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25 set 2013

L'animale morente - Philip Roth

Nel corpo, non meno che nel cervello, è racchiusa la storia della vita.
EDNA O’BRIEN
Trama
David Kepesh è malato di desiderio e la sua malattia si chiama Consuela Castillo, una ragazza cubana alta e bellissima, che sconvolgerà la sua vita nel modo piú tragico e inaspettato. Sotto la penna magistrale di Philip Roth, figure di uomini e donne ricche di cruda sensualità ridisegnano in modo nuovo l'antico intreccio di amore e morte.
Quando la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta ha bussato alla sua porta, David Kepesh l'ha accolta con entusiasmo, trasformandola nel momento di verità della propria vita. Da allora ha giurato a se stesso che non avrebbe mai piú avuto una relazione stabile con una donna, e per trent'anni ha mantenuto fede al proposito, conducendo l'esistenza dell'«uomo emancipato». Ma un giorno, nell'aula del suo corso di critica letteraria all'università, entra Consuela Castillo, ventiquattrenne di una bellezza conturbante, che scatena il desiderio e la gelosia del maturo professore. «Forse, ora che mi sto avvicinando alla morte, anch'io segretamente desidero non essere libero», pensa Kepesh, ma non immagina quale sarà lo svolgimento tormentato della sua relazione con Consuela, e soprattutto il suo epilogo tragico.

Recensione di Luciano de Fiore
L’animale morente non è il più bel libro di Roth. Anzi, non è tra i suoi migliori. Le frasi echeggiano come lastre di ardesia cozzanti, incapaci di trovare il proprio ritmo – ha scritto la “Yale Review of Books”. In effetti, dopo la trilogia americana che aveva flesso i propri muscoli su di una scena meno angusta che non l’introspezione autocommiserativa, questo romanzo ci riporta al cliché di Portnoy senza però quella vivacità ed effervescenza di linguaggio – tipica del miglior Roth della prima maniera – che rende tollerabile, e che anzi esalta, l’analisi personale dei personaggi. La storia consente però di scandagliare la dialettica tra pulsione e desiderio come pochi altri suoi testi e di toccare di nuovo alcuni temi-chiave: il rapporto tra desiderio e tempo e tra desiderio e piacere.
Un’epigrafe di Edna O’Brien apre il romanzo: «Nel corpo, non meno che nel cervello, è racchiusa la storia della vita». La citazione è tratta da una conversazione che lo stesso Roth riporta in Chiacchiere di bottega [1]. L’irlandese, autoesiliatasi a Londra, è considerata da Roth la migliore scrittrice di lingua inglese: «il grande mantello di Colette è andato ad Edna O’Brien, scrittrice più dark, più piena di conflitti, ma che però ne condivide la terrosità, la crudezza, la prosa cesellata, le cicatrici della maturità». Al centro di quasi tutte le storie della O’Brien c’è una donna sola, ma che non si rassegna alla solitudine e cerca l’amore, oppure che fa marcia indietro dopo un incontro sfortunato con un uomo. Come Edna gli confida, «questo è il mio territorio, che conosco grazie ad una dura esperienza. Se vuoi sapere qual è per me il punto cruciale della disperazione femminile, eccolo: nel mito greco di Edipo e nella riflessione di Freud su di esso, il desiderio del figlio per la madre è contemplato; anche la bambina desidera la madre, ma è impensabile, tanto nel mito, nella fantasia, quanto nella realtà, che questo desiderio possa essere consumato»[2].
 Come per Roth, anche nella scrittura della O’Brien il sesso ha un ruolo-chiave: «la vita sessuale è centrale per me, come credo per qualunque altro. Il sesso richiede un sacco di tempo, sia il pensarci sia il farlo, anche se spesso è il pensarci ad avere il posto d’onore. Per me è soprattutto un ambito recondito, che contiene elementi di mistero e di razzia»[3].
 Quest’autrice che ha scritto eminentemente e sapientemente di donne e di sesso apre dunque un romanzo considerato, probabilmente a torto, tra i più maschilisti Roth abbia scritto.
 Non era Yeats? Sì, erano proprio di un altro grande irlandese quei versi: “Consumami il cuore; malato di desiderio | E avvinto a un animale morente | Che non sa che cos’è”.[4] Nella terza stanza di una poesia famosa, Sailing to Byzantium, inaugurata da quell’incipit bruciante, “That is no country for old men”, non è un paese per vecchi, ripreso anche come titolo per un suo romanzo da un altro protagonista della letteratura americana di questi anni, Cormac McCarthy e per un film fortunato dai fratelli Cohen.
