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22 ago 2017

La tristezza ha il sonno leggero - di Lorenzo Marone



Un attimo sei un giovane pieno di speranze che affida alle stelle i suoi sogni e l’attimo dopo ti ritrovi un quarantenne che di sogni non ne ha più e, anzi, non saprebbe nemmeno da dove iniziare per trovarne uno. Perché anche alla stella più luminosa ogni tanto devi concedere uno sguardo affinché possa continuare a dare luce alle tue speranze. Invece la quotidianità finisce per avere il sopravvento e ti trascina per inerzia lungo un cammino che non riconosci nemmeno più come tuo, tracciato dalle aspirazioni della famiglia, dalla voglia di accontentare o non far soffrire chi ti sta accanto o forse, semplicemente, dalla difficoltà di concederti tempo per capire cosa vuoi davvero e trovare poi il coraggio di dar voce a questi desideri.
Tutto questo lo sa bene Erri Gargiulo, che di persone con cui fare i conti, nella propria “famiglia allargata”, ne ha davvero tante: un padre biologico assente che gli ha insegnato a calpestare le emozioni in nome di una presunta pace interiore, una madre dispotica che ha sempre imposto le proprie scelte nascondendo le proprie fragilità, un padre acquisito dal cuore buono che si ha paura di perdere, una pletora di mezzi fratelli e mezze sorelle dalle svariate combinazioni genetiche. Mezzi. Come si è sempre sentito Erri. Che ha reagito imparando a vivere in difesa, nell’ombra, senza dare fastidio, senza alzare la voce. Per non esporsi al dolore.

Ma quando, all’improvviso, Erri si ritrova a dover affrontare il tradimento della moglie e il conseguente licenziamento da parte del suocero, questa forzata libertà si trasforma nell’occasione per fare i conti con se stesso e i propri desideri. E comincia a ripensare al passato, raccontandoci lucidamente dei piccoli e grandi avvenimenti che hanno tracciato il suo cammino e delle persone che lo hanno accompagnato, la sua famiglia.

Ancora una volta Lorenzo Marone ci parla di vita da vivere, di scelte da affrontare, di possibilità. E ancora una volta lo fa con la semplicità di un personaggio capace di arrivare al cuore di tutti perché nella vita di ciascuno di noi vi sono sogni segreti che col passare del tempo sono diventati segreti persino a noi, occasioni perdute che ci portiamo dietro come zavorre, la paura di cambiare e renderci vulnerabili. La narrazione scorre morbida e coinvolgente e ci accompagna in modo ironico e accattivante nelle pieghe di questa famiglia napoletana scombinata, una galleria di anime e personalità diverse, che si vogliono bene a modo loro, ciascuno con la propria storia e la propria formula per vivere, o quantomeno per arginare il dolore: dall’accettazione più rassegnata all’intransigente rifiuto di ogni regola.

Leggere queste pagine innesca ancora una volta una riflessione sulla vita reale, la nostra, e viene voglia di guardare nella notte e cercare una stella.

Opinione inserita da
lapis 17 Marzo, 2016
http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/romanzi/la-tristezza-ha-il-sonno-leggero/







Citazioni da "La tristezza ha il sonno leggero"
  • per essere felici dobbiamo essere pronti a liberarci del nostro passato, capire che noi non siamo quello che abbiamo vissuto e che, se non vogliamo vivere una vita che non ci appartiene, a volte è indispensabile ribellarci. Anche a chi ci ama.
  • È buffa questa cosa che facciamo pagare agli altri le colpe dei nostri genitori. Ognuno se ne va in giro con un mucchietto di dolore incapsulato dall’infanzia, alla ricerca della persona giusta cui restituire un po’ dei torti subiti. Alcuni riescono a bloccare la catena dell’odio grazie a un granello di amore incontrato per caso, ma la maggioranza, purtroppo, continua inconsapevole a far girare l’ingranaggio.
  • «Mi chiamo Erri Gargiulo e mi faccio di speranza da quarant’anni.» Se esistesse un gruppo di sostegno per drogati di speranza dovrei presentarmi così.
  • Alla fine ho capito che non è vero che la speranza non si tramuta mai in realtà. È una questione di numeri: più desideri hai, maggiore è la possibilità di fare centro.
