EDNA O’BRIEN
Trama
David Kepesh è malato di desiderio e la sua malattia si chiama
Consuela Castillo, una ragazza cubana alta e bellissima, che sconvolgerà la sua
vita nel modo piú tragico e inaspettato. Sotto la penna magistrale di Philip
Roth, figure di uomini e donne ricche di cruda sensualità ridisegnano in modo
nuovo l'antico intreccio di amore e morte.
Quando la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta ha bussato
alla sua porta, David Kepesh l'ha accolta con entusiasmo, trasformandola nel
momento di verità della propria vita. Da allora ha giurato a se stesso che non
avrebbe mai piú avuto una relazione stabile con una donna, e per trent'anni ha
mantenuto fede al proposito, conducendo l'esistenza dell'«uomo emancipato». Ma
un giorno, nell'aula del suo corso di critica letteraria all'università, entra
Consuela Castillo, ventiquattrenne di una bellezza conturbante, che scatena il
desiderio e la gelosia del maturo professore. «Forse, ora che mi sto
avvicinando alla morte, anch'io segretamente desidero non essere libero», pensa
Kepesh, ma non immagina quale sarà lo svolgimento tormentato della sua
relazione con Consuela, e soprattutto il suo epilogo tragico.
Recensione di Luciano de Fiore
L’animale morente non è il più bel libro di Roth. Anzi, non è
tra i suoi migliori. Le frasi echeggiano come lastre di ardesia cozzanti,
incapaci di trovare il proprio ritmo – ha scritto la “Yale Review of Books”. In
effetti, dopo la trilogia americana che aveva flesso i propri muscoli su di una
scena meno angusta che non l’introspezione autocommiserativa, questo romanzo ci
riporta al cliché di Portnoy senza però quella vivacità ed effervescenza di
linguaggio – tipica del miglior Roth della prima maniera – che rende
tollerabile, e che anzi esalta, l’analisi personale dei personaggi. La storia
consente però di scandagliare la dialettica tra pulsione e desiderio come pochi
altri suoi testi e di toccare di nuovo alcuni temi-chiave: il rapporto tra
desiderio e tempo e tra desiderio e piacere.
Un’epigrafe di Edna O’Brien apre il romanzo: «Nel corpo, non
meno che nel cervello, è racchiusa la storia della vita». La citazione è tratta
da una conversazione che lo stesso Roth riporta in Chiacchiere di bottega [1].
L’irlandese, autoesiliatasi a Londra, è considerata da Roth la migliore
scrittrice di lingua inglese: «il grande mantello di Colette è andato ad Edna
O’Brien, scrittrice più dark, più piena di conflitti, ma che però ne condivide
la terrosità, la crudezza, la prosa cesellata, le cicatrici della maturità». Al
centro di quasi tutte le storie della O’Brien c’è una donna sola, ma che non si
rassegna alla solitudine e cerca l’amore, oppure che fa marcia indietro dopo un
incontro sfortunato con un uomo. Come Edna gli confida, «questo è il mio
territorio, che conosco grazie ad una dura esperienza. Se vuoi sapere qual è
per me il punto cruciale della disperazione femminile, eccolo: nel mito greco
di Edipo e nella riflessione di Freud su di esso, il desiderio del figlio per
la madre è contemplato; anche la bambina desidera la madre, ma è impensabile,
tanto nel mito, nella fantasia, quanto nella realtà, che questo desiderio possa
essere consumato»[2].
Come per Roth, anche
nella scrittura della O’Brien il sesso ha un ruolo-chiave: «la vita sessuale è
centrale per me, come credo per qualunque altro. Il sesso richiede un sacco di
tempo, sia il pensarci sia il farlo, anche se spesso è il pensarci ad avere il
posto d’onore. Per me è soprattutto un ambito recondito, che contiene elementi
di mistero e di razzia»[3].
Quest’autrice che ha
scritto eminentemente e sapientemente di donne e di sesso apre dunque un
romanzo considerato, probabilmente a torto, tra i più maschilisti Roth abbia
scritto.