 Qual era il senso di quei versi di William Butler Yeats che danno il titolo al romanzo di Roth L’animale morente? Bisanzio, città dell’artifizio, della cultura, dell’immaginario, unico antidoto al desiderio. Ma prenderne possesso, divenire un uccello d’oro capace di cantare la natura, equivale – secondo Yeats – a non viverla, ad invecchiare ed a morire:
            «Once out of nature I shall never take
             My bodily form from any natural thing,
             But such a form as Grecian goldsmiths make
             Of hammered gold and gold enamelling
             To keep a drowsy Emperor awake;
             Or set upon a golden bough to sing
             To lords and ladies of Byzantium
             Of what is past, or passing, or to come»[5].
 Parlare, scrivere il desiderio, se non lo si può più vivere. Oppure viverlo fino in fondo, e dirne. È quel che sceglie l’anziano professore di desiderio, il sessantaduenne David Kepesh, protagonista del romanzo d’inizio millennio di Philip Roth, dal titolo – appunto – The Dying Animal, l’animale morente[6].
Perché muore, l’animale? Per malattia o per età? Per la malattia dell’età, per quella malattia mortale che è il tempo. Per quella malattia che ci accoglie dalla nascita e ci accompagna tutta la vita fino al giorno in cui i nostri conti vengono chiusi.
 Siamo nel decennio che porta al 2000 ed al 2001, l’anno del crollo delle Torri. L’animale morente, quel’11 di settembre, sembrò per un giorno almeno l’America col suo sogno infranto di inattaccabilità e di invincibilità. Due oggetti-fallo colpirono e distrussero in poche ore atroci il simbolo anch’esso potentemente fallocratico della potenza americana, il World Trade Center. Pochi mesi prima era uscito il romanzo di Roth. Conclusa l’anno precedente la trilogia sull’America del dopoguerra con La macchia umana (che chiudeva il ciclo comprendente Ho sposato un comunista  e Pastorale americana,1998), tornano le storie di David Kepesh, già giovane protagonista de Lo scrittore fantasma e de Il seno.
 Qui non ne va direttamente della caduta delle torri, ma del crollo – reiterato – dell’illusione narcisistica e solipsistica del protagonista, un intellettuale, docente – come sappiamo già – in un campus della costa orientale, dove tiene ormai solo un corso per laureandi di Critica pratica letteraria.
 Quando il romanzo inizia, David non è più giovane come ai tempi dei suoi esordi; si direbbe avere alle spalle le storie intriganti con le coetanee del campus e rapporti intricati. Ha alle spalle anche un matrimonio, un figlio diciottenne ed un divorzio. Ha vissuto da coprotagonista le battaglie per l’emancipazione sessuale della donna degli anni Sessanta e Settanta, ha scelto infine come metro di vita il piacere: «il nostro argomento è il piacere. Come affrontare seriamente, nell’arco di una vita, i propri modesti, privati piaceri»[7]. Pleasure is our subject [8]. Non resta quindi per David che concentrarsi sul piacere: «Perché ho scelto di vivere come vivo, se non per il piacere, imponendo alla mia indipendenza il minor numero di restrizioni possibile?»
Vivere per il piacere, scansando come la peste quella cometa che è l’amore, la cui rotta periodicamente interseca quella del desiderio, creando infinite complicazioni. Insomma, ormai sembra divenuto davvero quel professore di desiderio che ambiva ad essere da molti anni ed ora che ne ha sessantadue, interviene frequentemente in programmi televisivi e ciò lo rende ancor più noto tra gli studenti e, soprattutto, tra le studentesse, la cui eventuale bellezza continua ad attrarlo e a turbarlo: «Tutti hanno qualcosa davanti a cui si sentono disarmati, e io ho la bellezza. La vedo e mi acceca, impedendomi di scorgere ogni altra cosa»[9].
