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brown_labrador_by_foreversanne.jpg www.deviantart.com |
La paura è un sentimento prezioso, perché ci avverte di uno stato di pericolo e ci mette in allerta. L'ansia no, ci incute solo angoscia per un pericolo ipotetico, a volte persino improbabile.
Ho
sempre fatto indigestione di ansia, ed essendo cosciente di questo mio limite, la maggior
parte delle volte riesco ad arginare l’inquietudine che mi si annida nello
stomaco. L'unico limite insuperabile per me è la fobia per i furti, che alberga
in me da quando ero una ragazzina di dieci anni, e i ladri visitarono la casa
dei miei genitori portando via la mia bambola preferita. Per combattere questa
ansia, ho dotato la mia casa di un sistema di allarme di ultima generazione,
con videocamere intelligenti, sensori ultra tecnologici, allarmi elettronici e
sonori, attivi 24 ore su 24 secondo diverse configurazioni abitative: casa
vuota, living house, primo piano disabitato, piano terra disabitato. La
centrale operativa, perché di questo si tratta, è naturalmente sul mio smartphone,
e se mi capita di attivare le telecamere quando sono fuori, osservo le immagini
degli ambienti disabitati con lo stesso animo con cui assisto a un film di
Hitchcock.
Non
sono quella che può definirsi una persona fortunata, eppure una volta nella mia
vita ho vinto al Gratta e Vinci. Avevo acquistato il biglietto una domenica
pomeriggio rientrando da Venezia, e lo avevo nascosto nella borsa per tutto il
viaggio per godermi quel brivido in tutta calma. Il rito si era consumato dopo
cena, e non credetti ai miei occhi quando, grattando la banda dorata, un numero
comparve con le cifre nella sequenza esatta
del numero vincente. Ero la vincitrice di un milione di euro, solo “virtuale”,
perché fino all’indomani non avrei potuto ufficializzare quella vincita. Dopo
la premessa che vi ho fatto, credo possiate immedesimarvi nel mio stato d'animo
in quel momento.
In
quei giorni abitava con noi un esuberante cucciolo di Labrador di nome Potter, che la mia amica Virginia mi aveva lasciato
per andarsene in vacanza alle Maldive. Era un batuffolo color champagne che
quando ero in casa mi gironzolava tra i piedi facendomi inciampare, o, quando
non dormiva, passava il tempo a morsicare tappeti e mobili. Per lui avevo creato
un’apposita configurazione dell’allarme, “animal house”, impostando le soglie di
sensibilità ai movimenti sopra i cinquanta centimetri dal pavimento. Avevo il
biglietto vincente della lotteria in mano e Potter mi gironzolava intorno con
il suo solito sguardo affamato. Decisi che il sacco dei croccantini in cantina era
il posto ideale per nascondere il biglietto fino alla mattina dopo, perché lì sarebbe
stato al sicuro da scarabocchi volanti di mio figlio, appunti sbrigativi presi
al telefono e note frettolose per la spesa. Così, sotto lo sguardo felice di
Potter che mi sbavava intorno, scesi in cantina e affondai nel sacco dei
croccantini il cartoncino vincente ben avvolto in una plastica protettiva.
Trascorsi
una notte stranamente tranquilla e il primo pensiero quando mi svegliai fu di controllare il biglietto
vincente, con la scusa di prendere la pappa di Potter. Rimasi di stucco nel
vedere la porta aperta dello sgabuzzino e Potter che girava intorno al sacco
dei croccantini riverso sul pavimento e completamente vuoto. Mi tuffai a terra,
mentre Potter mi gironzolava intorno soddisfatto della sua impresa, e compresi
perché quella mattina non si era presentato a leccarmi la faccia con la sua
lingua bavosa. Mi resi conto di essere stata milionaria solo per poche ore, e senza
nemmeno aver potuto godere del sogno di vivere come una principessa, perché quella
notte avevo dormito sodo. Me ne tornai a letto, desiderosa di addormentarmi per
dimenticare quella sventura, ma poco dopo che mi ero coricata, il suono
insistente del campanello e Potter che cercava di spingermi ad alzarmi con le
sue insistenti leccate, mi costrinsero a scoprire chi fosse. Era Virginia, che
veniva a riprendere Potter.
«Ciao!
Scusa l’ora, faccio presto e comunque non posso fermarmi perché ho un sacco di
cose da fare. È stato bravo? Non ti ha fatto danni, vero? Ti chiamo nel
pomeriggio, scusa devo scappare ci vediamo dopo.» Non ebbi il tempo di fiatare,
sommersa dalla sua voce che squillava fiumi di parole, finché Virginia non si
fermò per guardarmi: «Ma che hai? Ti vedo un po' sconvolta...»
«Solo
un po' stanca, ti chiamo dopo.» le dissi sforzandomi di sorridere.
Virginia
si voltò, e Potter le scodinzolò dietro contento, finché non scomparvero dietro
l’angolo della strada. Non mi mossi, continuando a guardare la gente in strada che
ripeteva ordinari gesti quotidiani: il lattaio scaricava bottiglie dal
camioncino ammaccato sulla portiera sinistra, il giornalaio sistemava i
quotidiani sullo scaffale di legno sotto la tenda arancione, il macellaio
litigava con la saracinesca della macelleria e un gruppo di teppistelli di
dieci anni rincorreva una palla andando a scuola. Il fischio della teiera che
mio marito aveva messo sul fuoco mi richiamò alla mia vita e stavo per chiudere
la porta, dando un’ultima occhiata nel punto in cui Virginia e Potter erano
scomparsi, quando il muso elegante e lo sguardo tenero di Potter fecero
capolino e le sue zampe corsero veloci verso di me. Mi chinai ad accarezzarlo e
lui fece quasi un inchino di ringraziamento stiracchiandosi le zampe davanti, e
poi si rialzò abbassando e allargando appena le zampe posteriori per espellere
quello che oramai era il suo milione di euro. Sorretta da una inguaribile
speranza, rifiutando l’idea di poter annusare solo “il profumo dei soldi”,
corsi in cucina, presi dei guanti e tornai fuori a rovistare tra gli
escrementi. Non trovai nulla, e rassegnata all’inevitabile destino di
milionaria virtuale, rientrai in cucina.
Fu allora che vidi un biglietto di mia figlia: “Ho trovato questo nel sacco dei croccantini di Potter. Peccato!”. “Peccato!”. Perché “Peccato”? Riguardai la sequenza delle cifre ed era perfetta. Solo dopo qualche minuto in cui il mio sguardo era rimasto fisso sul biglietto, mi accorsi di una fragola appena disegnata sotto il numero, ricoperta a metà dalla patina dorata. Rilessi le istruzioni e realizzai che per poter vincere anche il frutto doveva combaciare con quello vincente. L’occhio si mosse in alto, e un piccolo ananas dal ciuffo impertinente mi salutò. Peccato. Già, peccato.
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