  • le verità scivolano fuori proprio in un istante di monotonia, quando la stanchezza di un giorno qualunque e sempre uguale ci appare come il peggiore dei mali.
  • Il termine «infanzia» deriva dal latino ed è l’unione del verbo fari, che significa «parlare», con il prefisso in, che ha valore di negazione. Gli antichi racchiudevano con questo vocabolo il periodo della vita nel quale ancora non si è imparato a parlare. Con l’età moderna, l’infanzia ha assunto un connotato diverso e l’accezione odierna copre un arco di tempo molto più dilatato. Se volessi rifarmi al significato etimologico dei latini, al momento starei uscendo dalla fase infantile. Ho trascorso i primi trent’anni utilizzando il linguaggio in modo del tutto accessorio e solo ultimamente ho imparato a dire la mia in qualche rara occasione, anche se mai in modo categorico. Al contrario, quelle poche parole le balbetto, ancora incapace di affermare la mia esistenza nel mondo. Come un bambino di nemmeno due anni, solo a quaranta sto incominciando a cacciar fuori le parole che mi servono.
  • ci sono individui che dicono di credere nell’amore, ma non sono disposti a farsi sottrarre una porzione di letto, parlano di condivisione e non accettano di trovare il bagno occupato, si riempiono la bocca di progetti, e poi sbuffano se per caso la televisione è sul canale sbagliato. Grazie a loro ho capito che esistono persone che amano altre persone, e persone che amano solo l’idea di amare altre persone. Con queste ultime si può, al più, fare una cena galante, con le prime, invece, si possono anche spacchettare i cartoni di un trasloco».
  • La prima cosa che direi a un figlio, una volta adulto, sarebbe: «Fai il possibile perché ciò che ti piace non diventi un passatempo da coltivare solo nel fine settimana. È la via più diretta per trasformarsi in un infelice». Quello che avrebbe dovuto dirmi Mario. A volte chi si preoccupa per te può fare molti più danni di chi a stento si accorge della tua presenza.
  • Se dico che ho il sonno leggero, mi sento consigliare della camomilla. Altro che camomilla, per poggiare la testa sul cuscino e iniziare a russare mi servirebbe un potente infuso di superficialità.
  • La vita, l’ho già detto, ci ha messo poco a spiegarmi che gli amori non colmano i vuoti, semmai ne aggiungono altri.
  • ho imparato a conquistare l’attenzione più difficile, quella che non ti è dovuta. Se mai un giorno mi troverò ad abbottonare il grembiule a mio figlio, gli accarezzerò la testa e dirò testuali parole: «Vai, e impara a farti accettare da chi non è obbligato a farlo».
  • Buffo, uno impiega una vita per cercare di dimenticare e di gettarsi il passato (almeno quello che non gli piace) alle spalle, poi, superati i quaranta, si ritrova a dover fare il percorso inverso, a recuperare l’irrecuperabile.
  • Più ci rintaniamo e più il dolore viene a scovarci. Se ci gettiamo nella mischia, invece, c’è la possibilità di passare inosservati.»
  • «Io penso che lei abbia dei seri problemi con la sfera emotiva... ha paura di lasciarsi andare, di vivere appieno le emozioni, positive o negative che siano. Probabilmente ha visto sua madre comportarsi così e ha pensato che fosse normale temere le emozioni. E ha imparato così bene la lezione che non ha più bisogno di un ripasso, come si dice in gergo scolastico. La colpa non è sua, quel bambino non poteva averne. Ma la persona che mi trovo davanti, e che non fa nulla per rompere il circolo vizioso, ne ha di responsabilità. E anche parecchie». Tentai di abbozzare una risposta, ma lui mi anticipò: «La verità è che se si passa la vita a tentare di non sentire dolore e paura va a finire che non si sente più niente».
  • in genere le vite più sembrano perfette più sono un grande bluff.
  • La vita successiva mi ha poi spiegato alcune cose: che non sempre un bacio deve essere con la lingua, che le scuse spesso non cancellano le ferite e che l’amore, corrisposto o meno, serve a ricordarti che sei vivo, in mezzo a una marea di morti.