 Ha preso l’abitudine, a fine corso, di dare una party a casa sua, invitando tutti gli studenti. Ma sono le ragazze quelle che non mancano mai. E tra di loro, immancabilmente, l’affascinante docente d’inglese trova sempre chi è disponibile a vivere un’avventura erotica con l’uomo esperto e colto, per di più proprio professore. Anche se a livello metatestuale è ovvio pensare ai cento luoghi letterari che hanno trattato dell’amore tra il vecchio e la giovane (da Chaucer a Molière fino a Lolita), L’animale morente non tratta soltanto di questo. Del sesso, si tratta: «ecco tutto l’incanto necessario». E ancora: “è del caso dell’eros che parliamo, di quella radicale destabilizzazione che è il suo eccitamento. In materia di sesso, è un tornare nella foresta. Un tornare nella palude. Uno scambio di dominio, uno squilibrio perenne, ecco di che si tratta»[10].
 Sesso come destabilizzazione e squilibrio: la parità sessuale non esiste, sostiene Kepesh, nonostante le fulgide vittorie del femminismo degli anni Sessanta. Semplicemente perché il rapporto sessuale non ha luogo, proprio perché è rapporto; coincide con l’atto, è il darsi reciproco di due individualità (almeno due) che permangono nella propria irriducibile differenza, pur dando vita ad un caos di sensazioni e di ruoli.
 Sesso anche come illusione privilegiata di sfuggire al tempo, restando la grande alternativa alla morte: «Essere casto, vivere senza sesso, be’, come digerirai le sconfitte, i compromessi, le frustrazioni? Guadagnando di più, guadagnando tutti i soldi che puoi? Facendo tutti i figli che puoi? Questo aiuta, ma è niente rispetto all’altra cosa. Perché l’altra cosa si radica nel tuo essere fisico, nella carne che nasce e nella carne che muore. Perché solo quando scopi riesci a vendicarti, anche se solo per un momento, di tutto ciò che non ami nella vita e di tutte le cose che nella vita ti hanno sconfitto. Solo allora sei più nettamente vivo e più nettamente te stesso. La corruzione non è il sesso: è il resto. Il sesso non è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte. Non dimenticartela, la morte. Non dimenticartela mai. Sì, anche il sesso ha un potere limitato. So benissimo quanto è limitato. Ma dimmi, quale potere è più grande?»[11]
 La filosofia, David – potremmo rispondergli. La filosofia vera, non quella fatta di luoghi comuni abusati di cui David sembra accontentarsi (il matrimonio come spinta ai rapporti extraconiugali, per esempio) è in grado come e più del sesso di prendere su di sé il peso della nostra finitudine assumendoselo tutto, imparando ad evitare ogni scorciatoia che si presenti come privilegiata e serena per l’eternità. Si potrebbe richiamare l’hegeliana fatica del concetto: il compito, gravoso e indifferibile, di metabolizzare il tempo, rinunciando all’illusione d’immortalità.
Ma certamente il sesso resta la spina perennemente conficcata nella carne della nostra storia antropologica – come abbiamo visto anche in Kojève. Come scrive Nietzsche nel Crepuscolo degli idoli, «ogni alta civiltà ed ogni cultura letteraria […] si sono sviluppate a partire dagli interessi sessuali. In esse possiamo cercare ovunque la galanteria, i sensi, la lotta sessuale, la donna, e non li avremo mai cercato invano».
 Sempre? Sì, sempre: «per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto ordisca e trami e architetti, non sei mai al di sopra del sesso»[12]. Nel romanzo, David Kepesh vive la situazione ordinaria, per quanto solennizzata dalla letteratura, della persistenza del desiderio sessuale anche in tarda età: «essere vecchio significa anche – a dispetto, in aggiunta e oltre a “essere stato” – che sei ancora. Il tuo “essere stato” è molto vivo. Tu sei ancora, e uno è ossessionato tanto dall’ ”essere ancora” e dalla sua pienezza quanto dall’ ”essere stato”, dal passato». Il desiderio (dovremmo dire la nostra natura desiderante?) è l’antemurale del passato, dello “è già stato”. E ciò fa sì che, per quanto si sia consapevoli della finitudine delle cose e di noi stessi, «si è immortali per tutto il tempo che si è al mondo»[13]. Si è immortali fintanto che vive il desiderio.
