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24 set 2013

Pastorale Americana - Philip Roth

Dream when the day is thru,
Dream and they might come true,
Things never are as bad as they seem,
So dream, dream, dream.
Johnny Mercer, Dream (canzonetta Americana degli anni Quaranta)
Il raro verificarsi del previsto…
William Carlos Williams, Al Kenneth Burke’s Place, 1946

Recensione di Francesca Mazzucato

E' la storia dello Svedese, Seymour Levov, ebreo, sportivo eccellente, ottimo imprenditore, tutto intriso del sogno americano, desideroso di farne parte, smussando gli angoli, eliminando ogni distonia, rifuggendo dalle sbavature, rispettoso, marito e padre felice. E' la storia dello Svedese ma anche di tanti ebrei americani, e non solo ebrei, che hanno condiviso e creduto in quel sogno, che è stato anche il sogno di una vita carica di possibilità, priva di incertezze, di cadute, o costellata di quei piccoli errori ai quali è sempre possibile porre rimedio. Un sogno che, nel caso di Seymour Levov viene letteralmente "frantumato" da una bomba, da altre bombe. Una bomba reale, che la figlia amatissima (forse troppo amata) Merry, una volta adolescente, utilizza per far saltare un emporio e un ufficio postale, incollerita, devastata dalla Storia che non è, non lo è mai, solo ordine, prosperità, qualcosa di preciso e nitido, che si può governare, che scivola senza incrinature. Merry sarà la colossale distonia nella vita dello Svedese. E Roth ci racconta quest'epica che si allarga, che pagina dopo pagina diventa ora narrazione pura , ora inarrestabile flusso di coscienza, ora parodia incredibile (feroce ed esilarante la riunione degli ex compagni di scuola ormai vecchi), ora trattato filosofico, ora amara riflessione sulla vita, e ancora dramma, elegia, grottesco.

