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Non ce n’eravamo mai accorti. Come genitori, all’improvviso
ci sentimmo inadeguati e insensibili, ci chiedevamo come potevamo aver vissuto
sotto lo stesso tetto, se eravamo folli anche noi, visto che tutto ci era
sembrato semplicemente un assaggio di stravaganti normalità.
Dopo quella straziante confessione di Ludovica e quel
disperato e conclamato bisogno di staccarsi da sua sorella, ci consigliarono di
rivolgerci a uno psichiatra, e per la prima volta fummo di fronte alla loro
follia, diagnosticata su carta intestata, segno indelebile, marchio rovente, impresso
sulla pelle di animali mandati al macello.
La nostra famiglia finì lì, quel giorno, in quello studio
medico di Melbourne, in cui un uomo sulla cinquantina, brizzolato e panciuto,
fermo alla sua scrivania, con un diploma in bella vista dietro di sé, ci
informò che Federica avrebbe dovuto essere ricoverata in una clinica
psichiatrica e Ludovica avrebbe dovuto vivere lontano da lei, per superare la
sua indotta follia. Shared psychosis è il termine esatto in inglese, folie-à-deux.
In inglese il verbo “share”
vuol dire allo stesso tempo “condividere” e “dividere”.
Shared.
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