 Mentre si gioca, cioè mentre si fa sesso, davvero «il piacere sarebbe un fuori tempo provvisorio e senza durata, nel senso in cui lo intendeva Bergson, uno spazio di totale abbandono del soggetto, dove l’oblio del tempo prefigura l’oblio della morte, l’oblio del corpo mortale. Un annullarsi dei sensi, una folgorazione senza domani»?[14] No, è possibile avere un rapporto sessuale senza nessuna illusione d’immortalità, anche nel mentre lo si ha: «Se ti sentissi giovane, sarebbe troppo facile. Non ti senti giovane,tutt’altro: senti lì ampiezza del suo futuro illimitato contrapposto al tuo futuro limitato, senti – più ancora di quanto fai di solito – l’intensità di ogni ultima grazia perduta. È come giocare a baseball con una squadra di ventenni. Non è che ti senti ventenne perché stai giocando con loro. Noti la differenza ogni minuto che passa. Ma almeno non sei ai bordi del campo, in panchina.
 Ecco che cosa succede: senti lo strazio di essere vecchio, ma in un modo nuovo»[15].
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[1] Philip Roth, Chiacchiere di bottega, cit., pag. 104.
[2] Ivi, pag.109.
[3] Ivi, pag.111.
[4] Philip Roth (2001), The Dying Animal, L’animale morente, trad. it. di Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino 2002, pag. 75. Questi i versi di Yeats: “Consume my heart away; sick with desire / that fastened to a dying animal / It knows not what it is”.
[5] «Una volta fuori di natura mai più prenderò
 La mia forma corporea da qualche sostanza naturale,
 Ma una qualche forma quale gli orefici Greci fanno
 D’oro battuto e smalto dorato
 Per tener desto un Imperatore sonnolento;
 Oppure seduto in cima a un ramo d’oro canterò
 Ai Signori e alle Signore di Bisanzio
 Del passato, o di ciò che sta passando o che verrà».
[6] Uno dei preferiti alter ego di Philip Roth, il professore di inglese David Kepesh, è protagonista di tre romanzi: Il seno (1972), Il professore di desiderio (1977) e L’animale morente (2001).
[7]  Philip Roth, L’animale morente, cit., pag. 18.
[8]   È anche il titolo del capitolo di Alaine B. Safer, in Mocking the Age. The Later Novels of Philip Roth, State University of New York Press, New York 2006, pagg. 133-146.
[9]   P. Roth, L’animale morente, cit., pag. 3.
[10] Ivi, pag. 16.
[11]  Ivi, pag. 52.
[12]  P. Roth, L’animale morente, cit., pag. 26.
[13]  Questa e la precedente citazione, ivi, pag. 28.
[14]  Anne Dufourmantelle, Sesso e filosofia, cit., pagg. 31-2.
[15]  P. Roth, L’animale morente, cit., pag. 27.
Citazioni
Tutte queste chiacchiere! Le mostro Kafka, Velasquez… Perché uno fa queste cose? Be’, qualcosa devi fare. Questi sono i veli della danza. Non confonderla con la seduzione. Questa non è la seduzione. Quella che mascheri è la cosa che ti ha spinto, la pura e semplice lussuria. I veli nascondono l’impulso, che è cieco. Mentre fai questi discorsi, hai l’erronea sensazione, come lei, di sapere con che cosa hai a che fare. Ma non è come parlare con un avvocato o sentire il parere di un dottore, e le cose che si dicono non cambieranno la tua linea di condotta. Tu sai che lo desideri e sai che lo fare e che nulla te lo impedirà. In questa fase nessuno dirà nulla che possa cambiare qualcosa.
Il grosso scherzo che ti fa la biologia è che raggiungi l’intimità con una persona prima di sapere qualcosa di lei. Fin dal primo momento, hai capito tutto. Inizialmente, l’attrazione è esercitata dalle superfici, ma c’è anche l’intuizione della dimensione più completa. E l’attrazione non dev’essere necessariamente la stessa: lei può essere attirata da una cosa, tu da un’altra. E’ superficie, è curiosità, ma poi, boom, ecco la dimensione. E’ bello che lei sia di Cuba, è bello che sua nonna fosse questo e suo nonno quello, è bello che io suoni il piano e sia il proprietario di un manoscritto di Kafka, ma questa è solo una digressione lungo  la strada che ci porta nel posto dove stiamo andando. E’ una parte dell’incanto, immagino, ma è la parte di cui io farei volentieri a meno, senza la quale mi sentirei molto meglio. Il sesso: ecco tutto l’incanto necessario. Le donne, per gli uomini, sono davvero tanto incantevoli, una volta tolto il sesso? C’è qualcuno che trova incantevole un’altra persona di questo o di quel sesso se non nutre per lei un interesse di natura sessuale? Da chi, ancora ti fai incantare così? Da nessuno.
