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22 ago 2017

Magari domani resto - Lorenzo Marone


Affrontare queste pagine significa lasciarsi inebriare dal profumo di salsedine, dai colori del mare al chiaro di luna e dalle note della musica di Pino Daniele. Ma anche dall’odore di fritto che entra dalla finestra, dalle urla dialettali che risuonano nei vicoli bui dei Quartieri Spagnoli, dalla miseria di una vita che a volte sembra offrire proprio poco. Napoli non è solo sfondo ma assume un ruolo centrale in questa storia, con le sue ombre e le sue luci. Come la protagonista, che le contraddizioni le incarna già nel nome: Luce Di Notte.

Luce è una “femmena” vera. Dove la femminilità non si misura dalla taglia di reggiseno ma dalla forza e dalla tenacia con cui lotta per sé e per i suoi cari, difendendo i propri principi, senza farsi mettere i piedi in testa. Spigolosa, schietta, indipendente. Corazzata con uno scudo di ironia per difendersi dalle tante difficoltà che la vita le ha già presentato.
Ma un giorno puoi alzarti e sentire che la vita da indossare è davvero troppo, troppo stretta. Un lavoro poco gratificante come galoppina di un avvocato viscido e trafficone. Un uomo con cui credevi di poter condividere il futuro e che invece se n’è andato, lasciandoti sola. Allora, forse, non sarebbe meglio prendere il coraggio a due mani, mandare tutto all’aria e andarsene all’inseguimento di sogni e avventure?

“Tu vuò 'na vita avventurosa, un lavoro appassionante, vuoi che nessuno ti dica mai cosa fare. Nun ce sta niente 'e male a combattere per essere felici. E' solo che ho paura che, mentre tu stai qui a lottare contro tutto e tutti, la vita ti sfili via di mano.”

Luce è alle prese con una scelta. E proprio mentre riflette, facendo riaffiorare brandelli di passato, nella sua vita entrano un cane trovatello, una rondine dall’ala spezzata, un vicino di casa paraplegico con cui condividere il pranzo e un bambino eccezionalmente educato, conteso da un padre camorrista e da una mamma volgare ma affettuosa, che combatte con le unghie per proteggerlo dalla delinquenza.
Ma allora sono davvero quelli che fuggono i più coraggiosi? Forse il coraggio invece sta proprio nel restare. Nel faticare ogni giorno con onestà. Nell’aggiustare le cose. Nel vivere la propria piccola, e a volte noiosa, esistenza, tra sbadigli e abitudini intervallate da qualche attimo di inaspettata bellezza e profonda emozione.

“Ci proviamo tutti a spiccare il volo, per poi, la sera, ripararci sotto le pergole dei nostri piccoli gesti quotidiani. Essere abitudinari non è così da sfigati. I bambini sono abitudinari. E i cani. Il meglio che c’è in giro”.

Lorenzo Marone ci regala ancora una volta un personaggio di grande forza empatica, di quelli che sanno fare breccia nel cuore perché, anche se eccentrici e un po’ sopra le righe, sanno parlare di noi. Perché nel groviglio di dubbi e incertezze, di finte corazze e debolezze, ci possiamo specchiare tutti. E quel senso di insicurezza e indecisione nell’indossare la propria vita non è una sensazione del tutto sconosciuta. Lo fa con la sua cifra stilistica. Orchestrando un coro di personaggi che ci raccontano le proprie storie, parlandoci di vita, di famiglia e di scelte. Filosofeggiando un po’, con tante digressioni e aforismi con cui a volte si fa prendere un po’ troppo la mano. Ma soprattutto, con una penna ricca di disarmante sincerità e tanta, tanta ironia.


Opinione inserita da lapis    27 Aprile, 2017     






Frasi da "Magari domani resto"
  1. Non sei tenuto a venerare la tua famiglia, non sei tenuto a venerare il tuo paese, non sei tenuto a venerare il posto dove vivi, ma devi sapere che li hai, devi sapere che sei parte di loro.
    PHILIP ROTH, Pastorale americana
  2. È che bisogna sedersi a tavola con il dolore almeno una volta nel corso dell’esistenza se si vuol entrare a far parte della ristretta cerchia di esseri “umani”.
  3. “Forse dovevo sposarmi e fare un figlio, come diceva mia madre.” “I genitori dovrebbero insegnare a rincorrere le passioni, non i progetti.” “Le passioni ti possono regalare anche un pizzico di felicità ogni tanto, i progetti mai. Anzi, spesso te la portano via, la felicità intendo. Perché ti inducono a spostare l’obiettivo sempre un po’ più in là”,
  4. “Devi cambiare d’animo, non di cielo...”
