- Io la conosco, l’ho vista in qualche libro, lei è il Conte.
- Sì, “ero” conte in vita, ma quel titolo non mi valse la felicità.
- Io ero Principe, e Marchese d’adozione, ma neppur io col titolo ereditai il sorriso.
- Lei mi conosce, ma mi perdoni, io non so chi sia.
- Venni dopo di lei, tanti anni dopo, e fui poeta anch’io. Poeta dei poveri, volli regalar loro un sorriso. Ma le mie erano poesie dialettali. Io non studiai tanto come lei...
- E che ci fa qui, Principe?
- Quasi mi strappa un sorriso… sì, questa città mi fu molto cara, anche se nacqui a Recanati, dall’altra parte di quest’amata Patria, che oggi vedo unita nei dissidi. Il tempo passa, e a dispetto dell'unità di cui non fui testimone, a volte sembra divisa come allora.
- Lo dice a me, che son meridionale? Eppure, guardi, a volte non è quello. È proprio la natura umana: l’uomo o è uomo, oppure è caporale.
- Principe, non la seguo. Mi spieghi meglio il suo pensiero.
- Quelli che chiamo “uomini”, lavorano tutta la vita senza la minima soddisfazione. E i “caporali” son quelli che li sfruttano, li maltrattano, li umiliano. Son sempre a galla, loro, al posto di comando. Conte, caporali si nasce, e ci faccia caso: hanno tutti la stessa faccia, e pensano tutti alla stessa maniera.
- Non so, Principe. Non credo sia colpa loro… non è colpa dell’uomo… è la natura che è spietata, e invano l’uomo si affanna alla ricerca della felicità. La natura ci ha dato il desiderio di essere felici, ma non la possibilità di soddisfare questo nostro bisogno.
- La natura, la vita... eh, ne scrissi anch’io, seppur con umili parole, non come lo disse bene lei: Mi permetta di citarla: “O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi?”
- Quanto dolore mi sovviene ora che ascolto quelle mie parole. E lei, Principe, mi dica, ha sofferto mai per una donna?
- Oh sì, e quanto soffrii, Conte, quanto soffrii per quella “malafemmena”…
- E la salute? Almeno di quella, ne godette?
- Conte, più di lei. Brutto, ero brutto. Pensi che mia moglie mi diceva che non ero brutto, ero solo “male assemblato”, ma non è quello… è che alla fine se ne andò il bene più grande, la vista. Proprio come a lei… però, ecco, io alla fine una cosa proprio gliela devo dire, se non le spiace.
- Principe, parli, siamo morti, liberi infine dal patimento della vita.
- Quel suo pessimismo, Conte. Non le sembrava esagerato? Già la vita è infame, perché non rallegrarla con un sorriso?
- Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo!
- La felicità non esiste, ognuno ha la sua croce. Di essere stato Marchese non è più motivo d’orgoglio, ma di aver fatto sorridere la gente, sì. Ero principe, io, ma Principe del Sorriso.
-
Conte Giacomo Leopardi Forse ha ragione lei. Chissà, se rivivessi ora, forse scriverei commedie… - Eh chissà, chissà… mi permetta, Giacomino, a noi non resta ch’esser seri. Lo sa anche lei, “noi appartenimm ‘a morte”.
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