Gli sto dicendo chi sono, pensa lei. Gli interessa sapere chi sono. Questo è vero, ma io sono curioso di sapere chi è perché la voglio scopare. Non ho bisogno di tutto questo grande interesse per Kafka e Velasquez. Mentre con lei faccio questa conversazione, penso, Quanto dovrò aspettare ancora? Tre ore? Quattro? Arriveremo a otto? Venti minuti di veli, e sono già lì che mi domando, Cosa c’entra tutto questo con le sue tette, la sua pelle e il suo portamento? L’arte francese del corteggiamento non m’interessa. L’impulso selvaggio, sì. No, questa non è seduzione. Questa è una commedia. E’ la commedia che si recita per creare un collegamento che non è il collegamento – che non può competere con il collegamento – creato spontaneamente dalla lussiria. Questo è un istantaneo richiamarsi alle convenzioni, un farci subito qualcosa in comune, il tentativo di trasformare la lussuria in qualcosa di socialmente conveniente. Ma è proprio la radicale sconvenienza che fa della lussuria la lussuria. No, questo si limita a tracciare la rotta, non in avanti ma indietro, verso l’impulso primordiale. Non confondiamo la dissimulazione col problema sul tappeto. Certo, potrebbero esserci altri sviluppi, ma questi sviluppi non c’entrano niente con gli acquisti prematrimoniali di tendine e copripiumoni e l’iscrizione alla squadra evoluzionista. L'evoluzionismo è un sistema che può funzionare senza di me. Io voglio scopare questa ragazza e… Sì, dovrò rassegnarmi a una certa dissimulazione, ma sarà solo un mezzo per raggiungere uno scopo. Quanto c’è, di astuzia, in tutto questo? Tutto, oserei dire…
 Nel sesso, infatti, non c’è un punto di stasi assoluta. La parità sessuale non esiste e non può esistere, sicuramente non una parità dove siano pari le rispettive dotazioni, dove il quoziente maschile e il quoziente femminile siano in perfetto equilibrio. Non c’è modo di trattare metricamente questa cosa selvaggia e sfrenata. Non ci sono fifty-fifty come nelle transazioni d’affari. E del caos dell’eros che parliamo, di quella radicale destabilizzazione che è il suo eccitamento. In materia di sesso, è un tornar e nella foresta. Un tornare nella palude. Uno scambio di dominio, uno squilibrio perenne, ecco di che si tratta. Vuoi escludere il dominio? Vuoi escludere la resa? Il dominio è la pietra focaia, fa sprizzare la scintilla, avvia il meccanismo. Poi… Cosa? Ascolta. Lo vedrai. Vedrai a che cosa porta dominare. Vedrai a che cosa porta essere dominati.
L’unica cosa che capisci dei vecchi, quando non lo sei, è che sono stati segnati dal loro tempo. Ma capire solo qesto li mummifica nel loro tempo, ed equivale a non capire nulla. Per quelli che non sno ancora vecchi, essere vecchio significa essere stato. Ma essere vecchio significa anche – a dispetto, in aggiunta e oltre a “essere stato” – che sei ancora. Il tuo “essere stato” è molto vivo. Tu sei ancora, e uno è ossessionato tanto dall’ “essere ancora” e dalla sua pienezza quanto dall’ “essere stato”, dal passato. Alla vecchiaia pensa così: il fatto che sia in gioco la propria vita è una semplice realtà quotidiana. Non possiamo fare a meno di sapere che cosa ci aspetta a breve scadenza. Il silenzio da cui saremo per sempre circondati. Per il resto non è cambiato nulla. Per il resto, si è immortali per tutto il tempo che si è al mondo.
Il sesso non è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte. Non dimenticartela, la morte. Non dimenticarla mai. Sì, anche il sesso ha un potere limitato. So benissimo quanto è limitato. Ma dimmi, quale potere è più grande?
L’unica ossessione che vogliono tutti: l’ “amore”. Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti spezza. Tu  sei intero, e poi ti apri in due.
Il passare del tempo. Ci siamo dentro, affondiamo nel tempo, fino al giorno in cui anneghiamo e ce ne andiamo.

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