amarsi a lungo, senza le convenzioni dell’età. Vedo il tuo rispetto per me. Vedo il tuo desiderio di me che si fa strada lentamente, con passo sicuro. Una sicurezza che ho desiderato a lungo e non ho mai trovato, nemmeno con l’uomo che mi è stato compagno per tanto tempo. Vedo la gioia nei tuoi occhi color smeraldo. Li vedo brillare quando incontrano i miei occhi. Vedo fremere il tuo respiro e palpitare il tuo petto all’unisono con il mio. Vedo e sento, con il potere del cuore, che non sottosta alle regole del quieto vivere. Vedo e spero di vedere ancora. Vedo e spero di sentire ancora. Vedo e spero di poterti amare ancora.

Io vedo in te la mia stessa anima, senza età, senza fronzoli del tempo e ti vedo simile a me, mio gemello del vivere e dell’amare. Ma amare per me è anche sperare di poter dare all’altro tutto ciò che desidera, nel tempo e nello spazio nei quali i desideri maturano, nelle diverse età della vita. E’ lì che si ferma il mio pensiero. E’ lì che si blocca il volo d’angelo. E’ lì che il mio amore trova un limite. Strano a dirsi, perché l’amore non dovrebbe avere limiti. Eppure, mi dico, l’amore non dovrebbe nemmeno porre dei limiti. Ed il mio amore, Daniele, purtroppo ti imporrebbe scelte difficili che limiterebbero la tua felicità.

Io so cosa è un figlio. Cosa vuole dire crescerlo dentro di te, assaporare il desiderio del futuro, provare ad immaginare come sarà, chi e cosa diventerà. So cosa vuol dire confrontare la tua immaginazione con la realtà, quando quel figlio che è cresciuto in te diventa una persona reale tra le tue braccia e la vedi dipendere da te nei bisogni più elementari. E ne hai cura. E decidi di rinunciare a te stesso per lui. Senza chiedere nulla in cambio, perché è l’amore più puro che c’è. Quello che dà senza ritorno. Io per te ho provato l’amore di una madre, quando eri piccolo e venivi qui a giocare con Antoine. Ti ho cresciuto come se fossi mio figlio, ti ho amato come se fossi mio figlio e ho visto farti uomo e un po’ ne ero orgogliosa. Perché in fondo, un po’, ti ero stata mamma anche io. Sono orgogliosa, sì, lo ripeto e lo ridico forte, di quell’uomo che sei ora. Hai imparato ad amare, la cosa più difficile che c’è. Quella che non si può insegnare, perché o ci sei portato o ti danni tutta la vita a cercare di impararla. Posso dire che tu sai amare, posso dire che tu mi hai amato e forse ancora mi ami e forte di questo amore, tu hai saputo lasciarmi andare, senza tenermi egoisticamente legata a te.

Credimi, però che io non posso pensare di guardarmi in faccia tutti i giorni allo specchio, sapendomi responsabile di averti tolto tutto questo. Di averti tolto la possibilità di confrontarti con te stesso, di confrontarti con questo amore puro. Sarei colpevole del peccato più grave ai miei occhi: quello di averti sottratto la vita stessa, che senza figli ha solo un senso parziale. Io non posso chiederti di rinunciare, per me, a provare queste emozioni. Né tu puoi chiedermi di farti rinunciare. Non ci credo, quando mi dici che non te ne importa. Non te ne importa ora, non te ne importa qui. Un giorno te ne importerà e quel giorno, so che potresti perfino arrivare ad odiarmi.

Ed al di là di questo, sappi che il tempo ci porterà comunque ad avere esigenze e tempi diversi. Io sarò stanca quando tu sarai nel pieno delle tue forze. Io avrò voglia di sedermi e riposare, quando tu avrai voglia di correre. Non avremo modo di gustare insieme quell’età nella quale i ricordi si ripercorrono mano nella mano e ci si rimbrotta da mattina a sera, ancora con il sorriso negli occhi.

E allora, cosa farai? Mi lascerai da parte? Soffrirai in silenzio e rinuncerai?
E allora, cosa faremo?

Non posso lasciarti l’onere di scegliere tra me ed il mondo che devi ancora scoprire. Non posso trascinarti avanti facendoti scoprire anzi tempo cosa è quella parte di vita che ancora non ti appartiene. Devi ritrovarla tempo per tempo.

