Il Critone (in greco Κρίτων) è un dialogo giovanile di Platone e per questo motivo la figura di Socrate che vi ritroviamo è verosimilmente vicina a quella che doveva essere nella realtà. Si può quindi attingere a questo dialogo per indagare il pensiero e la filosofia di Socrate. I personaggi di questo dialogo sono Socrate e il suo amico e discepolo Critone. La scena ha luogo dopo la condanna a morte di Socrate, accusato di empietà e corruzione di giovani. Poiché la condanna non può essere eseguita subito, in quanto bisogna aspettare l'arrivo della nave sacra, Critone si reca da Socrate nel carcere per cercare di dissuaderlo dall'accettare la sentenza e convincerlo invece a fuggire da Atene. Critone tenta di convincere Socrate a fuggire utilizzando il deterrente, terribile per la mentalità greca classica, della derisione popolare, della condanna morale da parte della folla: Critone prevede moltissime ingiurie nei confronti degli amici di Socrate, accusati di non averlo aiutato a fuggire, e lo accusa addirittura di sottrarsi alle proprie responsabilità, di abbandonare i propri doveri per ignavia o paura. Ma Socrate riporta Critone alla ragione: l'opinione che vale è quella di chi sa, di chi è saggio, non del popolo, che non riesce a carpire la Verità; solo dell'opinione di costui ci si deve preoccupare, solo questa vale. E, d'altra parte, Socrate non viene certo meno ai suoi doveri, visto che la situazione per la sua famiglia non cambierebbe se lui scappasse, né i suoi amici verrebbero condannati, non fa altro che ribadire quanto già detto nell'Apologia. Platone introduce quindi per mezzo delle parole di Socrate una prosopopea delle leggi[2] Queste, dice Socrate, sicuramente lo criticherebbero e lo accuserebbero se egli cercasse di sfuggire alla sua pena, in quanto esse sono state come dei genitori per lui, hanno garantito alla sua vita un sistema di controllo cui affidarsi nelle questioni civili; trasgredirle significherebbe quasi ricusare l'ordine che la sua vita ha avuto. L'ingiustizia era considerata causa di danno per l'animo, la parte umana di cui più dovremmo curarci. Inoltre, secondo Socrate è bene che le leggi terrene possano introdurlo come più si conviene alle loro sorelle dell'aldilà, che comunque andranno affrontate. Critone non può che condividere il ragionamento di Socrate e accettare la sua scelta di morire.
SOCRATE Stai bene
attento, allora, a quel che ne consegue. Allontanandoci da qui senza previo
consenso della città facciamo del male a qualcuno, e proprio a chi meno
dovremmo, oppure no? E rimaniamo fedeli ai principi che avevamo riconosciuto
giusti, oppure no?
CRITONE Alla tua
domanda, Socrate, non so rispondere: non capisco.
SOCRATE Prova,
allora, a metterla così. Poniamo che mentre siamo lì lì per fuggire di qui (o
comunque vogliamo chiamare questa cosa) venissero le leggi e la città tutta, si
piazzassero davanti a noi e ci chiedessero: "Dimmi, Socrate, che cosa hai
in mente di fare? Quale può essere il tuo intento, con questo gesto, se non di
fare quanto ti è possibile per distruggere noi, le leggi, e la città intera?...
O pensi che possa sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui le
sentenze pronunciate non hanno efficacia, e possono essere invalidate e
annullate da privati cittadini?". Cosa rispondere, o Critone, a queste o
simili domande? Certo, ci sarebbe molto da dire (più di tutti ci riuscirebbe un
retore) in difesa della legge che violerei, che impone che le sentenze
pronunciate abbiano vigore. Preferiremo forse dare loro una risposta del tipo
"la città ci ha fatto un'ingiustizia, emettendo una sentenza
scorretta"? Diremo questo, o che altro?
