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22 apr 2012

Apologia di Socrate [Platone]


L'Apologia di Socrate è un testo giovanile di Platone. Scritto tra il 399 e il 388 a.C., è la più credibile fonte di informazioni sul processo a Socrate, oltre a quella in cui la figura del vecchio filosofo è probabilmente meno rimaneggiata dall'autore. Socrate infatti non scrisse mai nulla: tutto quel che sappiamo sul suo conto lo dobbiamo a Senofonte, Platone, al commediografo Aristofane e in parte ad Aristotele, che non lo conobbe direttamente.

Per via dell'uso di Socrate come personaggio letterario nei propri dialoghi, diventa a volte difficile capire dove finisca il Socrate storico e dove invece Platone si stia servendo della figura del filosofo per esprimere le proprie teorie.

Hai torto, caro mio, se pensi che un uomo, anche di non grande valore debba far conto del pericolo di vita o di morte: l’unica cosa di cui dovrà curarsi, quando agisce, sarà se le sue azioni son giuste o meno, e le sue opere degne di uomo nobile o ignobile.

Della morte, in realtà, nessuno può sapere con sicurezza neanche se sia il supremo bene toccato all’uomo, e tuttavia vien temuta nella certezza che sia il supremo male. E non è la più riprovevole forma di ignoranza, questo presumere di sapere ciò che non si sa? [...] Consideriamo che, anche per un altro verso, c’è ragione di sperare che tutto ciò sia un bene. Morire, infatti, può essere solo una di queste due cose: o uno stato per cui il morto non è più nulla e non possiede percezione di nulla, o magari  - secondo quanto si racconta – una sorta di mutamento dell’anima, un suo passaggio da questo a un altro luogo. Ora se la morte fosse assenza di percezioni e simile semmai a un sonno, quando si dorma senza sogni, sarebbe un mirabile guadagno. [...] in tal caso la totalità del tempo appare non più lunga di quest’unica notte. Se d’altronde essa è come una migrazione da qui a un altro luogo (ed è allora veridica la tradizione che ivi si trovano tutti quanti i defunti), quale bene potrebbe esservi, o giudici, maggiore di questo? Se cioè uno giunge nell’Ade, libero da costoro che si chiamano giudici, e vi trova quelli che lo sono realmente, e si dice rendano giustizia in quel luogo, cioè Minosse e Radamantom ed Eaco e Trittolemo, e tutti quei semidèi che sono stati giusti in vita... il viaggio, in questo caso, potrebbe mai dirsi futile? E poi: cosa non darebbe chiunque di voi, per incontrare Orfeo, o Museo, o Esiodo, od Omero? A me va bene morire anche più di una volta, se tutto ciò è vero! Saebbe un meraviglioso passatempo, per me in particolar modo, incontrare Palamede e Aiace figlio di Telamone, o chi altri fra gli antichi è morto a causa di un giudizio ingiusto, e mettermi a confrontare le mie sofferenze con le loro. No, non sarebbe spiacevole... ma il massimo sarebbe intrattenersi a esaminare quelli là come ho fatto con questi qui, indagando chi di loro sia sapiente e chi invece, pur presumendo di esserlo, non lo sia.



Il più grande bene dato all’uomo è proprio questa possibilità di ragionare quotidianamente sulla virtù e sui vari temi su cui mi avete sentito discutere o esaminare me stesso e altri, e che una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta dall’uomo.

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