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29 giu 2013

L'amante di Lady Chatterley - DH Lawrence - L'amore e il sesso

L’amore e il sesso non si possono ingannare in eterno, e quando i componenti di una coppia si rendono conto, anche dopo anni, di aver basato il loro rapporto su sentimenti apparentemente reali ma in realtà contraffatti, quando non sono cioè riusciti a fondere intimamente i propri spiriti anche tramite il contatto fisico, finiscono per provare un grande odio l’uno nei confronti dell’altro. Affinché infatti il matrimonio possa raggiungere la perfezione nell’amore deve avvenire il congiungimento tra l’uomo e la donna, unione che sta nel contatto e nel rinnovamento reciproco tra il sangue dell’uno e dell’altra, due fiumi che non possono mescolarsi ma che hanno bisogno di scorrere insieme e di toccarsi nel modo più profondo, ed il fallo è l’anello di congiungimento tra i due fiumi. Solo tramite l’adempiersi di questo contatto e di questa unità, nel corso di una vita intera, due individui raggiungono la perfezione umana più alta, e da quest’unione nascono i bambini, la bellezza e le vere creazioni dell’uomo.



Il primo amplesso

Il guardiacaccia, accucciato accanto a lei, stava guardando con un’espressione divertita il pulcino che Connie teneva tra le mani. All’improvviso vide una lacrima caderle sul polso.
Si alzò per andare all’altra gabbia. Perché, all’improvviso, aveva sentito di nuovo quella fiammata attraversargli le reni, quella fiammata che aveva creduto spenta per sempre. Lottò per dominarla, dando la schiena a Connie. Ma la fiamma scese, scese in basso, gli girò intorno alle ginocchia.

Si voltò per guardarla. Era inginocchiata, tendeva le mani ciecamente verso la gabbia in modo che il pulcino potesse tornare dalla madre. E c’era qualcosa di non detto, di smarrito in lei, qualcosa che lo mosse a compassione fin giù nelle viscere.
Senza sapere cosa facesse, s’affrettò verso di lei, le si accucciò a fianco e le tolse il pulcino di mano per rimetterlo nella gabbia, perché vide che Connie aveva paura della fagiana. Dietro ai suoi lombi, il fuoco all’improvviso divampò con furia.

Le lanciò un’occhiata ansiosa. Aveva voltato la testa e stava piangendo disperatamente, con tutta l’angoscia della sua maternità dimenticata. Il cuore del guardiacaccia si sciolse d’un tratto, come una goccia di fuoco, e le sfiorò le ginocchia con le dita.

«Non dovrebbe piangere.», le disse con dolcezza.

Allora lei si portò le mani al volto e sentì come se davvero le si spezzasse il cuore e che niente importava più.

Lui le mise una mano sulla spalla, e dolcemente, gentilmente, incominciò a carezzarle la schiena, alla cieca, con un movimento carezzevole, fino alla curva dei lombi accucciati. E là, la sua mano, con dolcezza, le carezzò i fianchi, con quella carezza cieca, istintiva.

Lei aveva trovato il fazzoletto e cercava di asciugarsi il viso.

«Vuole entrare nella capanna?», le chiese lui, con voce calma e neutrale.

E prendendola delicatamente per il gomito, l’aiutò ad alzarsi e la condusse alla capanna, senza lasciarle il braccio finché non fu dentro. Poi spostò il tavolo e la sedia e prese una coperta militare da una cesta per gli attrezzi e la stese lentamente per terra. Lei gli lanciò un’occhiata, rimanendo immobile.

«Si stenda lì» le disse con dolcezza, e poi chiuse la porta, in modo che fu buio, buio completo nella capanna.

Stranamente obbedendo, si distese sulla coperta. Poi sentì la mano dolce, brancolante, disperatamente vogliosa, toccarle il corpo, cercarle il viso. La mano le accarezzò con dolcezza il viso, come per rasserenarla e rassicurarla, e infine sentì la mano tastarla, con dolcezza e tuttavia con curiosa e impacciata inesperienza, tra le vesti. La mano però sapeva anche come svestirla lì dove voleva. Le fece scendere la sottile guaina di seta, con dolcezza, con cura, fino ai piedi. Poi con un fremito d’intenso piacere le toccò il corpo caldo e morbido e le sfiorò per un attimo l’ombelico con un bacio. E dovette entrarle dentro subito, entrare nella pace terrestre del suo corpo morbido e arrendevole. Fu un momento di pace perfetta per il guardiacaccia, entrare nel corpo della donna.