SOCRATE Ma
supponiamo che le leggi dicessero: "Ma Socrate, è questo che rientrava nei
nostri accordi, o non piuttosto l'impegno di rispettare i giudizi della
città?" Se a queste parole facessimo mostra di meravigliarci, potrebbero
aggiungere: "Invece di meravigliarti di quello che diciamo, Socrate,
rispondi (sei ben abituato a far uso di domanda e risposta). Su, hai qualcosa
da rimproverarci a noi e alla città, che ti dai da fare per la nostra rovina?
Non ti abbiamo dato noi la vita, tanto per cominciare, non è grazie a noi che
tuo padre ha preso in moglie tua madre, e ti ha generato? Di' un po', a quelle
leggi fra noi che governano i matrimoni, hai da fare qualche rimprovero?".
"Nessuno" direi io. "Ce l'hai allora con quelle che regolano la
crescita e l'educazione dei figli, in cui sei stato cresciuto anche tu? Non
erano giuste le direttive che la legislazione in materia dava a tuo padre,
prescrivendogli di educarti nella musica e nella ginnastica?" "Ma sì"
direi ancora "E allora, dopo essere stato generato, allevato ed educato,
avresti il coraggio di negare - tanto per cominciare - di essere creatura e
schiavo nostro, tu come pure i tuoi antenati? Se è così, poi, credi che tu e
noi abbiamo eguali diritti, e che se noi ti facciamo qualcosa hai il diritto di
fare altrettanto? Non eri su un piano di parità rispetto a tuo padre, o a un
padrone se ne avevi uno, sì da poter ricambiare qualsiasi trattamento,
rispondendo alle offese con le offese, alle percosse con le percosse e così
via. E te lo permetteresti ora rispetto alla patria e alle leggi, al punto che
se riteniamo giusto cercare di ucciderti ti metterai a fare altrettanto con
noi, per quanto ti riesce, e sosterrai di agire con ciò giustamente, e saresti
uno che genuinamente si cura della virtù? O con tutta la tua sapienza non ti
rendi conto che la patria è più preziosa sia della madre che del padre e di
tutti gli antenati, e più sacra, e più venerabile, più degna di considerazione
da parte degli dèi e degli uomini assennati; e che le si deve obbedire e
servirla anche nelle sue ire, più che un padre? E che l'alternativa è fra
persuaderla o eseguire i suoi ordini, soffrendo in silenzio se ci impone di
soffrire, si tratti di essere battuti o imprigionati, o anche di essere feriti
o uccisi se ci manda in guerra; e bisogna farlo - ed è giusto così - senza
arrendersi né ritirarsi né lasciare la propria posizione, perché sia in guerra
che in tribunale, dappertutto va fatto ciò che la città, la patria comanda a
meno di non riuscire a persuaderla di dove sta la giustizia?... Se è un'empietà
usar violenza contro il padre e la madre, tanto più lo sarà contro la
patria." Cosa potremo replicare a questo discorso, Critone? Che le leggi
dicono la verità, o no?
CRITONE Mi pare di
sì.
SOCRATE "Ora,
Socrate" potrebbero soggiungere le leggi "giudica se è davvero
ingiusto, come andiamo affermando, il trattamento che ci riservi in questo
momento. Noi infatti ti abbiamo messo al mondo, e allevato, ed educato, e
abbiamo distribuito fra te e i tuoi concittadini tutti i beni di cui
disponevamo: e purtuttavia dichiariamo subito, col darne il permesso a ogni
ateniese che lo desideri, che se, raggiunta la condizione di cittadino e
osservando come vanno le cose nella città e noi, le leggi, non ci trova di suo
gradimento, può benissimo prendere le sue cose e andare dove preferisce. E
nessuna di noi leggi pone ostacoli o vieta di andare con le proprie cose, dove