  5. “Credo di non star onorando il nome che mi porto dietro. Sono più ombra che luce ormai.” Don Vittorio si lascia andare a un breve colpo di tosse e mi pone la mano sul braccio prima di commentare: “E vabbuò, e che sarà mai, c’è bisogno anche di ombra ogni tanto, aiuta a guardare meglio le cose, ché troppa luce rischia di accecarti! E poi, se non esistesse il buio, non potremmo apprezzare la luce. C’è un detto africano che dice: dove c’è troppo sole, c’è deserto...”.
  6. “Ti sto dicendo che la vita è questa, alti e bassi, luce e ombra. Anzi, più si va avanti e più il rapporto cambia in peggio. Senti a me, che tengo una certa età, nun penzà tropp’ e continua per la tua strada, che tanto lei ti porta dove vuole e tu nemmeno te ne accorgi. Parlo sempre di lei, della vita”.
  7. “Sai che bisogna fare quando arrivano questi momenti nei quali ci sentiamo pieni di dubbi, insicuri e indecisi, e dove tutto ci sembra nero?”.
    Non rispondo. “Chiudere gli occhi e buttare giù un bel bicchiere di vino rosso.”
  8. È che non pensavo di saper mettere a letto un bambino, non pensavo che avrei mai rimboccato le lenzuola a qualcuno che non fosse mia madre, quando non sarà più in grado di farlo. Non pensavo che l’odore della pelle di Kevin potesse rubarmi un sorriso e che una stanzetta in penombra, illuminata solo da un lumino a forma di deposito di Paperon de’ Paperoni, piena di pupazzi dalle smorfie simpatiche, di fumetti e pezzi della Lego, avesse la capacità di farmi sentire così bene. Non pensavo che nell’infanzia degli altri si potesse scorgere un pizzico della propria e che una cameretta addobbata potesse trasmettermi la stessa sensazione di sicurezza che provavo da bambina, quando me ne restavo a letto a leggere con il lumino acceso e la voce della televisione in salotto che filtrava da sotto la porta.
    Forse perciò a un certo punto arrivano i figli: perché decorare la loro stanza con tanti stupidi animaletti serve a farti dimenticare per un po’, giusto un po’, che il tempo dei giochi è ormai finito.
  9. Mia madre si è premunita di insegnarmi il Padre Nostro, l’Ave Maria, il Credo e l’Eterno Riposo, ma non mi ha spiegato come ricambiare un gesto di affetto, come non fuggire con lo sguardo davanti a una persona che ti mostra il suo dolore, in che modo aiutare chi ti tende la mano. Per il resto ci ha pensato papà, anzi la sua assenza, che mi ha spinta a costruirmi questo strano personaggio schietto, forte, che non ha bisogno di nessuno e crede di non conoscere il dolore. Il tocco finale al mio caratteraccio l’ha dato, infine, Napoli, la mia città, anzi i Quartieri Spagnoli, il posto dove sono nata e cresciuta, che mi hanno costretta a diventare anche sospettosa, curiosa, e moralmente incorruttibile. Perché la verità è che in un luogo senza regole non bastano quelle della Chiesa a tenerti fuori dai casini, serve qualcosa di più profondo, un esempio, per esempio.
    Di esempi da seguire mio fratello e io, nonostante tutto, ne abbiamo avuti due: quello di nostra madre, che con il suo rigore, la severità e l’onestà ci ha insegnato a non fregare il prossimo, e quello di nonna Giuseppina, che con la sua ignoranza, la semplicità e l’esperienza ci ha insegnato a non farci fregare dal prossimo. Il risultato finale è una specie di femmina di bassotto incazzata che proprio non riesce ad accettare che qualcuno le pesti i piedi e che il più forte vinca sempre sul più debole. Più che la parola di Nostro Signore, insomma, è stata la vita stessa a forgiarmi, e lo ha fatto nel modo più semplice, guardandomi da lontano, come la madre con il figlioletto che gioca a qualcosa di pericoloso e non interviene. Perché al mondo si impara a stare anche e soprattutto cadendo, sbucciandosi un ginocchio e sanguinando. Nessuno ha mai assorbito nulla da un giorno di quiete.
  10. La vita è un continuo cambiare abitudini, amicizie, modi di fare e di pensare, ideali, amori, addirittura fede, tuttavia quando poi ti ritrovi per caso dinanzi a una vecchia abitudine, solo allora capisci quanto ti sia mancata, quanto ti abbia marchiato la pelle senza che tu te ne accorgessi. Non dico che occorra restarvi legati per sempre, anche perché alla lunga può trasformarsi in una zavorra pesante da portarsi appresso, dico solo che questa tovaglia preparata con cura, il piatto di pasta e patate, mi hanno fatto capire che ci sarà sempre un posto per me nel mondo finché qualcuno mi farà trovare qualcosa di pronto sulla tavola.
