
Opinione
inserita da enricocaramuscio 12 Mag,
2013
Amore
e morte
Anno 19.. Monaco di Baviera. Il famoso ed
apprezzato scrittore tedesco Gustav Von Aschendbach, solitamente repellente
all'idea di allontanarsi dalla sua città, viene preso da un'inspiegabile ed
incontenibile impulso a partire. Decide allora di trascorrere un periodo di
vacanza al mare, e nessuna destinazione appare più azzeccata della bellissima
Venezia. Si avventura perciò in un viaggio che risulterà senza ritorno, in cui
al degrado fisico si accompagnerà quello morale, frutto di una ossessiva quanto
insospettabile attrazione platonica per un ragazzino polacco. Amore e morte
convivono e combattono dalla prima all'ultima pagina di questo breve romanzo di
Mann, la cui semplicità della trama contrasta con la complessità delle
riflessioni concernenti il tema di fondo dell'opera: la ricerca della bellezza.
Una ricerca che non conosce prevedibilità né limiti riguardanti età,
convenzioni sociali, convenienze, questioni morali, che sprona l'uomo ad ambire
ad un continuo miglioramento di se stesso, ma che, se portata all'estremo, può
sfociare in insana morbosità e culminare nella morte dello spirito.
Gli uomini non sanno perché
conferiscano gloria a un'opera d'arte. Tutt'altro che intenditori, credono di
scoprire mille pregi per giustificare tanto entusiasmo, ma il vero motivo del
loro plauso imponderabile, è la simpatia.
Un'interiore irrequietezza lo spingeva, non
sapeva ancora bene dove. Se di colpo si desidera raggiungere l'incomparabile,
l'incredibilmente favoloso, dove bisognava dirigersi?
Riposare nella perfezione è il
sogno di chi tende all'eccelso, e non è forse il nulla una forma di perfezione?
Felicità dello scrittore è il
pensiero che può divenire totalmente sentimento, il sentimento che può divenire
pensiero.
È certamente un bene che il
mondo conosca solo l'opera insigne e non anche le sue origini, le circostanze
da cui è nata; poiché la conoscenza delle fonti dalle quali scaturisce
l'ispirazione dell'artista, potrebbe turbare, spaventare e con ciò annullare la
sua grandezza.
Niente è più singolare, più
imbarazzante che il rapporto fra persone che si conoscono solo attraverso gli
occhi - che si vedono a tutti i giorni a tutte le ore, si osservano e nello
stesso tempo sono costretti dall'educazione o dalla bizzarria a fingere
indifferenza e a passarsi accanto come estranei, senza saluto né parola. Fra di
loro c'è inquietudine ed esasperata curiosità, l'isteria di un bisogno
insoddisfatto, innaturale e represso di conoscersi e di comunicare e
soprattutto una sorta di ansiosa attenzione.
Perché la bellezza, Fedro,
ricordatelo bene, la bellezza soltanto è divina e allo stesso tempo visibile, e
perciò essa è la via di ciò che appartiene ai sensi, essa è, piccolo Fedro, la
via che conduce l'artista allo spirito. Ma tu, mio amato, credi forse che ci si
avvia attraverso il dominio dei sensi verso lo spirito giungerà alla saggezza e
alla vera dignità dell'uomo? O credi piuttosto (ti lascio libero di scegliere)
che questa via rischiosamente dolce sia in realtà una via di inganno e di
peccato, che necessariamente conduce all'errore? Perché devi sapere che noi poeti
non possiamo percorrere la via della bellezza senza che Eros ci accompagni e ci
sia di guida; certo, possiamo anche, a modo nostro, essere eroi e onesti
combattenti, ma in verità siamo come le donne, perché la passione è ciò che ci
esalta, perché solo all'amore ci è dato aspirare - questa è la nostra gioia e
la nostra vergogna. Ora vedi che noi poeti non possiamo essere né saggi né
dignitosi? Che necessariamente cadiamo nell'errore, naturalmente siamo
dissoluti e avventurieri del sentimento? La maestria dello stile non è che
menzogna e millanteria; la nostra gloria, gli onori sono solo farsa, la fiducia
del pubblico è grottesca e ridicola, l'educazione del popolo e della gioventù
per mano dell'arte è impresa temeraria e da interdire. Infatti che educatore è
chi irrimediabilmente e per sua natura è spinto verso l'abisso? Vorremmo sì
distogliercene, acquistare dignità, ma per quanti sforzi facciamo, l'abisso ci
attira. Così non rinunciamo alla conoscenza che dissolve, perché la conoscenza,
Fedro, non ha dignità né rigore; è consapevole, è priva di riserbo e forma; ha
simpatia per l'abisso, anzi è l'abisso stesso. Noi dunque la ripudiamo
energicamente e quindi la nostra ispirazione resta unicamente la bellezza, cioè
la semplicità, la grandezza e il nuovo vigore, la rinnovata spontaneità, la
forma. Una spontaneità e forma, mio Fedro, conducono all'ebbrezza del
desiderio, possono trascinare un animo nobile a sacrilegi orrendi, che a lui
stesso, al suo armonioso rigore, appaiono informi; conducono all'abisso,
all'abisso anche loro. E ti dico, vi conducono proprio noi poeti, poiché noi
non siamo capaci di elevazione, ma solo di dissolutezza.
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