gli pare, a chi di voi non gradisca noi e la città e desideri trasferirsi in
una nostra colonia, o in altra località a suo piacimento. Se uno di voi rimane,
vedendo come amministriamo la giustizia e tutta la cosa pubblica, possiamo dire
che di fatto ha acconsentito a eseguire i nostri ordini; e se costui
disobbedisce diciamo che commette ingiustizia in tre sensi: in quanto non
obbedisce a noi che lo abbiamo messo al mondo, e poi a noi che lo abbiamo
allevato, e in quanto non lo fa dopo aver accettato di obbedirci, né d'altronde
cerca di persuaderci che stiamo commettendo un errore. Lungi dall'imporre con
asprezza di fare ciò che ordiniamo noi non facciamo che proporre, lasciando
possibilità di scelta fra persuaderci ed eseguire: eppure costui non fa l'una
cosa né l'altra. Ora noi sosteniamo, Socrate, che a siffatte accuse ti
presterai anche tu se farai quello che hai in mente: e non meno degli altri
Ateniesi, mai più di tutti." E se chiedessi perché mai, forse a ragione mi
assalirebbero rimarcando che proprio io, più di tutti gli Ateniesi, sono
stretto a loro da questo patto. Ecco quel che direbbero: "Abbiamo buone
prove che ti piacevamo, Socrate, noi e la città. In questa città non avresti
soggiornato enormemente più a lungo degli altri Ateniesi, se non ti fosse
enormemente piaciuta; non ne sei mai uscito per una celebrazione sacra, tranne
una volta per andare all'Istmo, né sei mai andato altrove, se non per
spedizioni militari, né hai mai viaggiato come amano fare gli altri, né ti è
mai venuta voglia di vedere un'altra città e conoscere altre leggi. Ti
bastavamo, invece, noi e la nostra città: tanto intensamente ci prediligevi,
accettando di vivere sotto il nostro governo (in questa città fra l'altro,
dando l'impressione che ti piacesse, hai fatto i tuoi figli)! Inoltre, durante
il processo avresti ancora avuto la possibilità di chiedere la pena dell'esilio,
se lo avessi voluto, di fare cioè allora, col consenso della città, ciò che
cerchi di fare adesso senza. E ti vantavi, allora, di non rammaricarti al
pensiero di dover morire, dichiarando anzi di preferire all'esilio la morte! E
ora non ti vergogni al ricordo di quei discorsi, e senza alcun riguardi per noi
leggi cerchi di distruggerci, e ti comporti come il più vile schiavo tentando
di fuggire contro i patti e gli accordi in base ai quali avevi convenuto con
noi di regolare la tua vita di cittadino. Anzitutto, dunque, rispondici su
questo punto: diciamo o no il vero, quando affermiamo che avevi accettato, e
non a parole ma di fatto, di vivere sotto il nostro governo?" Come reagire
a questo discorso, Critone, Possiamo far altro che dichiararci d'accordo?
CRITONE Dobbiamo,
Socrate.
SOCRATE E
soggiungerebbero: "Così tu non fai che violare i patti, gli accordi fatti
con noi: non vi avevi consentito perché costretto, o ingannato, e un bel po' di
tempo hai avuto, per pensarci su: in settant'anni avresti ben avuto modo di
partirtene se noi non ti andavamo bene, o se non trovavi giusti i nostri
accordi. Tu invece non optavi per Sparta o Creta, di cui stai sempre a lodare
il buon governo, né per nessun'altra città greca o barbara: di qui, anzi, sei
partito più raramente di quanto non facciano storpi, ciechi o altri invalidi. A
tal punto dunque ti andava bene, enormemente più che agli altri Ateniesi, la
nostra città, ed evidentemente (a chi andrebbe bene una città senza leggi?)
anche noi leggi. E adesso non vuoi stare ai patti? Ma sì se ci ascolti,
Socrate: così non ti renderai ridicolo abbandonando la città.