    […]Tutti bramiamo una vita di grandi avventure, amori impossibili, sogni da inseguire e idee da far valere. Tutti moriamo dalla voglia di lanciarci a braccia aperte nel mondo per mostrare le nostre capacità, per farci dire che valiamo qualcosa, per succhiare le attenzioni altrui e trovare un senso a questa cosa immensa eppure così piccina che chiamiamo vita. La sera, però, tutti torniamo a casa e ci mettiamo comodi sul divano, ad aspettare che qualcuno infili i piedi freddi sotto le nostre gambe o ci dica che è pronto in tavola. Non le chiamerei semplicemente abitudini, ma un modo per rendere il cielo sopra di noi meno imponente, per sentire di avere un posto dove bastano i nostri soliti piccoli gesti quotidiani a far funzionare le cose. Essere abitudinari non è poi così da sfigati. I bambini sono abitudinari. E i cani. Il meglio che c’è in giro.
  11. Alleria si alza a sedere e mi lecca la mano. Chino il capo e incontro i suoi occhi dolci. A volte mi domando come sia possibile sentirsi soli su questo cavolo di pianeta che ospita miliardi di specie, che straborda di vita, di esseri animali e vegetali, insetti e persone. E invece è proprio così, siamo tutti continuamente alla ricerca di qualcuno che ci accompagni lungo il percorso, spinti dal desiderio di trovare l’amore eterno, che sia quello di un figlio, un compagno o una madre, e nemmeno ci accorgiamo che, a volte, basta un amico che ti fa trovare la tavola imbandita e un messaggio sulla porta di casa, o gli occhi lucidi del tuo cane che ti fissano senza un perché. Non parlerei d’amore, una parola abusata, parlerei piuttosto di “attenzioni”. Quello che ci manca, tutto quello che può farci sentire meglio, è racchiuso in questa piccola parolina che un cane conosce molto meglio di noi: attenzioni.
  12. Se all’epoca fossi stata solo un po’ più scetata, le avrei detto che è inutile star lì a recriminare, che anch’io avrei tanto desiderato l’amore e la presenza di un padre, invece la vita sa essere fetente, cazzuta e ribelle, e mica se ne frega delle tue preghiere e di cosa speri, l’amore te lo regala se ne ha voglia. E quando dice lei.
  13. Quella storia mi ha insegnato due cose: la prima è che un “no” ha molta meno forza di un “pensaci”, e la seconda è che, forse, il mondo sarebbe un posto migliore se si perdesse un po’ più di tempo appresso alle richieste dei ragazzi, anziché balbettare poi di fronte a quelle ormai insolute degli adulti.
  14. Niente da fare, per tutto il periodo che sono stata con il bastardo e avevo i capelli lunghi e cotonati, la borsa a tracolla, lo sguardo dolce e il sorriso pronto, nessuno mi ha degnata di uno sguardo, quando ho deciso di smetterla di essere gentile con la vita, ché tanto lei gentile con me non lo è mai stata, allora sono iniziati a spuntare spasimanti e corteggiatori di ogni tipo. È che forse gli altri si accorgono di quando riesci a mettere un po’ di forza negli occhi e allora si avvicinano per capire se ce n’è un pizzico anche per loro.
  15. Qualche volta capita che rientri in casa con uno sbadiglio, ti lavi odiando la tua immagine riflessa nello specchio, ti spogli imprecando sottovoce per l’ennesima giornata sprecata e poi, proprio quando sei lì, pronta ad accusare la tua vita, fosse anche solo per un istante, succede qualcosa di inaspettato, una bolla di bellezza che scoppia a un metro da te e ti irradia il viso, e ti porta a credere ancora per un altro po’, fino al prossimo sbadiglio, che non basteranno tutte le rotture di cazzo, i dolori e le ingiustizie del mondo per farti smettere di amare la tua piccola e a volte noiosa esistenza.
  16. Non puoi scappare per sempre, dovresti averlo capito ormai. A un certo punto, ce sta poco ’a fa, devi girare le spalle e guardare dritto in faccia il tuo passato, altrimenti quello continua a seguirti come un cagnolino al quale hai dato un pezzo di pane. A volte, Antò, andare non serve a nulla.”
  17. “Vedi come sono gli uomini, Cane Superiore? Capaci di stare due ore a fissarti il culo senza provare scuorno e pronti, invece, a fuggire come bimbi impauriti di fronte a un’emozione”.
  18. E poi c’è la casa, che è quella dove sono cresciuta, nella quale dovrei sentirmi a casa, per l’appunto, e invece non è così, perché i luoghi che lasciamo cambiano, proprio come cambiano le persone, e quando li rincontri non sono più gli stessi, e allora ti muovi al loro interno con cautela e malinconia, la stessa che provi quando ti capita di incappare in un vecchio amico per strada e ti accorgi che non sai più cosa dirgli.
  19. Che buffa la vita, ti impegni con tutta te stessa a sembrare diversa da tua madre, anno dopo anno, e poi, a un certo punto, una mattina qualsiasi, ti guardi allo specchio e rivedi il suo volto, le sue stesse rughe, e gli occhi stanchi. E allora sorridi alla tua immagine riflessa per ritrovare l’antica sensazione di fiducia che provavi a un suo sorriso.
