
Aprivo la madia e prendevo ciò che c’era, aprivo le confezioni con una voracità inaudita, e ingoiavo cibo per riempirmi lo stomaco. E poi ancora. E poi ancora. E poi ancora. E quando ero abbastanza piena di tutti i sensi di colpa per averlo fatto, la ragione sistemava tutto, e con estrema lucidità mi recavo in bagno, mi infilavo le dita in bocca, sistemavo i capelli e i vestiti per non sporcarmi e spingevo le dita in fondo. Tossivo, sentivo gli occhi fuori dalle orbite, ma ero ferma e decisa ad andare fino in fondo. E più vomitavo, più volevo vomitare, volevo svuotarmi di tutto, perché più mi svuotavo e più riprendevo il controllo della situazione. Gli sgarri non erano previsti, perciò solo vomitando anche la mia anima avrei potuto ripristinare l’ordine precostituito che la mia testa mi imponeva, e tornare ad indossare la maschera della brava ragazza. Mi guardavo allo specchio, gli occhi quasi fuori dalle orbite, il viso rosso per lo sforzo. Mi lavavo i denti e la faccia. Mi ricomponevo, poi uscivo a testa alta dal bagno come se nulla fosse successo, a riprendere il mio posto nel mondo, quello a me assegnato, che dovevo occupare con onore e dignità. E non mi rendevo conto che la mia dignità era finita in fondo a un cesso con tutto l’orrore che avevo tirato fuori da me.
(Untitled, Carla Pavone)
Foto: Note_to_Self___Be_Thinner__by_No_Reason_At_All.jpg (deviantart.com)
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