Lei rimase immobile, in una specie di sonno. L’attività, l’orgasmo fu suo, tutto dell’uomo; lei non aveva la forza d’ottenere niente per se stessa. Perfino la stretta delle sue braccia intorno a lei, perfino l’intenso movimento del suo corpo, e lo sgorgare del suo seme in lei, fu una specie di sonno, dal quale non cominciò a emergere se non quando lui ebbe finito e rimase un po’ ansante contro il suo petto.

Allora si domandò vagamente perché? Perché questo era necessario? Perché questo aveva sollevato la grande nube che la schiacciava e le aveva dato pace? Era vero? Era vero?

Il suo tormentato spirito di donna moderna non le dava ancora tregua. Era vero? E lei sapeva, che se si dava a quell’uomo, era vero. Ma se teneva se stessa in se stessa, era niente. Era vecchia; si sentiva vecchia di milioni di anni. E infine, non era più in grado di sopportare il peso di se stessa. Lei esisteva solo per essere presa. Per essere presa.

L’uomo giaceva in una misteriosa immobilità. Che cosa stava provando? Che cosa stava pensando? Non lo sapeva. Era un estraneo per lei, non lo conosceva. Doveva solo aspettare, perché non osava interrompere quella misteriosa immobilità. Giaceva con le braccia intorno a lei, con il corpo su di lei, con il suo corpo bagnato che la toccava, così vicino. E del tutto sconosciuto. Ma non inquieto. La sua immobilità era serena.

Lo capì, quando infine si alzò e si scostò da lei. Fu come un abbandono. Nel buio, le tirò il vestito sopra le ginocchia e rimase in piedi per un attimo, ad aggiustarsi i vestiti. Poi con calma aprì la porta e uscì.

 Il secondo amplesso.

Le carezzava la pelle delicata, calda e segreta dei fianchi e delle anche. Abbassò la testa e strofinò la guancia contro il suo stomaco e poi contro le cosce e ancora e ancora. E di nuovo. Connie si meravigliò di quella specie di estasi che lui provava. Non capiva la bellezza che lui trovava in lei, nel toccarle le parti più intime e vive nel corpo, quasi l’estasi della bellezza. Sola la passione può capire. E quando la passione è morta o assente, allora il magnifico fremito della bellezza è incomprensibile, e perfino un po’ spregevole; calda, viva bellezza del contatto, molto più profonda della bellezza visiva. Connie sentì la sua guancia scivolarle sulle cosce, sul ventre e sulle natiche, e il tocco lieve dei suoi baffi e dei suoi morbidi capelli, e le ginocchia le incominciarono a tremare. Giù nel profondo, Connie sentì qualcosa di nuovo agitarsi, una nuova nudità che emergeva. E ne ebbe quasi paura. Quasi non voleva che la baciasse in quel modo. La stava avvolgendo tutta, in un certo senso. Stava aspettando, aspettando.

E quando la penetrò, con un sollievo e una soddisfazione che andava intensificando e che per lui era una pace perfetta, Connie stava ancora aspettando. Si sentiva un po’esclusa. E sapeva, che in parte era colpa sua. Era lei a volere rimanere separata. Ormai c’era forse condannata. Rimase immobile, sentendo dentro di sé i suoi movimenti, i suoi sforzi profondi, il fremito improvviso quando il suo seme sgorgò, poi i movimenti che andavano rallentando. Il sussulto delle natiche era davvero un po’ ridicolo. Se si è donna e si ha una parte in queste faccende, di certo quel movimento sussultorio delle natiche dell’uomo è estremamente ridicolo. E’ certo che l’uomo in quella posizione e in quell’atto era intensamente ridicolo!

Ma rimase immobile senza opporsi. Anche quando lui finì, rimase immobile senza cercare di ottenere il suo godimento, rimane immobile e il viso le si rigò di lacrime.

 Il terzo amplesso.

La condusse attraverso il muro di alberi spinosi, difficili da passare, fino a un piccolo spiazzo dove c’era un mucchio di rami morti. Ne sparpagliò in terra qualcuno asciutto e ci mise sopra la giacca e il panciotto e lei ci si dovette stendere sopra, lì sotto gli alberi, come un animale, mentre lui aspettava, davanti a lei, in pantaloni e camicia, guardandola con occhi da pazzo. Ma fu ancora previdente – fece in modo che stessa comoda, davvero comoda. Poi le ruppe il laccio della sottoveste perché lei non l’aiutò, rimase inerte.