  20. Comme ven’, accussì c’ha pigliammo, avrebbe detto la nonna.
  21. Perché qui a volte mi sembra di essere un pesce rosso in una boccia, giro in tondo e un po’ alla volta inquino la stessa acqua che respiro.”
  22. Non c’è fuga per quelli come me, forse anche come te, per quelli che credono che ci sia sempre qualcosa di più bello di là dall’orizzonte.”
    “In realtà una specie di fuga esiste anche per noi inguaribili sognatori incapaci di crescere e affrontare le difficoltà della vita. Una possibilità di salvezza l’abbiamo. Possiamo scegliere la strada più semplice, che è sì la più noiosa e lontana da ciò che siamo davvero, ma, almeno, ci tiene al riparo da troppi problemi. Oppure fare altro...”
    “Cioè?”
    “Be’, non possiamo decidere da dove partire e dove fermarci, però almeno ci è dato di scegliere il tragitto da percorrere. Possiamo prendere la strada principale, quella che tutti ci consigliano, la più trafficata, sicura e comoda. Oppure, come dicevo, svoltare nel primo sentiero sterrato e andarcene per i campi, nel sottobosco, fra la sterpaglia, il fango e gli insetti, con la possibilità di incrociare qualche squilibrato (o dovrei chiamarlo illuminato?) e perderci, e passare una notte all’addiaccio. La scelta è la nostra, la tua, la mia. Io, per quel che mi riguarda, ho preferito fare il brigante.” “Il brigante?” “Sì, hai capito bene, la mia vita è stata un brigantaggio, come nell’antichità, ho evitato le strade più affollate, quelle che prendono tutti, e mi sono inoltrato nel sottobosco. E ti assicuro che è stato molto più divertente.”
  23. Al mondo, cara mia, esistono due categorie di persone: quelle che fanno e quelle che non fanno. La prima tipologia è composta da individui in genere egoisti, balordi, bugiardi e lunatici, nella seconda, invece, ci sono quelli che tutti vorrebbero avere come amici o mariti, soprattutto mariti, quelli che spiegano agli altri come essere felici e vivere appieno la vita, ma che della propria non hanno il coraggio di cambiare neanche il tragitto per recarsi al lavoro la mattina. Questi sono quelli che mettono su famiglia e, a volte, se hanno fortuna, si arricchiscono, però poi muoiono prima, perché tutta la vita non vissuta e solo spiegata si accumula nell’organismo, giorno dopo giorno, finché poi esplode con un infarto, un ictus, un cancro. E tanti saluti all’uomo che insegnava agli altri a essere felici.”
    “Io non insegno, racconto la mia esperienza, è diverso. Non si può spiegare agli altri come vivere, né si può trasmettere la voglia di essere felici. La felicità è una cosa piccola e intima che ti costringe ad averne cura e rispetto anche quando non ti va, quando sei stanco e vorresti solo stravaccarti sul divano. È una moglie petulante che ti parla mentre guardi la partita”.
  24. Mi fa arrabbiare chi vive nel passato, chi sta sempre lì a cercare di non perdere nulla, chi pensa ad ammassare oggetti e ricordi appunto. È inutile imballare le cose, serve solo a riempirti di roba vecchia che porta polvere. E la polvere, si sa, è fatta di pelle, unghie, capelli, è piena di vita, certo, ma di quella già disfatta.
    Il passato sembra sempre il contenitore perfetto della felicità, ma è un abbaglio, un inganno.
    Ogni tanto, soprattutto la notte, quando non riesco a dormire, allungo la mano nel buio a cercare la scatolina e la immagino piena di quei nastrini colorati con i quali lei mi intrecciava i capelli, piena di Big Babol sparse, di Tic Tac all’arancia, di monetine ancora calde del suo seno, di crocchè fumanti e di biscotti, e quasi mi sembra che i ricordi odorino di quei pomeriggi estivi, di fragola, arancia, frittura, crema, umidità, caffè, mare e tufo. Quasi mi sembra di essere stata felice, come se quella piccola marmocchia con le trecce fosse stata una bambina come tante e non un essere che combatteva ogni giorno per non mostrare alle sue due donne e al mondo intero ciò che portava dentro, sotto gli occhi vivaci, le ecchimosi che si erano formate a furia di ricevere tante piccole botte dalla vita. Quei lividi oggi mi costringono a essere come sono. Perché purtroppo possiamo donare agli altri unicamente ciò che abbiamo ricevuto, e chi ha avuto solo ’nu muorzo non ha anche voglia di star lì a fare lo schizzinoso, e allora scaraventa sul tavolo tutto il puculillo messo da parte, senza fare distinzioni fra bello e brutto. Che piaccia o meno.