  • In certi posti, le più interessanti sono sempre le coppie, d’ogni età e genere. Si distinguono in coppie alle prime armi, che stanno decidendo di convolare a nozze o andare a convivere, per cui le vedi aggirarsi fra i divani con aria felice, scambiarsi opinioni, colloquiare amabilmente sul tipo di tappetino per il bagno, chiamarsi a gran voce quando l’altro è andato troppo avanti e si è lasciato sfuggire un reperto fondamentale. E coppie navigate, che ti accorgi subito che, se non stessero all’Ikea, rimarrebbero davanti al televisore senza scambiare una parola. In genere in questo tipo di coppie l’uomo cammina un paio di passi dietro la moglie, così da poter osservare indisturbato la marea di sederi che gli si presentano davanti. La compagna, del resto, sa benissimo ciò che accade alle sue spalle, ma preferisce far finta di nulla, per non incorrere in una nuova discussione senza via di uscita. Però è solita usare abili trabocchetti per far sentire quantomeno in colpa il partner. E così di tanto in tanto gli pone qualche domanda su uno specifico tessuto o sul lampadario per la stanza da letto, pretendendo che lui inquadri subito ciò di cui si parla. Ma il poveretto non sa nulla di lampade e tessuti, al più potrebbe disquisire sul pantacollant della signora che li precede. Poi ci sono quelli come noi, come me e Matilde, che ci trovavamo nel mezzo, né troppo felici, né spiegazzati dalla vita e dal matrimonio. Quelli che ogni giorno cercano di mettere un po’ di se stessi nel rapporto e procedono a braccetto. Perché è così che le cose vanno a rotoli senza nemmeno accorgersene, quando uno dei due inizia a camminare due passi indietro al compagno.
  • Flor la libertà l’ha dentro, le scorre nelle vene. È una di quelle persone che non hanno bisogno di conquistarsi un posto nel mondo, di lottare per i propri spazi o le proprie scelte. A lei, in realtà, non interessa scegliere, è libera proprio perché è svincolata. La sua libertà consiste nel sottrarsi alle decisioni. Per uno come me è troppo avanti.
  • La sera dopo cena ero io a portarlo a passeggio. Facevamo un lungo giro dell’isolato, lui con la testa sul selciato ad annusare le diverse gradazioni di ammoniaca presenti nelle urine, io a guardare le stelle o gli appartamenti dei vicini. Mentre Ernesto svuotava la vescica, io mi perdevo nella contemplazione dell’infinita varietà di vite attorno a me, tutte rinchiuse in quelle scatole illuminate che chiamiamo case, e mi chiedevo, oggi come allora, se davvero ognuna delle persone lì dentro avesse scelto di essere lì in quel momento, davanti al televisore o dietro un tavolo, con accanto la stessa persona di sempre. Se ci fosse, insomma, da qualche parte, qualcuno che lottasse per cambiare la sua vita ed essere davvero felice. E allora come oggi mi dicevo che forse il più infelice di tutti era proprio chi tentava di ribellarsi a una strada che non sentiva sua. Tutti gli altri, quelli che se ne stavano comodamente a guardare la tv con uno sconosciuto accanto, quantomeno erano anestetizzati. Che poi è l’unico modo che conosciamo per non sentire il dolore.
  • Pensavo a quando un domani ti innamorerai. A chi porterai a casa. In fondo siamo tutti estranei prima di conoscerci. Anche io e Erri lo siamo stati. Innamorarsi è il più grande atto di fiducia che ci possa essere fra due estranei. Pensa questo ogni volta che ti troverai in difficoltà nell’entrare in una stanza piena di gente sconosciuta, o al cinema, se ti scoprirai di fianco a chi non conosci, pensa che la vita ti sta solo donando una nuova possibilità di trovare qualcuno di speciale. Non ti dirò, come molti, di restartene sulle tue, di non esporti troppo. No, io ti dirò di avere fiducia e imparare ad accogliere gli altri. Più muri alzerai, e meno luce entrerà nella tua vita.
  • che male c’è ad aver bisogno degli altri? Tutti abbiamo bisogno di qualcuno. Non esistono i superuomini. Nietzsche diceva una cazzata. Può accadere anche ai grandi.
  • Nonostante la paura per le tante novità, quella sera, per la prima volta, mi trovai a pensare che le ferite, forse, servono a testare la nostra capacità di guarire. E che se vogliamo vederle rimarginarsi in fretta non dobbiamo sfrocoliarle, ma distogliere lo sguardo e continuare a vivere.