Devo scegliere io per te, qui ed ora. Perché sono la più forte.

Ti chiedo solo di non lasciare che questo amore che sentiamo forte in noi possa disperdersi nelle ansie della vita. Non dirmi di no, che non è vero. Io so che prima o poi tutto ciò accadrebbe e questa certezza non può togliermela nessuno. Aiutami a difendere la purezza e la bellezza del nostro amore, perché così ci resterà per sempre. Aiutami a far sì che resti puro ed intatto così come lo proviamo ora. Non lasciare che il tempo possa farne stracci che farebbero solo male al cuore.

Questo è il mio amore e così parla al tuo cuore.

Non pretendo tu lo capisca ora. Ora non lo accetterai. Forse strapperai questa lettera, ammesso che tu sia arrivato fino in fondo a leggerla. Ora sentirai odio verso di me. Ora tirerai fuori i tuoi pugni e colpirai la mia immagine che è dentro di te, ferendoti e soffrendo. Ma credimi, un giorno capirai. Capirai perché l’ho fatto e capirai che è amore anche questo. Amore allo stato puro. Amore che ti sostiene in cielo sulle nuvole, anche se in questo momento ti sta portando giù all’inferno.

Soffrirai. Almeno quanto sto soffrendo io, nello scriverti, nel sapere che non posso più vederti, perché vederti vuol dire desiderarti e prima o poi ci faremmo ancora male. Credi che io non desideri rivederti, fare ancora l’amore con te? Dio solo sa, quanto lo desidero. Quanto ti cerco nei ricordi, negli oggetti, nei giochi, negli occhi di mia figlia, nei racconti delle vostre serate insieme. Dio solo sa, cosa darei per averti qui e poterti abbracciare, potermi abbandonare in te, come ho fatto in passato. Che Dio non cancelli mai quei ricordi! Mi hai dato qualcosa che non avevo e che ora custodirò gelosamente nel cuore. Mi hai regalato il tuo mondo e so che saresti pronto a farlo ancora. Ma il tuo ed il mio mondo si sono incontrati per sbaglio. Non avrebbero dovuto coincidere e fondersi per quell’attimo che ci ha fatti perdere.

Torna sulle nuvole, Daniele. Torna a sognare, come solo alla tua età si sa fare.

Io non ho più sogni da sognare. Io mi accontento della vita e di quello che mi ha dato. So che mi darà ancora molto. So che tu mi ami e questa è una certezza che le convenzioni non riusciranno a scardinare. Ma dobbiamo stare lontani. Tu resta sulle tue nuvole. La tua età lo consente. La tua età consente di volare ancora con le ali spiegate, al di sopra del vento , verso il sole. Lasciati guidare nelle terre che non hai mai scoperto, da qualcuna che ti possa anche rimanere affianco e possa scoprirle insieme a te.

Io ti amerò ancora e ti scrivo solo per dirtelo, perché, come me, tu possa avere questa piccola certezza nel tuo grande cuore.

Monique.

Aveva le lacrime agli occhi, Daniele. Lesse la lettera più volte. Non riusciva a separarsene e così se la infilò tra la maglietta ed il pigiama, proprio sul cuore, per sentirla più vicina, più dentro di sé. Si addormentò così, Daniele, sulla sua piccola nuvola dove Monique lo aveva depositato dolcemente. Sentiva le sue braccia avvolgerlo, cullarlo e carezzarlo. E si convinse che sì, un amore così valeva la pena di lasciarlo dov’era, intatto e puro, isolato dal mondo, dai pettegolezzi, dalle malelingue, dalle regole che non capiscono fin dove, un cuore, possa davvero amare.

Germana entrò nella sua stanza in silenzio. Era preoccupata. Non capiva cosa stava succedendo al suo Daniele, sempre sorridente e brioso. Avrebbe voluto chiederglielo, ma una madre impara a stare dietro le quinte della vita di suo figlio, zitta, ma disponibile quando serve per una carezza, un bacio o una parola. E rimase sorpresa. Daniele dormiva, ma sul suo viso era stampato un sorriso, uno di quelli che non vedeva da tempo. Gli rimboccò le coperte, lo baciò sulla fronte e sorrise anche lei: finalmente, si disse, Daniele era riuscito a trovare la scala per le nuvole.


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