Non era Yeats? Sì,
erano proprio di un altro grande irlandese quei versi: “Consumami il cuore;
malato di desiderio | E avvinto a un animale morente | Che non sa che
cos’è”.[4] Nella terza stanza di una poesia famosa, Sailing to Byzantium,
inaugurata da quell’incipit bruciante, “That is no country for old men”, non è
un paese per vecchi, ripreso anche come titolo per un suo romanzo da un altro
protagonista della letteratura americana di questi anni, Cormac McCarthy e per
un film fortunato dai fratelli Cohen.
Qual era il senso di
quei versi di William Butler Yeats che danno il titolo al romanzo di Roth
L’animale morente? Bisanzio, città dell’artifizio, della cultura,
dell’immaginario, unico antidoto al desiderio. Ma prenderne possesso, divenire
un uccello d’oro capace di cantare la natura, equivale – secondo Yeats – a non
viverla, ad invecchiare ed a morire:
«Once out of nature I shall never take
My
bodily form from any natural thing,
But
such a form as Grecian goldsmiths make
Of
hammered gold and gold enamelling
To
keep a drowsy Emperor awake;
Or
set upon a golden bough to sing
To
lords and ladies of Byzantium
Of what is past, or passing, or to
come»[5].
Parlare, scrivere il desiderio, se
non lo si può più vivere. Oppure viverlo fino in fondo, e dirne. È quel che
sceglie l’anziano professore di desiderio, il sessantaduenne David Kepesh,
protagonista del romanzo d’inizio millennio di Philip Roth, dal titolo –
appunto – The Dying Animal, l’animale morente[6].
Perché muore,
l’animale? Per malattia o per età? Per la malattia dell’età, per quella
malattia mortale che è il tempo. Per quella malattia che ci accoglie dalla
nascita e ci accompagna tutta la vita fino al giorno in cui i nostri conti
vengono chiusi.
Siamo nel decennio che
porta al 2000 ed al 2001, l’anno del crollo delle Torri. L’animale morente,
quel’11 di settembre, sembrò per un giorno almeno l’America col suo sogno
infranto di inattaccabilità e di invincibilità. Due oggetti-fallo colpirono e
distrussero in poche ore atroci il simbolo anch’esso potentemente fallocratico
della potenza americana, il World Trade Center. Pochi mesi prima era uscito il
romanzo di Roth. Conclusa l’anno precedente la trilogia sull’America del
dopoguerra con La macchia umana (che chiudeva il ciclo comprendente Ho sposato
un comunista e Pastorale
americana,1998), tornano le storie di David Kepesh, già giovane protagonista de
Lo scrittore fantasma e de Il seno.
Qui non ne va
direttamente della caduta delle torri, ma del crollo – reiterato –
dell’illusione narcisistica e solipsistica del protagonista, un intellettuale,
docente – come sappiamo già – in un campus della costa orientale, dove tiene
ormai solo un corso per laureandi di Critica pratica letteraria.
Quando il romanzo
inizia, David non è più giovane come ai tempi dei suoi esordi; si direbbe avere
alle spalle le storie intriganti con le coetanee del campus e rapporti
intricati. Ha alle spalle anche un matrimonio, un figlio diciottenne ed un
divorzio. Ha vissuto da coprotagonista le battaglie per l’emancipazione
sessuale della donna degli anni Sessanta e Settanta, ha scelto infine come
metro di vita il piacere: «il nostro argomento è il piacere. Come affrontare
seriamente, nell’arco di una vita, i propri modesti, privati piaceri»[7].
Pleasure is our subject [8]. Non resta quindi per David che concentrarsi sul
piacere: «Perché ho scelto di vivere come vivo, se non per il piacere,
imponendo alla mia indipendenza il minor numero di restrizioni possibile?»
Vivere per il piacere,
scansando come la peste quella cometa che è l’amore, la cui rotta
periodicamente interseca quella del desiderio, creando infinite complicazioni.
Insomma, ormai sembra divenuto davvero quel professore di desiderio che ambiva
ad essere da molti anni ed ora che ne ha sessantadue, interviene frequentemente
in programmi televisivi e ciò lo rende ancor più noto tra gli studenti e,
soprattutto, tra le studentesse, la cui eventuale bellezza continua ad attrarlo
e a turbarlo: «Tutti hanno qualcosa davanti a cui si sentono disarmati, e io ho
la bellezza. La vedo e mi acceca, impedendomi di scorgere ogni altra cosa»[9].