  25. “Sai perché si chiamano Quartieri Spagnoli?” domanda più a se stesso. “Sono nati nel millecinquecento, per volere del re spagnolo, che li fece costruire per ospitare i soldati che dovevano reprimere eventuali rivolte del popolo.”
  26. Allora sorrido, anche se dovrei piangere; passi una vita a costruirti un’armatura, maglia dopo maglia, in modo da potertene andare in giro al sicuro, e poi basta un francesino che, guarda caso, fa l’artista di strada proprio sotto casa tua, a infilzarti nell’unico punto che avevi lasciato scoperto.
  27. I bambini sentono tutto, si accorgono di tutto, di una parola fuori posto come di un’intonazione sbagliata, o un gesto avventato. Incamerano e incapsulano il piccolo dispiacere spesso senza nemmeno accorgersene, restando muti, cosicché lui, il dispiacere, va ad aggiungersi ai tanti altri e nel tempo contribuisce a formare quella specie di gomitolo di delusioni che gli adulti amano chiamare maturità.
  28. La mia vita è da sempre un percorso a ostacoli su una strada lastricata di sampietrini che alle prime piogge scoppiano come tanti popcorn, che se stessimo in un paese normale, in un mondo normale, i buchi sarebbero tappati subito, perché è da sempre istinto dell’uomo cercare di colmare i vuoti. E, invece, qui i buchi non si chiudono, e sei costretto a scansarli, e così impari la regola base di questo luogo a dir poco unico: e cioè che nessuno camminerà un passo davanti a te per sigillare le voragini che ti si presenteranno sul cammino, dovrai essere tu a saperle scansare, una dopo l’altra. E se pure alla fine dovessi finirci dentro, fa niente, perché, in ogni caso, tramite un sampietrino saltato, la vita ti ha insegnato non tanto a schivare i fossi, quanto a saper ammortizzare la botta.
  29. Mentre parlo, mi passo ogni tanto le mani sul viso, le infilo in tasca, punto gli occhi dappertutto tranne che nei suoi, mi dondolo e sorrido senza un valido motivo. Capita quando ti trovi a che fare con l’empatia, che è una cosa strana che neanche so spiegare e che, però, è molto simile alla magia, e ti avvolge e ti rende tutta scema di fronte a un altro, incapace di reggere il suo sguardo e starlo ad ascoltare, e allora pensi che ti hanno fatto proprio sbagliata, con due braccia che non sai mai dove mettere e i piedi che a starsene fermi nemmeno ci provano. Dopo qualche secondo di silenzio, dichiaro: “Va be’, allora ciao... mi ha fatto piacere conoscerti...”.
  30. Ogni esistenza, a pensarci, è un intricato e complesso ecosistema nel quale vivono in equilibrio nevrosi, dispiaceri, frustrazioni, novità belle e brutte, traumi, dolori, piccoli momenti di felicità e tanti di noia, eppure alla vista degli altri la nostra vita appare sempre uguale. Ai miei occhi le giornate di quel signore scorrono tranquille come sempre, con un bel cane a fargli compagnia, la moglie che lo aspetta sul divano davanti alla tv, una figlia dall’altra parte della città che fra poco telefonerà per dare loro la buonanotte e fargli ascoltare la voce del nipote preferito. E invece mi sa che anche il placido padrone di Dorothy a volte si sarà trovato ad affrontare una tempesta e la sua vita che scorre lenta si sarà tramutata in acqua che vortica e rompe gli argini. Forse accadrà domani, la settimana prossima, forse è già accaduto, accade tutti i giorni, dentro ogni portone, e io non ne so nulla, noi non ne sappiamo nulla, e continuiamo a salutarci da lontano come se la vita stesse lì ad aspettarci, come bastasse sollevare una mano per dire a chi ci conosce che tutto va bene, tutto è sempre uguale.
  31. Quando arrivano i bilanci, giungono anche i rimpianti, e con questi c’è poco da scherzare... sono bravissimi nel farti sentire un vecchio da buttare!”
  32. “Io penso che mentre noi stiamo lì a menarcela con la storia di cercare la nostra strada e inseguire i sogni, di vivere davvero la vita che vogliamo e mille altre idee un po’ banali, il nostro istinto, l’Io, chiamalo come ti pare, lavora per noi e ci indica la via. Certo, anche lui ogni tanto sbaglia, si fa indurre in tentazione da comodità e agi quando in realtà vorrebbe imboccare sentieri più impervi, ma il più delle volte ci azzecca. Insomma, spulciando questi famosi elenchi di cose fatte e non fatte, spesso ci si accorge che sono pochi i motivi per cui pentirsi davvero.”