Anche lui era denudato sul davanti e lei sentì il contatto della carne nuda quando entrò dentro di lei. Per un attimo, rimase immobile dentro di lei, turgido e vibrante. Poi quando incominciò a muoversi, nell’improvviso e inevitabile orgasmo, si svegliarono in lei spirali di nuovi e strani fremiti. Fremiti, simili a l’agitarsi sovrapposto di esili fiammelle, morbide come piume, che toccavano vertici di lucentezza suprema, deliziosa e che la scioglievano tutta. Era come l’accumularsi delle vibrazioni di una campana verso l’alto, fino al culmine. Connie rimase immobile inconsapevole dei gemiti d’eccitazione che infine non riuscì a trattenere. Ma finì troppo presto, troppo presto, e non poté far nulla per arrivare a godere da sé. Era una cosa tutta diversa, diversa. Non poté fare nulla. Non poté irrigidirsi e aggrapparsi a lui per soddisfarsi. Poté solo aspettare, aspettare e gemere nell’anima mentre lo sentiva ritrarsi, ritrarsi e contrarsi, fino al terribile momento in cui sarebbe scivolato fuori da lei, abbandonandola. Intanto il suo grembo rimaneva aperto e morbido, dolcemente supplichevole, come un anemone di mare sotto le onde, supplichevole perché lui tornasse dentro di lei per soddisfarla. S’aggrappò a lui con passione inconsapevole, e lui non scivolò del tutto fuori da lei, e Connie sentì il molle germoglio dell’uomo palpitare dentro di lei e prendere vita in strani movimenti ritmici e crescenti, che si gonfiavano e gonfiavano finché non riempirono tutta la sua coscienza dissociata, e poi incominciò di nuovo il movimento indescrivibile che non era un vero movimento, ma puri vortici sempre più profondi di sensazioni che vorticavano sempre più in profondità nella sua carne e nella sua coscienza, finché non fu un perfetto fluido concentrico di sensazioni, e rimase lì stesa, a emettere grida inarticolate e inconsce. La voce che usciva dalla notte più fonda, la vita! L’uomo la udì sotto di sé con una specie di terrore, quando il suo seme sgorgò in lei. E come la voce andava acquietandosi, così l’uomo si calmò e rimase completamente immobile, ignaro, mentre Connie allentava il suo abbraccio e si rilassava, giacendo inerte. E rimasero là, ignari di tutto, anche l’uno dell’altra, persi. Finché l’uomo infine cominciò a riprendersi e a rendersi conto della sua indifesa nudità, e Connie che il corpo di lui stava allentando la stretta. Si stava allontanando; ma in cuor suo Connie sentì che non avrebbe sopportato che la lasciasse scoperta. Doveva ormai coprirla per sempre.

Connie tornò a casa lentamente, rendendosi conto della profondità dell’altra cosa che era in lei. Un altro io viveva in lei, dolce e che bruciava fino a sciogliersi nel suo ventre, nelle sue viscere, e con questo io lo adorava. Lo adorava tanto da farle tremare le ginocchia mentre camminava. Nel ventre e nelle viscere era viva e fluida adesso e vulnerabile, e l’adorava disperatamente come la più ingenua delle donne.

Non era la passione che era una novità per lei, era quell’ardente adorazione. Sapeva di averla sempre temuta, perché la lasciava senza difese; la temeva ancora perché l’adorava troppo, e si sarebbe persa, si sarebbe cancellata, e non voleva essere cancellata, una schiava, come una selvaggia. Non doveva diventare una schiava. Temeva la sua adorazione, tuttavia non l’avrebbe combattuta subito. Sapeva che avrebbe potuto combatterla. Aveva in petto una volontà demoniaca che avrebbe saputo combattere la piena, dolce e celestiale adorazione del ventre e schiacciarla. Avrebbe potuto farlo anche subito, o almeno lo credeva, e dominare la sua passione con la volontà.

Era ancora troppo presto per cominciare a temere l’uomo.

 Il quinto amplesso.


E le sembrò di essere come il mare, nient’altro che onde buie che si sollevavano, s’agitavano fino a gonfiarsi, finché tutta l’oscurità che era in lei entrò in movimento, e si sentì come l’oceano che faceva ondeggiare la sua massa buia e muta. E in fondo, dentro di lei, gli abissi si dividevano e rotolavano via separatamente in lunghe ondate che fuggivano lontano, e sempre, nella parte più viva di lei, gli abissi si dividevano e rotolavano via, dal centro di quel dolce sprofondare, e mentre chi la faceva sprofondare andava sempre più giù, più in basso, lei si dischiudeva sempre di più, sempre di più, e più alti erano i cavalloni che rotolavano via verso qualche spiaggia lontana, scoprendola, e più intimamente la penetrava il palpabile ignoto, sempre più distanti da lei rotolavano le onde del suo sé, abbandonandola, finché all’improvviso, una una dolce rabbrividente convulsione, il vivo del suo plasma fu toccato, si sentì toccata, erano al culmine, e si dissolse. Si era dissolto, non era più, ed era nata: una donna.