  • Oggi mi sono accorta di aver detto una frase che ripeteva sempre mia madre. Più passa il tempo e più le assomiglio. È così strano pensare che dentro di te ci sarà una parte di me. È una cosa che fa paura, perché vorrei trasmetterti solo cose buone. Invece potresti diventare debole di pancia, avere un’allergia alla muffa, o essere intollerante al latte. Cose così, piccoli inconvenienti da sopportare, di sicuro nulla in confronto alle paure che ti passerò con i miei comportamenti quotidiani. L’esempio che diamo a un figlio è ben più potente della genetica. Mi consola che, almeno, i cattivi esempi possono essere combattuti. Lì non siamo impotenti. Se dopo qualche anno inizierai a mostrare le mie stesse insicurezze, le fobie, le inutili paranoie, saprai da dove arrivano e, con tanta buona volontà e forza, potrai affrontarle e sconfiggerle. Ti accorgerai che è solo una parte imperfetta di me, qualcosa di cui puoi fare a meno. All’inizio non la vedrai, poi d’improvviso inizierai a incolparmi di avertela trasmessa, mi giudicherai, mi odierai e, infine, dopo un lungo percorso, forse mi perdonerai. Qualcuno ci riesce.
  • vero, il passato non si può aggiustare a proprio piacimento. Però, almeno, possiamo imparare dai nostri errori, così da non ripeterli, per non chiamare ogni volta in causa il destino che, in realtà, ci segue sempre un passo indietro e si ciba degli sbagli che lasciamo lungo la strada.c’è una cosa senza la quale famiglia, figli e casa diventano solo un guscio vuoto. La più importante di tutte, quella cui devi il massimo rispetto: la tua felicità».
  • «Scegli sempre con la tua testa». A ben vedere, è il suggerimento che più si avvicina al concetto di ricerca della felicità.
  • Diciamocelo: se c’è una cosa che fa proprio paura è la felicità. Non sai mai quando arriva. E, soprattutto, quando se ne va.
  • la vita è un insieme di piccoli episodi che poi si tramutano in ricordi, e se non siamo in grado di dare loro la giusta valenza vuol dire che non meritiamo di conservarne memoria. E senza memoria, che abbiamo vissuto a fare?
  • «Il perdono fa parte della vita di ognuno di noi» disse lui, «se non ci fosse, non esisterebbero gli errori. Tutti sbagliano, tutti perdonano. Il ciclo inizia presto. Già con i genitori. Un domani ti troverai a dover assolvere anche loro, anche tua madre.» «Lei non mi ha ferito» risposi fiero. «Lo ha fatto, Erri. Solo che non lo sai ancora.»
  • Non c’è nulla di esterno, nemmeno un figlio, nemmeno il più potente degli amori, che possa guarirti da te stesso. Solo tu puoi farlo, solo il tuo Io profondo.»
  • Ciascuno deve vincere da solo i propri demoni. Tu hai i tuoi e io i miei. Si tratta solo di avere pazienza e forse, alla fine, potrò dire di averla davvero scampata. Nel dolore, lo capisci subito, non puoi avere tutto e subito, devi imparare a essere paziente e a convivere con la sofferenza, sperando che il tempo curi tutte le ferite, anche se ne deve passare tanto, troppo, e intanto con lui passa anche la tua vita.»
  • Il fatto è che tutto ciò che non fai quando è il momento di farlo, te lo porti dietro come una zavorra per il resto dei tuoi giorni.
  • perché scegliamo spesso le persone sbagliate? Forse perché non scegliamo mai davvero l’altro secondo ciò che è, ma in base a quello che ha da donarci. Come a un’asta, la nostra vita va al migliore offerente.
  • La teoria di Renata Ferrara è molto in voga. Da più parti sento spesso dire che non bisogna avere rimpianti, che chi vive ancorato al passato non ha speranza nel futuro. In realtà credo che chi non ha rimpianti non ha mai avuto sogni. Ed è la mancanza di sogni a precludere un bel futuro. Io mi porto dietro la mia zavorra di rimpianti, le tante speranze accumulate e mai avverate, come quella di diventare fumettista, o di baciare Arianna. Anche avere un figlio è stata una speranza. La verità è che tra la speranza e il rimpianto passa un soffio. E in quel soffio trascorriamo gran parte della nostra vita.
