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4 ott 2014

Amanitae

Ex manicomio di Volterra
Un grandissimo prato,
soffice e incredibilmente vasto,
così vasto che sembrava curvarsi all’orizzonte.
Qui vagavano tanti corpi, lentamente,
trascinando il loro peso,
con lo sguardo rivolto a terra,
i muscoli privi di tensione.

Sembravano vagare senza entusiasmo
In un paesaggio con una sola entrata,
tetro e intricato.
Scrutati da troppi occhi,
giudicati da troppi sguardi.


Poi uno di loro si fermò all’improvviso,
ondeggiante sulle gambe molli.
Chiudendo gli occhi iniziò a cercare un odore
E a cambiare la traiettoria del suo errante cammino.
Cercava qualcosa.
Sentiva che avrebbe potuto trovare un dettaglio.
 
L’emozione iniziava a gonfiargli le vene del collo e delle mani.
Il colorito si accendeva di arance velluto
E anche il volto sorrideva,
nella leggera piega che tutto di noi cambia.
Alzava le braccia per facilitare la sua ricerca.
Impaziente...
Si avvicinava a tutti gli altri corpi, cercando,
varcando soglie, spazi,
ma poi se ne allontanava sicuro,
come se non fosse quello giusto.
 
Poi però si fermò e rimase lì,
per qualche minuto,
come se gli sedesse accanto,
e in quel minuto corrugò la fronte, concentrato.
Il respiro cambiò, trasformandosi in un flusso lento
E profondo, liquido e libero.
 
Cadde in ginocchio di fronte a quel corpo
E anche quest’ultimo fece altrettanto. Rimasero così,
uno di fronte all’altra, in ginocchio,
con le rotule sprofondate nella terra,
il volto in estasi, i sensi accesi, il respiro danzante.
La mente capovolta, le catene strappate.
 
Iniziarono ad avvicinarsi lentamente,
timorosi di rompere quell’incantesimo di meraviglia.
Le dita sfiorarono le braccia,
le labbra si accostarono alla pelle,
i capelli si sparsero liberi sulle spalle,
i respiri iniziarono una danza
conosciuta e lontana.
Movenze di testi antichi, canti appassionati
E liberatori, baratti celestiali, ignari di restrizione.

 
Le mani disegnavano piccoli cerchi sulla schiena,
il contatto si faceva sempre più familiare e intenso.
Poi i due corpi si abbandonarono in un abbraccio,
ebbri di estasi, sereni,
dondolando le morbide teste l’uno sulla spalla dell’altro
avvolti dal calore ritrovato,
accesi dalla fiamma misteriosa e pulsante
che varca le punte del male, le reti del buio.
Rimasero così, chissà per quanto...
 
Gli altri corpi continuarono a vagare silenziosi,
mentre altri si piegarono in ginocchio
ripetendo quell’estatico rituale che abbatte ogni muro
che sfonda ogni barriera.

 
E io mi chiedevo...
Osservando questo spettacolo senza tempo,
cosa può il male di fronte a tutto ciò?
Cosa la strisciante potenza della cattiveria,
il buio dell’incomprensione,
l’angoscia della chiusura
della solitudine e del non mai?
 
Arriverà anche per voi il momento di partire,
per poi ritrovarvi in uno spazio vostro,
luminoso e cristallino,
fatto solo per questo incontro,
atteso da tante vite,
da lunghi quando,
da troppi dove.
Nessuna resistenza,
ma soltanto un tenero abbandono
nella culla di chi riesce a illuminare le nostre tempeste
e a chiudere li varchi dell’ignoto.
 
Prima o poi sentirò il tuo profumo,
i miei piedi affonderanno
nei variopinti giardini del tuo mondo,
le mie mani si allungheranno timide,
speranzose e impazienti verso la tua pelle
e percependo il tuo richiamo, allora,
ma soltanto allora,
anche se a volte già mi sembra di averlo fatto,
saprò pienamente riconoscerti
e lasciare la mia impronta.
 
Amanitae
 
 

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