Ha preso l’abitudine,
a fine corso, di dare una party a casa sua, invitando tutti gli studenti. Ma
sono le ragazze quelle che non mancano mai. E tra di loro, immancabilmente,
l’affascinante docente d’inglese trova sempre chi è disponibile a vivere
un’avventura erotica con l’uomo esperto e colto, per di più proprio professore.
Anche se a livello metatestuale è ovvio pensare ai cento luoghi letterari che
hanno trattato dell’amore tra il vecchio e la giovane (da Chaucer a Molière
fino a Lolita), L’animale morente non tratta soltanto di questo. Del sesso, si
tratta: «ecco tutto l’incanto necessario». E ancora: “è del caso dell’eros che
parliamo, di quella radicale destabilizzazione che è il suo eccitamento. In
materia di sesso, è un tornare nella foresta. Un tornare nella palude. Uno
scambio di dominio, uno squilibrio perenne, ecco di che si tratta»[10].
Sesso come
destabilizzazione e squilibrio: la parità sessuale non esiste, sostiene Kepesh,
nonostante le fulgide vittorie del femminismo degli anni Sessanta.
Semplicemente perché il rapporto sessuale non ha luogo, proprio perché è
rapporto; coincide con l’atto, è il darsi reciproco di due individualità
(almeno due) che permangono nella propria irriducibile differenza, pur dando
vita ad un caos di sensazioni e di ruoli.
Sesso anche come
illusione privilegiata di sfuggire al tempo, restando la grande alternativa
alla morte: «Essere casto, vivere senza sesso, be’, come digerirai le
sconfitte, i compromessi, le frustrazioni? Guadagnando di più, guadagnando
tutti i soldi che puoi? Facendo tutti i figli che puoi? Questo aiuta, ma è
niente rispetto all’altra cosa. Perché l’altra cosa si radica nel tuo essere
fisico, nella carne che nasce e nella carne che muore. Perché solo quando scopi
riesci a vendicarti, anche se solo per un momento, di tutto ciò che non ami
nella vita e di tutte le cose che nella vita ti hanno sconfitto. Solo allora
sei più nettamente vivo e più nettamente te stesso. La corruzione non è il
sesso: è il resto. Il sesso non è semplice frizione e divertimento
superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte. Non dimenticartela, la
morte. Non dimenticartela mai. Sì, anche il sesso ha un potere limitato. So
benissimo quanto è limitato. Ma dimmi, quale potere è più grande?»[11]
La filosofia, David –
potremmo rispondergli. La filosofia vera, non quella fatta di luoghi comuni
abusati di cui David sembra accontentarsi (il matrimonio come spinta ai
rapporti extraconiugali, per esempio) è in grado come e più del sesso di
prendere su di sé il peso della nostra finitudine assumendoselo tutto, imparando
ad evitare ogni scorciatoia che si presenti come privilegiata e serena per
l’eternità. Si potrebbe richiamare l’hegeliana fatica del concetto: il compito,
gravoso e indifferibile, di metabolizzare il tempo, rinunciando all’illusione
d’immortalità.
Ma certamente il sesso resta la spina perennemente conficcata
nella carne della nostra storia antropologica – come abbiamo visto anche in
Kojève. Come scrive Nietzsche nel Crepuscolo degli idoli, «ogni alta civiltà ed
ogni cultura letteraria […] si sono sviluppate a partire dagli interessi
sessuali. In esse possiamo cercare ovunque la galanteria, i sensi, la lotta
sessuale, la donna, e non li avremo mai cercato invano».
Sempre? Sì, sempre:
«per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto ordisca e
trami e architetti, non sei mai al di sopra del sesso»[12]. Nel romanzo, David
Kepesh vive la situazione ordinaria, per quanto solennizzata dalla letteratura,
della persistenza del desiderio sessuale anche in tarda età: «essere vecchio
significa anche – a dispetto, in aggiunta e oltre a “essere stato” – che sei
ancora. Il tuo “essere stato” è molto vivo. Tu sei ancora, e uno è ossessionato
tanto dall’ ”essere ancora” e dalla sua pienezza quanto dall’ ”essere stato”,
dal passato». Il desiderio (dovremmo dire la nostra natura desiderante?) è
l’antemurale del passato, dello “è già stato”. E ciò fa sì che, per quanto si
sia consapevoli della finitudine delle cose e di noi stessi, «si è immortali
per tutto il tempo che si è al mondo»[13]. Si è immortali fintanto che vive il
desiderio.