    “E fai bene, perché tutto quello che abbiamo fatto è quello che potevamo fare in quel preciso momento della nostra vita. Io credo che alla fine quello che noi siamo davvero è scritto in quello che è stato il nostro percorso. Tutte le altre cose presenti negli elenchi che scriviamo, semplicemente non erano parte di noi, sono falsi obiettivi che mettiamo lì per sentirci migliori. In realtà potremmo benissimo non prendere mai una decisione nella vita e lasciarci guidare dall’istinto. Anzi, sono certo che saremmo tutti un po’ meno stressati se ci abbandonassimo al flusso delle cose senza avere la presunzione di poter cambiare questo o quel percorso. E sono sicuro che vivremmo la stessa identica vita che abbiamo vissuto. Quello che siamo è dentro di noi, il resto è tutta sovrastruttura. Superfluo. Siamo maestri nel circondarci di cose superflue.”
  33. Io poggiavo titubante la mano sull’addome di mamma e restavo ad ascoltare finché arrivava una botta, e poi un’altra, e sotto i polpastrelli sentivo proprio il movimento di un gomito, o di un ginocchio, e quasi mi sembrava di poterlo toccare, e mi chiedevo come fossero i suoi capelli e di che colore gli occhi. E quando mamma si allontanava, restavo lì, inebetita, di fronte alle mie domande insolute, senza capacitarmi di come un essere umano con mani, ginocchia, piedi e tutto il resto, potesse vivere in quella specie di bolla piena d’acqua (come l’aveva chiamata papà) a spingere tutto il giorno per farsi un po’ di spazio. Forse è lì che si forma davvero il carattere di una persona, in quell’istante che a noi sembra tanto gioioso e che, però, per chi è all’interno, non lo è per niente, perché lui è intento a scalciare con tutta la forza che ha per ritagliarsi uno spazio. E chissà che non sia proprio allora che si impari anche a non farlo, a non scalciare per reclamare intendo. Chissà se tutto quello che non riusciamo poi a essere nella vita, una volta usciti da lì, sia riconducibile a quel fatidico momento, alla nostra prima vera lotta per l’affermazione.
  34. “Anch’io mi chiedevo come fosse Kevìn, quando era int’ ’a panza. Speravo che fosse bellillo, ma nun potevo sapé che veniva fuori stu capolavoro!” “È buffa questa cosa che si inizia ad amare una persona senza neanche conoscerne il volto. È l’unica volta che accade nella vita.”
  35. “Sai qual è la verità, Cane Superiore? È che per cercare di dimenticare le cose brutte del passato, rischi di dimenticare anche quelle importanti”.
  36. Avevo diciotto anni e lui diciannove. Si chiamava Nicola, ma io lo chiamavo Nic, perché a quell’età mica capisci che un nome è solo un nome, e la normalità ti sembra qualcosa di spaventoso dalla quale fuggire se vuoi succhiare la vita e non fartela scivolare addosso come ha fatto tua madre e prima ancora tua nonna, e come fanno i tuoi vicini, che si infilano furtivi in ascensore appena ti vedono apparire nell’androne, o i compagni di scuola, che se ne stanno sui banchi con il gomito a tenergli il viso assonnato, senza comprendere che è proprio lì, in quell’istante di noia, che la vita sta sfuggendo loro di mano, incapaci di capire che quello che vorrai essere un domani lo stai decidendo oggi, e che se non inizi a dissodare la terra e a seminarla, ti troverai ben presto con un campo di sterpaglie.
  37. Lei mi scrutò: “Nenné, che è stato? Qualche problema è successo, è così?” disse. Non terminò la frase che scoppiai in un pianto dirotto. Allora mi fece sedere al suo fianco, mi abbracciò e mi carezzò la testa sprofondata nel suo grosso seno. Ricordo ancora le sue dita callose impastate di farina, l’odore di pastafrolla impregnato nel grembiule annodato all’addome, e ricordo pure le carezze che durarono un tempo infinito, le mani che mi lisciavano i capelli e prosciugavano il mio pianto. Cominciai a parlare dopo qualche minuto, anche se le lacrime e il muco mi costringevano a fermarmi ogni due parole. Lei ascoltò in silenzio, proseguendo ad accarezzarmi la testa, e quando ebbi finito si scostò e andò ai fornelli per mettere una teiera sul fuoco, attese che l’acqua bollisse, quindi immerse un infuso di camomilla e travasò tutto in una tazza che mi porse con il solito sorriso pieno di amore. La guardai e mi sentii protetta, sicura che nulla al mondo sarebbe mai potuto accadere finché ci fosse stata lei al mio fianco, quella donnina alla quale non era bastata una vita per imparare a leggere decentemente, e che però, ora lo so, una vita le era bastata per capire che se vuoi avere a che fare con l’amore devi avere coraggio, e se non ce l’hai, ti tocca trovarlo, perché se c’è un solo elemento, su questa piccola palla piena di odio che chiamiamo Terra, capace di mostrarci la bellezza del tutto che ci attornia, questo è l’amore.
  38. “Ti devi lasciare andare alla vita e non scegliere tu per lei, perché domani potresti pentirti.”
  39. Per un piccolo periodo ho avuto due cuori che pulsavano al mio interno. E non ci ho fatto caso. E non ho avuto il coraggio di proteggerli. Per un piccolo infinitesimale scorcio di vita ho covato la bellezza. E non ho saputo tenerla dentro di me.