  • Non avevo bisogno di foto per ritrovare Matilde, mi bastava ascoltare, chiudere gli occhi e aspettare che tutti quei piccoli rumori iniziassero a muoversi nella mia mente. Una piccola danza dei suoi gesti quotidiani. E ho capito che sono proprio loro, i piccoli gesti di ogni giorno, le abitudini, persino le ossessioni, a svelarti una persona. Le nostre minuscole e preziose cose sono visibili solo a chi ci osserva con attenzione, tutti i giorni. Sono il grande privilegio che concediamo a chi ci ama.
  • Chiusi gli occhi e mi sforzai di credere che a volte il passato viene a bisbigliarti qualcosa all’orecchio solo per aiutarti a cambiare il presente.
  • Chissà perché nella vita, più si va avanti, più si tende a eliminare qualcosa: prima i baci, poi le carezze, gli abbracci e, infine, le parole. Invece, bisognerebbe aggiungere. Sempre.
  • Tutti prima o poi feriamo e tutti veniamo feriti. L’amore, Erri, è pieno di gioie e momenti felici, di dolore e delusione. È come la vita, un’immensa fucina di pulsioni, alcune delle quali spiacevoli. Non fare come molti, che per non affrontare il dolore decidono di girare le spalle all’amore. Innamorati, soffri, piangi, disperati, urla, incazzati, tira calci, ma affronta le emozioni, vivile. Vivi. A ogni costo, ragazzo mio, a ogni costo.
  • l’amore, quello vero, non deve resistere al tempo, ma alle ferite.
  • «Ho paura di lasciarla andare, come ogni cosa della mia vita, del resto. Gli alberi abbandonano i frutti maturi al loro destino, io invece tengo tutto sui miei rami: relazioni sbagliate, rabbia, parole non dette, emozioni represse, e resto a guardarmi marcire poco alla volta.»
  • La dolcezza chiama dolcezza. Puoi anche disprezzare il mondo. Puoi anche sentirti in credito con la vita. Puoi anche pensare che nessuno meriti il tuo amore. Ma se incontri qualcuno che sussulta a una tua carezza, non puoi fare finta di nulla: devi smettere, almeno per un momento, di odiare.
  • La rabbia non è una cosa poi tanto stupida. Come la paura, serve ad agire quando è necessario, anzi a reagire, e le reazioni fanno nascere cose nuove, rompono equilibri. La rabbia che sa quale strada prendere ti porta sempre qualcosa di buono al suo ritorno.
  • le persone si incontrano, si piacciono, si amano, percorrono insieme un pezzetto di strada e, infine, si perdono, senza un reale motivo. O, forse, il motivo c’è, ed è quello di permettere nuovi incontri, diversi amori, altri inizi.
  • Le scelte che ti cambiano la vita spesso sono invisibili, si presentano d’improvviso ed evaporano in una frazione di secondo, lasciandoti stordito e con una strana sensazione addosso, come quando una parola dondola sulla lingua per un po’ e poi ricade nell’esofago, senza che il cervello riesca ad acciuffarla per tempo.
  • Credo che la mia poca assertività sia dovuta a una scarsa autostima. È che da bambino i miei genitori non mi lasciavano poi tanto spazio, non mi permettevano di dire la mia. Perciò ho imparato presto a restare zitto. Se durante l’infanzia ti continuano a ripetere che il tuo parere non conta un cazzo, alla fine cresci con questa convinzione.
  • la verità, a volte, si presenta mentre stai sorridendo o quando ti senti al posto giusto, e approfitta della tua ubriacatura per ricordarti che lei è lì già da un po’ e tu non te ne sei accorto, troppo impegnato a girare a zonzo pur di non scorgerne la disarmante semplicità e cioè che alla fine ti accorgi di avere tutto ciò che hai sempre desiderato a un solo passo da te. Trascorriamo la vita a rincorrere una mancanza, e a stento ci accorgiamo di tutto il resto che è ai nostri piedi.
  • Dicono che per cambiare la propria vita occorra un lungo percorso introspettivo, oppure il sopraggiungere di un evento esterno di grande forza. A me è arrivata la scrittura. Che, al contrario, è qualcosa di interno. Perché è sempre dall’interno che nasce l’energia che rompe il guscio, il bozzolo e libera la farfalla.
 


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