Mentre si gioca, cioè
mentre si fa sesso, davvero «il piacere sarebbe un fuori tempo provvisorio e
senza durata, nel senso in cui lo intendeva Bergson, uno spazio di totale
abbandono del soggetto, dove l’oblio del tempo prefigura l’oblio della morte,
l’oblio del corpo mortale. Un annullarsi dei sensi, una folgorazione senza
domani»?[14] No, è possibile avere un rapporto sessuale senza nessuna illusione
d’immortalità, anche nel mentre lo si ha: «Se ti sentissi giovane, sarebbe
troppo facile. Non ti senti giovane,tutt’altro: senti lì ampiezza del suo
futuro illimitato contrapposto al tuo futuro limitato, senti – più ancora di
quanto fai di solito – l’intensità di ogni ultima grazia perduta. È come
giocare a baseball con una squadra di ventenni. Non è che ti senti ventenne
perché stai giocando con loro. Noti la differenza ogni minuto che passa. Ma
almeno non sei ai bordi del campo, in panchina.
Ecco che cosa succede:
senti lo strazio di essere vecchio, ma in un modo nuovo»[15].
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[1] Philip
Roth, Chiacchiere di bottega, cit., pag. 104.
[2] Ivi, pag.109.
[3] Ivi, pag.111.
[4] Philip Roth (2001), The Dying Animal, L’animale
morente, trad. it. di Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino 2002, pag. 75. Questi i versi di Yeats: “Consume my heart away; sick
with desire / that fastened to a dying animal / It knows not what it is”.
[5] «Una
volta fuori di natura mai più prenderò
La mia forma corporea da qualche sostanza
naturale,
Ma una qualche forma quale gli orefici Greci
fanno
D’oro battuto e smalto dorato
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure seduto in cima a un ramo d’oro canterò
Ai Signori e alle Signore di Bisanzio
Del passato, o di ciò che sta passando o che
verrà».
[6] Uno dei preferiti alter ego di Philip
Roth, il professore di inglese David Kepesh, è protagonista di tre romanzi: Il
seno (1972), Il professore di desiderio (1977) e L’animale morente (2001).
[7]
Philip Roth, L’animale morente, cit., pag. 18.
[8] È
anche il titolo del capitolo di Alaine B. Safer, in Mocking the Age. The Later Novels of Philip Roth, State University of
New York Press, New York 2006, pagg. 133-146.
[9] P. Roth, L’animale morente, cit., pag. 3.
[10] Ivi, pag. 16.
[11]
Ivi, pag. 52.
[12] P.
Roth, L’animale morente, cit., pag. 26.
[13]
Questa e la precedente citazione, ivi, pag. 28.
[14]
Anne Dufourmantelle, Sesso e filosofia, cit., pagg. 31-2.
[15] P.
Roth, L’animale morente, cit., pag. 27.
Citazioni
Tutte queste
chiacchiere! Le mostro Kafka, Velasquez… Perché uno fa queste cose? Be’,
qualcosa devi fare. Questi sono i veli della danza. Non confonderla con la
seduzione. Questa non è la seduzione. Quella che mascheri è la cosa che ti ha
spinto, la pura e semplice lussuria. I veli nascondono l’impulso, che è cieco.
Mentre fai questi discorsi, hai l’erronea sensazione, come lei, di sapere con
che cosa hai a che fare. Ma non è come parlare con un avvocato o sentire il
parere di un dottore, e le cose che si dicono non cambieranno la tua linea di
condotta. Tu sai che lo desideri e sai che lo fare e che nulla te lo impedirà.
In questa fase nessuno dirà nulla che possa cambiare qualcosa.