  40. “Abbiamo sempre una scelta,” conclude allora dopo un attimo. Non posso lasciargli l’ultima parola, persino se avesse ragione. Carico la molla e comincio: “Avvocà, ’sta bella frase new age andrebbe bene per uno come Manuel Pozzi, non per chi è cresciuta into ’a ’nu vico ammuffito, senza nessun esempio da seguire. Io ho avuto la fortuna di averne due di esempi. La verità è che dovremmo innanzitutto poter scegliere dove nascere. E da chi. È una questione di attimi, se capiti nella panza sbagliata, hai già il destino mezzo segnato”. L’avvocato vorrebbe replicare qualcosa, ma non lo lascio parlare e aggiungo: “Il fatto è che fra una vita spesa male e una appena appena decente, passa uno stuzzicadenti. E per pescare lo stuzzicadenti giusto, caro avvocato, ce vò ’o mazzo, nulla più!”.
  41. si diventa adulti imparando a vedersela da soli, fin da bambini, perché più vai avanti e più sulla strada incontri gente che ti spinge, ti prende in giro e se ne approfitta. Però è anche vero che non siamo tutti uguali, ognuno ha i suoi tempi, ognuno il suo trascorso più o meno traumatico, ognuno si sceglie la strada che ritiene migliore per uscire da quel grande imbuto che è l’infanzia. Ognuno ha il suo passo, e quel passo va rispettato. Chi resta indietro non va né aiutato, né sospinto, solo atteso.
  42. Nenné, senti a tua nonna che nun capisce niente, è meglio aspettare sempre qualcosa, l’attesa è comme ’a speranza, come un sogno, ti tiene in piedi. Quando hai finito di aspettare quaccosa, finisci cumme a me, ’ncopp a ’na seggiulella a guardare la vita degli altri senza provare più interesse per la tua”.
  43. Camorra è una parola che qui non si usa, non si può pronunciare. Qui al massimo si parla di Sistema, intendendo con questo termine un qualcosa di organizzato. Qui la camorra puoi anche far finta di non vederla, se ti riesce; lei ti cammina accanto, ti sfiora come una leggera brezza primaverile e ti sconcica un po’ i capelli. Distrattamente allunghi una mano ad acciuffare la ciocca ribelle per riportarla dietro l’orecchio, e torni alla tua vita. Perché tanto che puoi fare, prendertela con il vento?
  44. Perché, dio mi assolva, avrò pure la terza media e faccio la sarta, però ho capito che si perdona veramente solo e sempre quando non ce ne importa più niente. Tutti gli altri perdoni, ahimè, non sono veri, e fanno solo un sacco di danni. A me importa ancora di mia madre... come a te importa che tuo padre non ci sia stato.” Resto a guardarla a bocca aperta e per un attimo penso di rispondere che non è vero, che il perdono è un atto di coraggio e lo si fa prima di tutto per se stessi, che serve a voltare pagina e andare avanti. Solo che d’improvviso queste parole mi appaiono vuote e prive di significato e lei se ne deve accorgere perché sorride amara e conclude: “Si perdona davvero solo quando si smette di amare, Luce, senti a me. Perciò i genitori non li perdoniamo quasi mai”.
  45. Dei ricordi s’adda avé rispetto...”
  46. “Mi stanno sulle palle quelli che credono di aver compreso come gira il mondo. Io non so se andare o restare, cosa sia meglio per me, e solo per me, di certo non credo che chi resti, chi tenti di aggiustare le cose, chi si fa il mazzo tutti i giorni per cambiare il proprio piccolo pezzettino di mondo sia meno coraggioso di chi manda tutto all’aria!”
  47. Sì, sono una bimba che fa i dispetti e le linguacce, embè? È che celare i sentimenti è roba da adulti, io, invece, proprio non ci riesco e se amo qualcuno glielo devo urlare in faccia, e se lo odio e mi sento ferita, mi metto a frignare e faccio le ripicche. Non mi piace chi riesce a mantenere sempre e comunque un certo contegno, chi ama senza dirlo, chi scopa senza abbandonarsi, chi non urla di rabbia e si lascia corrodere all’interno, chi ricambia un abbraccio con una pacca sulla spalla. Bisogna essere adulti quando si ha a che fare con il coraggio, le responsabilità, l’educazione e il lavoro, ma quando si parla di sentimenti, mi sa che è meglio giocare a fare i bambini.
  48. sei un bambino eccezionale, e sono sicura che sarai un uomo altrettanto meraviglioso. Perché è proprio alla tua età che nascono e si formano le persone migliori, quelle profonde d’animo, che un domani saranno buoni compagni, mariti e padri. Sono semplici bambini come te, privati del diritto fondamentale di credere nella più bella delle favole, e cioè che la vita sia qualcosa di fantastico. Si dice che il dolore aiuti a crescere più in fretta, ed è vero, ma c’è una cosa che rende adulti ancora prima: la delusione. Tu, caro Kevin, come me, sarai un adulto sensibile e sempre un po’ infelice, perché la vita, purtroppo, ti ha tirato un pizzicotto un po’ prima degli altri.