Roth ricostruisce la Storia dell' ex sportivo mitizzato da tutti gli amici, dell'abilissimo imprenditore, del marito orgoglioso di Miss New Jersey (la moglie Dawn, personaggio femminile indimenticabile, che alleva vacche, si fa un lifting a Ginevra, si fa scopare dall'amante china sul lavandino, rinnega il passato e la bella casa dove si era dipanata l'illusione di felicità), ricostruisce la Storia( e la maiuscola è d'obbligo essendo in realtà un puzzle di storie a comporre una Storia condivisa e condivisibile dove tutti, come in un gioco di specchi, ci riconosceremo, troveremo tratti , fisionomie, comportamenti, attese, mascheramenti e mistificazioni che conosciamo) con un meccanismo letterario di scomposizione e di evocazione. L'avvicinamento al tema, attraverso i ricordi e lo sport. Il baseball. Il basket. In qualche modo un topos fondamentale di ogni grande romanzo americano:" Lo svedese brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball. Soltanto la squadra di basket combinò qualcosa di buono ( vincendo per due volte il campionato cittadino con lui come marcatore principale), ma per tutto il tempo in cui eccelse lo Svedese il destino delle nostre squadre sportive non ebbe troppa importanza per una massa studentesca i cui progenitori- in gran parte poco istruiti ma molto carichi di preoccupazioni- veneravano il primato accademico più di ogni altra cosa....Ciononostante, grazie allo Svedese, il quartiere cominciò a fantasticare su se stesso e sul resto del mondo, così come fantastica il tifoso di ogni paese...L'assunzione di Levov Lo Svedese a domestico Apollo degli ebrei di Weequahic si può spiegare meglio, credo, con la guerra contro i tedeschi e i giapponesi e le paure che essa generò. Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l'insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti." Questo lo leggiamo nelle primissime pagine. Non è un romanzo che richiede tempo o pazienza al lettore per entrare dentro davvero nella narrazione. Richiede coraggio. Il coraggio che richiedono i grandi libri, abbandonarsi, non sfuggire pagine che sembrano costeggiare o solo avvicinare il tema principale, pagine che paiono solo digressioni, ma sono funzionali e talvolta rivelatrici preziosissime della trama della storia e del suo intreccio che si disfa e si ricompone, continuamente, ondulatorio, simile al procedere e arretrare delle onde ( fra schiuma, alghe e detriti),senza tregua, senza assoluzione, senza senso, molto spesso, o con un senso aleatorio, volatile, dai colori d'arcobaleno, un senso che, quando pensi di averlo afferrato è già volato via e ti lascia silenzioso e interdetto. C'è un'ironia straordinaria in queste pagine di Roth che richiama l'ironia dell' Ulisse di Joyce, naturalmente con il timbro personalissimo dell'autore, filtrato come in altri romanzi dal suo alter ego letterario Nathan Zuckerman:" Ma lo spirito o l'ironia per un ragazzo come lo Svedese, sono solo intoppi al suo passo spedito: l'ironia è una consolazione della quale non hai proprio bisogno quando tutti ti considerano un dio. Oppure c'era tutto un lato della sua personalità che lo Svedese nascondeva, o questa cosa era ancora in embrione, o, più verosimilmente, mancava. Il suo distacco, la sua apparente passività come oggetto di desiderio di tutto questo amore asessuato, lo facevano apparire, se non divino, di molte spanne al di sopra della primordiale umanità di quasi tutti gli altri frequentatori della scuola. Era incatenato alla storia, era uno strumento della storia..." E' un libro carico di compassione, autentica compassione umana, non compassione idiota, che non vede, ma occhio e parole che vibrano di fronte alle debolezze umane. Straordinario il pezzo nella fabbrica dei guanti, quando lo Svedese racconta nei dettagli la storia delle concerie e di come suo padre prima e poi lui hanno saputo ingrandirsi, e lo racconta a una sorta di "piccola carnefice", a una persona che è l'interlocutrice completamente sbagliata, una delle maschere funebri che il destino indossa per far crollare le nostre certezze, le nostre passioni, la nostra dedizione, le basi che credevamo granitiche e che sono in realtà fangose e scricchiolanti della nostra personalità, di quell'illusione di "io " stabile. Rileggetelo cogliendo l'occasione dell'edizione economica, ottima da tenere in borsa o in tasca. Oppure, se non l'avete mai letto, avvicinatevi a questo romanzo straordinario. "Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna., e ancora meno per l'impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l'impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l'incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell'uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti." Roth è scrittore che vive appartato, che è consapevole delle rinunce che richiede il suo lavoro. Anche in questo caso si inserisce in una tradizione di scrittori americani che hanno scelto un volontario isolamento per dedicarsi al loro lavoro lontani dalle continue seduzioni mediatiche. Tutti i suoi lavori meritano attenzione, in particolare Lamento di Portnoy, Zuckerman scatenato e Zuckerman incatenato, La controvita.
In Pastorale americana oltre a una narrazione che non riuscirete a dimenticare, troverete un'analisi dell'America, attualissima, sociologica ma anche psicologica che non si lascia sfuggire, pur focalizzandosi su un preciso momento storico, le pieghe, gli anfratti, i vicoli oscuri, le case borghesi, le stanche ritualità sociali che perpetuiamo per noia, le passioni incomprensibili, il lato oscuro. Ecco, il lato oscuro. Del singolo e della vita. Parla solo di questo, in fondo.

Citazioni

Non dimentichiamo le cose solo perché non contano, ma le dimentichiamo anche perché contano troppo (perché ciascuno di noi ricorda e dimentica secondo una schema labirintico che rappresenta un segno di riconoscimento non meno caratteristico di un’impronta digitale), non c’è da meravigliarsi se le schegge di realtà che una persona terrà in gran conto come parti della propria biografia potranno sembrare a qualcun altro, che, diciamo, ha per caso consumato diecimila cene allo stesso tavolo di cucina, una deliberata escursione di mitomania.
-      Da quanto tempo è morto tuo padre? – mi chiese Ira. – Nel 1969. Da ventisei anni. Molto tempo, - risposi. – Per chi? Per lui? Non credo. Per i defunti, - disse Ira, - è una goccia nel mare.
Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l’illusione che un giorno, forse, l’imbroccherai. Che cos’altro potrebbe farlo? Fra tutti i possibili fenomeni patologici, questo è uno che non ti rovina completamente la vita.
 
L’immagine che abbiamo uno dell’altro. Strati e strati di incomprensione. L’immagine che abbiamo di noi stessi. Vana. Presuntuosa. Completamente distorta. Ma  noi tiriamo diritto e viviamo di queste immagini. «Lei è così, lui è così, io sono così. E’ Successo questo per questi motivi…» Basta.
 