 Il nono amplesso.


«Non chiedermi niente adesso», disse. «Lasciami stare. Mi piaci. Ti amo quando stai lì coricata. Una donna è una gran bella cosa quando la si può scopare. Amo le tue gambe e le tue forme, la tua femminilità. Amo la tua femminilità. Con i coglioni e con il cuore. Non mi chiedere niente adesso. Mi puoi chiedere tutto quello che vuoi dopo. Adesso lasciami in pace.»

 Il decimo amplesso.


Era quasi arrivata al viale quando lui la raggiunse e l’afferrò per i fianchi nudi, morbidi e bagnati. Connie lanciò un gridolino, si raddrizzò e la massa della sua carne morbida e fresca gli sbatté contro. Mellors se la strinse contro, follemente, e quella massa di carne di donna fresca e morbida si fece subito bollente a quel contatto. Si lasciarono bagnare i corpi fumanti dalla pioggia. Mellors le prese in mano le natiche belle e sode e le spinse contro di sé con frenesia, rabbrividendo immobile nella pioggia. Poi di colpo la buttò a terra e le cadde sopra, nel silenzioso fragore della pioggia, e la prese breve e rapido, come un animale.

 L’undicesimo amplesso.


Aveva spesso pensato che cosa intendesse Abelardo quando diceva che nei loro anni d’amore, lui e Eloisa, erano passati attraverso tutte le fasi e raffinatezza della passione, La stessa cosa mille anni prima, diecimila anni prima. La stessa sui vasi greci, ovunque! Le raffinatezze della passione, le stravaganze della sensualità! E necessarie, necessarie per bruciare e distruggere i falsi pudori e trasformare in purezza il grave minerale del corpo. Con il fuoco della pura sensualità.

In quella breve notte estiva imparò molto. Aveva pensato che una donna avrebbe potuto morire di vergogna, invece era la vergogna a morire. La vergogna che è paura: la profonda vergogna organica, l’antica, l’antica paura fisica che s’annida nelle radici stesse del corpo, e che può solo essere scacciata dal fuoco della sensualità, era stata infine scovata e distrutta dalla caccia fallica dell’uomo e Connie giunse nel cuore stesso della foresta del suo essere. Sentì di essere ormai arrivata nel fondo roccioso della sua natura, ed era essenzialmente senza vergogna. Connie era il suo io sensuale, denudato e senza vergogna. Si sentì trionfante, quasi vanagloriosa. Era così dunque! Quella era la vita! Ecco come si era in realtà! Non c’era più niente da mascherare o di cui vergognarsi. Divideva la sua ultima nudità con un uomo, un altro essere vivente.

Che bugiardi erano i poeti e tutti quanti! Ti facevano credere che c’era bisogno di sentimento. Quando quello che si voleva era questa suprema, penetrante, logorante, spaventosa sensualità.

 Il dodicesimo amplesso.


«Vuoi che te lo dica?» gli disse Connie guardandolo in faccia. «Vuoi che ti dica quello che tu hai e che gli altri uomini non hanno e che creerà il futuro? Vuoi che te lo dica?»
«Dimmelo.»
«E’ il coraggio della tua tenerezza.»
«La tenerezza è consapevolezza sessuale. Il sesso non è altro che un contatto. Il più intimo dei contatti. E è del contatto che abbiamo paura. Siamo consapevoli solo a metà, solo a metà vivi. Dobbiamo tornare a essere vivi e consapevoli.»

E lui entrò in lei dolcemente, sentendo il flusso della sua tenerezza fluire dalle sue viscere a quelle di lei, viscere unite dalla reciproca compassione.

E Mellors capì mentre entrava in lei che l’unica cosa da fare era rimanere in tenero contatto con lei, senza perdere la sua dignità o la sua integrità d’uomo.

Epilogo. 



Non importa, non importa, non torturiamoci. Noi crediamo veramente nella fiammella, e nel dio senza nome che le impedisce di spegnersi. C’è tanto di te qui con me, che è un peccato che tu non possa essere qui davvero.

Adesso non posso nemmeno smettere di scriverti.

Gran parte di noi è unita e non possiamo fare altro che aggrapparci a questo e fare in modo d’incontrarci presto. John Thomas augura la buona notte a Lady Jane, un po’ a testa bassa, ma con il cuore pieno di speranza.




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