Davanti a un matto, ho sempre avuto la stessa sensazione, lo
stesso identico brivido. Fissare negli occhi la follia è come guardare nella
profondità del mare, trovarsi davanti a un’imbarcazione affondata, un relitto
che giace addormentato sotto la superficie. Qualcosa di indecifrabile. Come una
frase difficile che hai bisogno di rileggere più volte prima di poterla capire.
I relitti della psichiatria, i relitti della follia, i relitti della violenza,
i relitti della società. Nelle facce di questi relitti io scorgo l’impossibile,
l’irraggiungibile.
Volti come imbarcazioni affondate, condannate a stare sotto
la superficie, per sempre. Nelle molteplici espressioni di questi visi
rosicchiati dal dolore, io riconosco la bellezza. Il fascino del nostro incerto
cammino, fatto di labili speranze ed equilibri fasulli.
In quelle mani che non stanno mai ferme, in quegli occhi
profondi e inquieti, io ritrovo l’uomo, al di là di ogni sua fragile
costruzione. L’uomo nudo, finalmente spogliato, che ha davanti a sé il mistero
della sua vita e del suo imponderabile destino.
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