    Le famiglie speciali non esistono, Kevin. Esistono le persone speciali.
    Con un po’ di fortuna qualche volta se ne incontra una. Ed è già tanto.
  49. Questa cosa dell’inciso non mi convince. Allora anche le cose brutte sono racchiuse in una parentesi, perché pure loro passano. Se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato, è che non esistono parentesi tonde o quadre, nessun inciso o intervallo, le cose, belle o brutte che siano, te le trovi all’improvviso davanti, quando vai a capo, e forse è una fortuna, perché altrimenti basterebbe evitare le parentesi per condurre una vita serena. Solo che a saltare gli incisi la frase si accorcia e giunge presto il punto finale.
  50. “Non credo che siamo solo quello che abbiamo vissuto. Il nostro trascorso può intaccarci fino a un certo punto, ma c’è una parte che resta sempre integra, sempre nuova, pronta a ripartire e a indicarci altre strade. È dentro ognuno di noi, anche se molti nemmeno sanno di possederla, e sta lì in attesa di essere utilizzata per qualcosa di straordinario.”
  51. Abbiamo bisogno di conservare un po’ del nostro percorso infantile, anche solo un ricordo che ci aiuti a trasformare la realtà in qualcosa di più romantico e colorato. Alcuni, ogni tanto, ci riescono, molti, invece, nemmeno ci provano. Solo pochissimi ne fanno una ragione di vita: sono i sognatori, quelli che la gente chiama pazzi.
  52. Mentre percorriamo all’incontrario il pontile, con le sagome arrugginite degli edifici della vecchia fabbrica che si stagliano di fronte, e alla nostra sinistra i lidi balneari ancora addormentati che danno le spalle al mare, ripenso alla grande storia d’amore vissuta da don Vittorio che in realtà non ha vissuto proprio un bel niente, e mi viene da chiedermi se sia sempre il caso di combattere per far avverare i nostri sogni o se non sia a volte più “romantico” accontentarsi di attendere con pacienza, come diceva nonna Giuseppina. Se non sia meglio, insomma, ubriacarsi di speranza e poi... vada come deve andare. “Uè, nenné, hai conosciuto la storia, però d’ora in avanti non ne parliamo più, ché ogni volta mi viene un groppo alla gola che non se ne va. Intesi?” Annuisco mentre spingo la carrozzina, anche se una domanda sulla punta della lingua ce l’ho. Vorrà dire che la terrò per me. Peccato, gli avrei volentieri chiesto se lui per caso abbia idea di dove vadano a finire tutte le vite che sarebbero potute nascere dagli amori non vissuti, da questi incontri appena sfiorati. Se esista, da qualche parte, un luogo magico abitato da storie mai iniziate.
  53. Poi, per un istante, il silenzio si è impadronito della stanza. E in quell’attimo tutto mi è stato chiaro, e ho capito che il tempo divora ogni cosa, anche le famiglie, che se ti allontani, quando torni, mica è detto che trovi tutto come prima, e che devi essere pronto a saper riempire i silenzi che, d’improvviso, si innalzeranno tra te e il tuo passato, te e le persone che sono state importanti.
  54. “Io mi so’ fatta vecchia, sono testarda, orgogliosa, certo, e a volte nun capisco i vostri discorsi, le scelte che prendete, però alla fine sto sempre dalla vostra parte, schiaffatevelo in quella capa tosta che vi trovate!” e ha guardato me. “Una madre, pure se non capisce, abbozza, e sta dalla parte dei figli. Sempre.”
  55. E, infine, permettez-moi di brindare à cette femme spéciale à mon côté”, e si gira a guardarmi, “pleine de soleil dans les yeux, di mare nella bocca, di scirocco nei capelli. A te”
  56. Se pure fra qualche giorno dovessi andartene, io sarò contenta lo stesso, perché dove sta scritto che le cose devono durare per sempre, non è così, quello succede solo nelle favole, e io nemmeno da bambina ho potuto credere alle favole. Qui le cose durano quanto durano, una farfalla vive qualche giorno, un’orchidea appassisce dopo tre mesi e un cane muore a quindici anni. Così è e nessuno può farci niente. Perciò mi farò bastare quel che sarà, ma in quel che sarà, puoi star certo, metterò tutta me stessa.
  57. E oggi ti dico, vi dico: non partite solo per fuggire, e non restate solo perché non avete il coraggio di prendere nuove strade. Siate sempre aperti ai cambiamenti, scegliete un obiettivo e puntatelo, però sappiate che se pò semp’ fallì, che ca nisciuno è perfetto.

 






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