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17 nov 2014

Morte a Venezia di Thomas Mann


Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l'inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell'etica e dell'estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda.

Opinione inserita da enricocaramuscio    12 Mag, 2013
Amore e morte

Anno 19.. Monaco di Baviera. Il famoso ed apprezzato scrittore tedesco Gustav Von Aschendbach, solitamente repellente all'idea di allontanarsi dalla sua città, viene preso da un'inspiegabile ed incontenibile impulso a partire. Decide allora di trascorrere un periodo di vacanza al mare, e nessuna destinazione appare più azzeccata della bellissima Venezia. Si avventura perciò in un viaggio che risulterà senza ritorno, in cui al degrado fisico si accompagnerà quello morale, frutto di una ossessiva quanto insospettabile attrazione platonica per un ragazzino polacco. Amore e morte convivono e combattono dalla prima all'ultima pagina di questo breve romanzo di Mann, la cui semplicità della trama contrasta con la complessità delle riflessioni concernenti il tema di fondo dell'opera: la ricerca della bellezza. Una ricerca che non conosce prevedibilità né limiti riguardanti età, convenzioni sociali, convenienze, questioni morali, che sprona l'uomo ad ambire ad un continuo miglioramento di se stesso, ma che, se portata all'estremo, può sfociare in insana morbosità e culminare nella morte dello spirito.


Citazioni

Gli uomini non sanno perché conferiscano gloria a un'opera d'arte. Tutt'altro che intenditori, credono di scoprire mille pregi per giustificare tanto entusiasmo, ma il vero motivo del loro plauso imponderabile, è la simpatia.

 Un'interiore irrequietezza lo spingeva, non sapeva ancora bene dove. Se di colpo si desidera raggiungere l'incomparabile, l'incredibilmente favoloso, dove bisognava dirigersi?

Riposare nella perfezione è il sogno di chi tende all'eccelso, e non è forse il nulla una forma di perfezione?

Felicità dello scrittore è il pensiero che può divenire totalmente sentimento, il sentimento che può divenire pensiero.

È certamente un bene che il mondo conosca solo l'opera insigne e non anche le sue origini, le circostanze da cui è nata; poiché la conoscenza delle fonti dalle quali scaturisce l'ispirazione dell'artista, potrebbe turbare, spaventare e con ciò annullare la sua grandezza.

Niente è più singolare, più imbarazzante che il rapporto fra persone che si conoscono solo attraverso gli occhi - che si vedono a tutti i giorni a tutte le ore, si osservano e nello stesso tempo sono costretti dall'educazione o dalla bizzarria a fingere indifferenza e a passarsi accanto come estranei, senza saluto né parola. Fra di loro c'è inquietudine ed esasperata curiosità, l'isteria di un bisogno insoddisfatto, innaturale e represso di conoscersi e di comunicare e soprattutto una sorta di ansiosa attenzione.

Perché la bellezza, Fedro, ricordatelo bene, la bellezza soltanto è divina e allo stesso tempo visibile, e perciò essa è la via di ciò che appartiene ai sensi, essa è, piccolo Fedro, la via che conduce l'artista allo spirito. Ma tu, mio amato, credi forse che ci si avvia attraverso il dominio dei sensi verso lo spirito giungerà alla saggezza e alla vera dignità dell'uomo? O credi piuttosto (ti lascio libero di scegliere) che questa via rischiosamente dolce sia in realtà una via di inganno e di peccato, che necessariamente conduce all'errore? Perché devi sapere che noi poeti non possiamo percorrere la via della bellezza senza che Eros ci accompagni e ci sia di guida; certo, possiamo anche, a modo nostro, essere eroi e onesti combattenti, ma in verità siamo come le donne, perché la passione è ciò che ci esalta, perché solo all'amore ci è dato aspirare - questa è la nostra gioia e la nostra vergogna. Ora vedi che noi poeti non possiamo essere né saggi né dignitosi? Che necessariamente cadiamo nell'errore, naturalmente siamo dissoluti e avventurieri del sentimento? La maestria dello stile non è che menzogna e millanteria; la nostra gloria, gli onori sono solo farsa, la fiducia del pubblico è grottesca e ridicola, l'educazione del popolo e della gioventù per mano dell'arte è impresa temeraria e da interdire. Infatti che educatore è chi irrimediabilmente e per sua natura è spinto verso l'abisso? Vorremmo sì distogliercene, acquistare dignità, ma per quanti sforzi facciamo, l'abisso ci attira. Così non rinunciamo alla conoscenza che dissolve, perché la conoscenza, Fedro, non ha dignità né rigore; è consapevole, è priva di riserbo e forma; ha simpatia per l'abisso, anzi è l'abisso stesso. Noi dunque la ripudiamo energicamente e quindi la nostra ispirazione resta unicamente la bellezza, cioè la semplicità, la grandezza e il nuovo vigore, la rinnovata spontaneità, la forma. Una spontaneità e forma, mio Fedro, conducono all'ebbrezza del desiderio, possono trascinare un animo nobile a sacrilegi orrendi, che a lui stesso, al suo armonioso rigore, appaiono informi; conducono all'abisso, all'abisso anche loro. E ti dico, vi conducono proprio noi poeti, poiché noi non siamo capaci di elevazione, ma solo di dissolutezza.

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