Il grosso
scherzo che ti fa la biologia è che raggiungi l’intimità con una persona prima
di sapere qualcosa di lei. Fin dal primo momento, hai capito tutto. Inizialmente,
l’attrazione è esercitata dalle superfici, ma c’è anche l’intuizione della
dimensione più completa. E l’attrazione non dev’essere necessariamente la
stessa: lei può essere attirata da una cosa, tu da un’altra. E’ superficie, è
curiosità, ma poi, boom, ecco la dimensione. E’ bello che lei sia di Cuba, è
bello che sua nonna fosse questo e suo nonno quello, è bello che io suoni il
piano e sia il proprietario di un manoscritto di Kafka, ma questa è solo una
digressione lungo la strada che ci porta
nel posto dove stiamo andando. E’ una parte dell’incanto, immagino, ma è la
parte di cui io farei volentieri a meno, senza la quale mi sentirei molto
meglio. Il sesso: ecco tutto l’incanto necessario. Le donne, per gli uomini,
sono davvero tanto incantevoli, una volta tolto il sesso? C’è qualcuno che
trova incantevole un’altra persona di questo o di quel sesso se non nutre per
lei un interesse di natura sessuale? Da chi, ancora ti fai incantare così? Da
nessuno.
Gli sto
dicendo chi sono, pensa lei. Gli interessa sapere chi sono. Questo è vero, ma
io sono curioso di sapere chi è perché la voglio scopare. Non ho bisogno di
tutto questo grande interesse per Kafka e Velasquez. Mentre con lei faccio
questa conversazione, penso, Quanto dovrò aspettare ancora? Tre ore? Quattro?
Arriveremo a otto? Venti minuti di veli, e sono già lì che mi domando, Cosa c’entra
tutto questo con le sue tette, la sua pelle e il suo portamento? L’arte
francese del corteggiamento non m’interessa. L’impulso selvaggio, sì. No,
questa non è seduzione. Questa è una commedia. E’ la commedia che si recita per
creare un collegamento che non è il collegamento – che non può competere con il
collegamento – creato spontaneamente dalla lussiria. Questo è un istantaneo
richiamarsi alle convenzioni, un farci subito qualcosa in comune, il tentativo
di trasformare la lussuria in qualcosa di socialmente conveniente. Ma è proprio
la radicale sconvenienza che fa della lussuria la lussuria. No, questo si
limita a tracciare la rotta, non in avanti ma indietro, verso l’impulso primordiale.
Non confondiamo la dissimulazione col problema sul tappeto. Certo, potrebbero
esserci altri sviluppi, ma questi sviluppi non c’entrano niente con gli
acquisti prematrimoniali di tendine e copripiumoni e l’iscrizione alla squadra
evoluzionista. L'evoluzionismo è un sistema che può funzionare senza di me. Io
voglio scopare questa ragazza e… Sì, dovrò rassegnarmi a una certa
dissimulazione, ma sarà solo un mezzo per raggiungere uno scopo. Quanto c’è, di
astuzia, in tutto questo? Tutto, oserei dire…
L’unica cosa
che capisci dei vecchi, quando non lo sei, è che sono stati segnati dal loro
tempo. Ma capire solo qesto li mummifica nel loro tempo, ed equivale a non
capire nulla. Per quelli che non sno ancora vecchi, essere vecchio significa
essere stato. Ma essere vecchio significa anche – a dispetto, in aggiunta e
oltre a “essere stato” – che sei ancora. Il tuo “essere stato” è molto vivo. Tu
sei ancora, e uno è ossessionato tanto dall’ “essere ancora” e dalla sua
pienezza quanto dall’ “essere stato”, dal passato. Alla vecchiaia pensa così:
il fatto che sia in gioco la propria vita è una semplice realtà quotidiana. Non
possiamo fare a meno di sapere che cosa ci aspetta a breve scadenza. Il
silenzio da cui saremo per sempre circondati. Per il resto non è cambiato
nulla. Per il resto, si è immortali per tutto il tempo che si è al mondo.
Il sesso non
è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta
sulla morte. Non dimenticartela, la morte. Non dimenticarla mai. Sì, anche il
sesso ha un potere limitato. So benissimo quanto è limitato. Ma dimmi, quale
potere è più grande?
L’unica
ossessione che vogliono tutti: l’ “amore”. Cosa crede, la gente, che basti
innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso
diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l’amore ti
spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in
due.
Il passare
del tempo. Ci siamo dentro, affondiamo nel tempo, fino al giorno in cui
anneghiamo e ce ne andiamo.
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