Capita, quando la gente muore: l’aggressività svanisce, e persone così piene di difetti che a volte riuscivano quasi insopportabili in vita adesso si presentano nel modo più attraente, e ciò che l’altro ieri ti era meno gradito diventa, nella limousine che segue il carro funebre, una causa non soltanto di indulgente divertimento, ma di ammirazione. Persino un estraneo non può giudicare qual è la valutazione più verosimile – quella poco caritatevole che ci è permessa prima del funerale, forgiata, senza tanti paroloni, nelle scaramucce della vita quotidiana, o quella che ci riempie di tristezza durante la successiva riunione familiare. La vista di una bara che sprofonda sottoterra può produrre un grande cambiamento nel cuore della gente (scopri tutt’a un tratto che non sei così deluso dalla persona che è morta), ma ciò che fa la vista di una bara per la mente nella sua ricerca della verità, questo non pretendo di saperlo.
Se esiste qualcosa di peggio del farsi domande troppo presto nella vita, è farsele troppo tardi.
Aveva imparato la lezione peggiore che la vita possa insegnare: che non c’è un senso. E quando capita una cosa simile, la felicità non è più spontanea. E’ artificiale e, anche allora, comprata al prezzo di un ostinato estraniamento da se stessi e dalla propria storia.
La gente pensa che la storia abbia il respiro lungo, ma la storia, in realtà, ti si para davanti all’improvviso.
Sì, siamo soli, profondamente soli, e in serbo per noi, sempre, c’è uno strato di solitudine ancora più profondo. Non c’è nulla che possiamo fare per liberarcene. No, la solitudine non dovrebbe stupirci, per sorprendente che possa essere farne l’esperienza. Puoi cercare di tirar fuori tutto quello che hai dentro, ma allora non sarai altro che questo: vuoto e solo anziché pieno e solo.
L’ultima domanda assegnata alla scolaresca era “cosa è la vita?”. Secondo Merry, mentre gli altri scolari si arrovellavano intorno alle loro profonde (e fasulle) riflessioni, lei, dopo un’ora di riflessioni nel suo banco, aveva scritto una sola semplice e non banale affermazione: “la vita è solo un breve periodo di tempo nel quale sei vivo”. La maestra non fu d’accordo, e accanto alla risposta di Merry scrisse: “Tutto qui?”. Sì, pensava adesso lo Svedese, è tutto qui. Grazie a Dio è tutto qui; ed è insopportabile anche questo.
Quello stupro gli era entrato nel sangue, e da lì lo Svedese non sarebbe riuscito a scacciarlo mai più. Aveva l’odore dello stupro nel sangue, la sua vista, le gambe e le braccia e i capelli e i vestiti. C’erano i suoni: il tonfo, le sue grida, l’agitarsi in un luogo ristretto. L’orribile latrato di un uomo che viene. I suoi grugniti. I gemiti di lei. L’enormità dello stupro cancellava ogni cosa. Senza avere alcun sospetto, sua figlia era uscita dalla porta e loro l’avevano afferrata da tergo e scaraventata per terra, qualche straccio lo copriva, e loro lo avevano strappato via. Non c’era niente tra il suo corpo e le loro mani. Dentro il suo corpo. Riempire l’interno del suo corpo. La forza terribile con cui l’avevano fatto. Una forza lacerante. Le avevano rotto un dente. Uno di loro era pazzo. Si era seduto sopra di lei e l’aveva inondata di merda. Era tutti sopra di lei. Quegli uomini. Parlavano una lingua straniera. Ridevano. Avevano fatto ciò che sentivano l’impulso di fare. Uno dopo l’altro. Lei li aveva visti aspettare il loro turno. Non poteva farci niente.
E niente poteva farci lui. L’uomo smania sempre più di far qualcosa proprio quando non gli resta più niente da fare.
Il suo corpo nella culla. Il suo corpo nel lettino con le sponde. Il suo corpo quando comincia a reggersi in piedi sulla pancia di suo padre. Il pancino che si vede tra i calzoni e la camicia quando lui torna dal lavoro e la tiene per le gambe a testa in giù. Il suo corpo quando salta e gli balza tra le braccia. L’abbandono del suo corpo che gli vola tra le braccia. L’assoluta adorazione che c’è in quel corpo che balza, un corpo che sembra completamente rifinito, una perfetta creazione in miniatura, con tutto il fascino delle miniature. Un corpo che sembra indossato in fretta e furia dopo essere stato appena stirato: non una piega, da nessuna parte. L’ingenua libertà con cui lo svela. La tenerezza che questo evoca. I piedi nudi con i cuscinetti come quelli di una bestiolina. Nuove e mai usate, le sue zampe incorrotte. Le dita prensili. Le