L'Apologia di
Socrate è un testo giovanile di Platone. Scritto tra il 399 e il 388 a.C., è la
più credibile fonte di informazioni sul processo a Socrate, oltre a quella in
cui la figura del vecchio filosofo è probabilmente meno rimaneggiata
dall'autore. Socrate infatti non scrisse mai nulla: tutto quel che sappiamo sul
suo conto lo dobbiamo a Senofonte, Platone, al commediografo Aristofane e in
parte ad Aristotele, che non lo conobbe direttamente.
Per via dell'uso
di Socrate come personaggio letterario nei propri dialoghi, diventa a volte
difficile capire dove finisca il Socrate storico e dove invece Platone si stia
servendo della figura del filosofo per esprimere le proprie teorie.
Hai torto, caro mio, se pensi che un uomo, anche di non grande valore
debba far conto del pericolo di vita o di morte: l’unica cosa di cui dovrà
curarsi, quando agisce, sarà se le sue azioni son giuste o meno, e le sue opere
degne di uomo nobile o ignobile.
Della morte, in realtà, nessuno può sapere con sicurezza neanche se sia
il supremo bene toccato all’uomo, e tuttavia vien temuta nella certezza che sia
il supremo male. E non è la più riprovevole forma di ignoranza, questo
presumere di sapere ciò che non si sa? [...] Consideriamo che, anche per un
altro verso, c’è ragione di sperare che tutto ciò sia un bene. Morire, infatti,
può essere solo una di queste due cose: o uno stato per cui il morto non è più
nulla e non possiede percezione di nulla, o magari - secondo quanto si racconta – una sorta di
mutamento dell’anima, un suo passaggio da questo a un altro luogo. Ora se la
morte fosse assenza di percezioni e simile semmai a un sonno, quando si dorma
senza sogni, sarebbe un mirabile guadagno. [...] in tal caso la totalità del
tempo appare non più lunga di quest’unica notte. Se d’altronde essa è come una
migrazione da qui a un altro luogo (ed è allora veridica la tradizione che ivi
si trovano tutti quanti i defunti), quale bene potrebbe esservi, o giudici,
maggiore di questo? Se cioè uno giunge nell’Ade, libero da costoro che si
chiamano giudici, e vi trova quelli che lo sono realmente, e si dice rendano
giustizia in quel luogo, cioè Minosse e Radamantom ed Eaco e Trittolemo, e
tutti quei semidèi che sono stati giusti in vita... il viaggio, in questo caso,
potrebbe mai dirsi futile? E poi: cosa non darebbe chiunque di voi, per
incontrare Orfeo, o Museo, o Esiodo, od Omero? A me va bene morire anche più di
una volta, se tutto ciò è vero! Saebbe un meraviglioso passatempo, per me in
particolar modo, incontrare Palamede e Aiace figlio di Telamone, o chi altri
fra gli antichi è morto a causa di un giudizio ingiusto, e mettermi a
confrontare le mie sofferenze con le loro. No, non sarebbe spiacevole... ma il
massimo sarebbe intrattenersi a esaminare quelli là come ho fatto con questi
qui, indagando chi di loro sia sapiente e chi invece, pur presumendo di
esserlo, non lo sia.
Il più grande bene dato all’uomo è proprio questa possibilità di
ragionare quotidianamente sulla virtù e sui vari temi su cui mi avete sentito
discutere o esaminare me stesso e altri, e che una vita senza ricerca non vale
la pena di essere vissuta dall’uomo.
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