Pensa poi che piacere faresti, a te stesso oltre che ai tuoi amici,
cadendo in un errore come quello di trasgredire i patti. Che i tuoi amici
correranno anche loro il pericolo di andare in esilio ed essere privati dei
diritti civili, o di perdere i propri beni, è abbastanza chiaro. Quanto a te,
se ti recherai in qualcuna delle città più vicine, come Tebe o Megara (entrambe
vantano una buona legislazione), vi giungerai, Socrate, come un nemico del loro
ordinamento civico: tutti quelli che si preoccupano della loro città ti
guarderanno con sospetto, considerandoti un guastatore di leggi, e rispetto ai
giudici contribuirai a consolidare l'opinione che abbiano emesso una sentenza
giusta, in quanto uno che corrompe le leggi può apparire, a maggior ragione,
come un corruttore di giovani o di uomini stolti. E allora cosa farai, eviterai
le città rette da buone leggi e gli uomini più onesti? Oppure li avvicinerai,
senza pudore, per parlare con loro, ma di cosa, Socrate? Argomenterai, come
facevi qui, che le cose più preziose per l'uomo sono la virtù e la giustizia, e
le leggi e tutto ciò che vi si connette? Non credi che il fare di Socrate
apparirà sconveniente? È inevitabile. E se tenendoti alla larga da questi
luoghi te ne andassi in Tessaglia, dagli amici di Critone? Certo che lì regnano
il più gran disordine e lassismo, e non è escluso che starebbero ad ascoltare
volentieri come sei ridicolmente evaso dal carcere mettendoti addosso qualche
travestimento (una pelle d'animale, o altre cose che usano per travestirsi i
fuggiaschi) per rendere la tua fama irriconoscibile. Non vi sarà nessuno a
rilevare che vecchio come sei, verosimilmente con poco tempo ancora da vivere,
hai spinto il tuo tenace attaccamento alla vita al punto di trasgredire le
leggi più importanti? Forse no, se non infastidirai nessuno: altrimenti,
Socrate, ne avrai da sentire di commenti sul tuo conto, e ben umilianti!
Potresti vivere ingraziandoti questo e quello, servilmente, e occupandoti di
cosa, in Tessaglia, se non di spassartela?... Quasi ci fossi andato per
banchettare! E quelle nostre conversazioni sulla giustizia e le altre virtù,
dove saranno andate a finire? Ma già, vuoi vivere per i tuoi figli, per
allevarli ed educarli. Davvero? Li alleverai ed educherai portandoteli in
Tessaglia, facendone degli stranieri per sovrappiù? O in alternativa li farai
allevare qui, e con te vivo saranno allevati ed educati meglio, anche se non
sei vicino a loro? Certo, se ne prenderanno cura i tuoi amici. Ma lo faranno se
partirai per la Tessaglia, e non invece se partirai per l'Ade? Se quelli che si
professano tuoi amici vogliono essere di qualche aiuto, lo faranno comunque.
Ma da' ascolto, Socrate, a noi che ti abbiamo allevato: non dare ai
figli, alla vita, a null'altro più valore che a ciò che è giusto, affinché al
tuo arrivo nell'Ade tu possa richiamare tutto ciò in tua difesa, presso coloro
che lì comandano. Il comportamento che non sembra qui a te (né ad alcuno dei
tuoi amici) preferibile, né più giusto né più pio, certo non ti apparirà
preferibile quando tu sia giunto lì. È vero che andandovi - se poi lo fai -
patisci un'ingiustizia, ma non da parte di noi leggi bensì degli uomini. Se
invece evadi così ignominiosamente, ricambiando offesa con offesa e male con
male, trasgredendo i patti e gli accordi stretti con noi e facendo del male a
chi meno dovresti (a te stesso, agli amici, alla patria, a noi), non solo ti
attirerai finché vivi la nostra ostilità, ma anche le nostre sorelle laggiù, le
leggi dell'Ade, non ti accoglieranno con benevolenza, sapendo che hai cercato,
per quanto sta in te, di distruggerci. Insomma, non lasciarti persuadere dai
consigli di Critone più che dai nostri".
Questo è ciò che mi sembra di sentire - sappilo mio buon amico Critone -
come ai celebranti di riti coribantici sembra di udire i flauti: e risuonando
dentro di me, l'eco di queste parole mi impedisce di udire altro. Per quanto mi
pare ora, ti assicuro, ogni tua obiezione a esse sarebbe vana. Se speri di
ottenere qualcosa di più, comunque, parla pure.
CRITONE Sono senza
parole, Socrate.
SOCRATE Allora
lasciamo perdere, Critone: e scegliamo questa via, visto che ce la addita la
divinità.
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