gambe lunghe. Gambe funzionali. Salde. La sua parte più muscolosa. Le sue mutandine color gelato alla frutta. Longo lo spartiacque continentale, il sederino infantile, il culetto che sfidava la forza di gravità e che apparteneva, inverosimilmente, alla metà superiore di Merry, e non ancora a quella inferiore. Niente grasso. Non un grammo, in nessun posto. La fessurina, come fatta con la lesina: quella commettitura finemente smussata che stenderà i suoi petali all’infuori trasformandosi, a suo tempo, nell’origami piegato della fica di una donna, L’incredibile ombelico. Il tronco geometrico. L’anatomica precisione della cassa toracica. L’elasticità della spina dorsale. Le creste ossee della schiena simili ai tasti di un piccolo xilofono. L’incantevole letargo del seno invisibile prima che cominci a sbocciare. Tutta la turbolenza del voler essere ancora beatamente addormentata. Eppure nel collo, in qualche modo, c’è la donna che Merry sarà, lì in quel blocco da costruzione di un collo vellutato. Il viso. Quello è il vanto. Il viso che non conserverà e che tuttavia, sarà presente cinquant’anni dopo. Quanto poco della sua storia si rivela nella faccia di sua figlia. La giovinezza: ecco l’unica cosa che lo Svedese riesce a scorgere. Questo ciclo che è appena agli inizi. Con nulla, ancora, di completamente definito, com’è forte la presenza del tempo sul suo viso! Il cranio è tenero. La svasatura del naso non strutturato è il naso intero. Il colore degli occhi. Il bianco bianchissimo. Il limpido blu. Occhi senza nubi. E’ tutto senza nubi, ma gli occhi in particolare, finestre, finestre lavate che non rilevano ancora nulla di quello che c’è dentro. Nella fronte l’impronta dell’embrione. Le albicocche secche che sono le sue orecchie. Deliziose. Se un giono cominciassi a mangiarle, non smetteresti più. Le orecchi minute sempre più vecchie di lei. Le orecchie che non avevano mai avuto solo quattro anni e che, però, non erano mai veramente cambiate da quando aveva quattordici mesi. La finezza soprannaturale dei suoi capelli. Com’erano sani. Più rossicci, più simili a quelli di sua madre che ai suoi, allora, ancora lambiti dal fuoco. L’odore, nei capelli, di tutta la giornata. La spensieratezza, l’abbandono di quel corpo tra le sue braccia. Il felino abbandonarsi a quel padre onnipotente, il proprio corpo, Merry eccita in lui un istinto protettivo così forte che non dev’essere lontano da ciò che Dawn diceva di provare quando l’allattava. Ciò che prova lo Svedese quando sua figlia salta per balzargli tra le braccia è l’assolutezza della loro intimità. E incorporata c’è sempre la coscienza che lui non deve spingersi troppo in là, che non può, che questa è un’enorme libertà e insieme un enorme piacere, l’equivalente del legame che l’allattamento ha creato tra lei e Dawn. E’ vero. E0 innegabile. Lui era magnifico, in questo, e anche lei. Altrettanto magnifica. Com’è potuto accadere tutto questo a questa magnifica ragazza? Era balbuziente. E con ciò? Che problema era? Com’è potuto accadere tutto questo a una ragazza assolutamente normale? A meno che questo non sia proprio ciò che succede ai ragazzi magnifici e assolutamente normali. Gli scemi non fanno queste cose. Le fanno i ragazzi normai. Tu continui a proteggerla, quando proteggerla è impossibile. Se non la proteggi, è una cosa insopportabile. Se la proteggi, è una cosa insopportabile. Tutto  è insopportabile. La crudeltà della sua terribile autonomia. Le cose peggiori della terra si era impossessate di sua figlia. Se solo quel corpo così bel cesellato non fosse mai venuto al mondo!
La gente è infallibile: sceglie quello che ti manca e poi non te lo dà.
Forse cancelli i dolori dal viso, ma non puoi cancellare il ricordo che c’è dentro.
-      Ho solo creduto che fosse così grassa e rabbiosa perché qualcosa di  molto brutto le doveva essere successo a casa.
-      Che fosse colpa mia…
-      Non è quello che ho pensato. Tutti abbiamo una casa. E’ lì che va sempre tutto storto.
Non poteva impedire più nulla. Non aveva mai potuto farlo, anche se soltanto adesso sembrava pronto a credere che fabbricare superbi guanti da donna di ogni misura non garantisse la costruzione di una vita tale da andare a pennello a tutti coloro che amava. Tutt’altro. Credi di proteggere una famiglia e non riesci a proteggere nemmeno te stesso.

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