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11 lug 2010

Piccole stelle del cielo

Piccole mie, dove siete ora? Su quale stella vibra la vostra anima ascoltando il mio dolore? Dove siete volate e perchè siete venute quaggiù per poi tornare indietro? Per due mesi mi avete fatto sognare, mi avete fatto preoccupare perchè dovevo preparare una camera per due gemelle, prepararmi ad affrontare le notti in cui se una avesse pianto, l’altra avrebbe urlato, capire come fare a gestire i vostri bisogni simultanei, come distinguervi l’una dall’altra. In quei due mesi avete riempito i miei pensieri e la mia anima. Mi avete regalato sorrisi di soppiatto quando al lavoro teneramente nel cuore pensavo a voi. E nessuno sapeva che voi c’eravate, tranne me e la mamma. Sorrisi d’intesa celavano voi due, così piccole che non vi si poteva vedere, così minuscole che non vi si sentiva ancora. Solo noi sapevamo che eravate lì e che prendevate giorno per giorno vita e forza.
Poi all’improvviso non ci siete state più. All’improvviso c’è stato solo il vuoto, sono finiti i sorrisi, gli occhi si riempivano di lacrime appena vedevo un bambino o una mamma incinta. Mi sentivo impotente, quando vedevo vostra madre con lo sguardo fisso nel vuoto, davanti alla finestra, perso in qualche posto dove nemmeno io potevo raggiungerla o quando ero io ad allontanarmi col pensiero e sentivo la mia anima sollevarsi verso il cielo per raggiungervi, pregarvi di tornare giù a parlare con i medici per dire loro che c’eravate, che eravate lì e volevate vivere, che non ci stavate a mollare tutto. Alla fine hanno avuto ragione loro: il vostro battito non c’era più, voi non c’eravate più. Eravate due sacchetti vuoti, privi di vita perchè eravate volate da qualche altra parte e da lassù stavate spiando il nostro dolore, le nostre lacrime, la nostra incomunicabilità, il nostro sentirci falliti e responsabili per quello che soltanto ora riesco a pronunciare con il suo nome: “aborto”.


Ricordo come fosse ieri, ho davanti una fotografia che indelebile mi accompagnerà per sempre nella mia vita, rendendomi più dolce soltanto il pensiero della morte, di quel giorno in cui io saprò dove siete state tutto questo tempo, perchè ve ne siete andate, cosa avete provato a stare lontano da noi e vederci piangere. Era il 17 ottobre del 2007 ed io avevo accompagnato vostra madre in ospedale. Il medico aveva detto che non c’eravate più, forse non c’eravate mai state. Capita. Sono gemelli (ma io sono sempre stato convinto che foste due bambine). Non tutte le gravidanze partono bene. Molte sono quelle che non vanno avanti. La natura decide. A volte non si fa in tempo ad accorgersene, ma una vita è nata ed è morta. Queste erano due vite, dottore, erano due. Avevamo già deciso di cambiare la casa, di spostare un muro per avere una camera più grande. Dottore, dove sono le bambine? Chi me le ha prese? Adesso portiamo sua moglie in sala operatoria. Lei stia qui. Certo io sto qui. Io aspetto e penso alle mie bambine. 

Ecco, ora stanno addormentando la loro madre. Ecco, ora il medico forse sta passando davanti a lei e le sta facendo una carezza. Adesso le dice che le invia l’anestetico in vena. Amore mio, chiudi gli occhi, stai tranquilla, io sono qui ad aspettarti. Vorrei essere lì con te e stringerti la mano, ma non posso entrare. Non sono un medico. Forse è un po’ colpa mia. Forse se fossi stato medico ti avrei aiutata. No, non tremare. Non è tua la colpa. Lo hai sentito il dottore? Il dottore ha detto che capita, è la natura. Non sei stata tu. Tu sei stata brava, le hai portate dentro, le hai nutrite e hai continuato a farlo anche quando non c’erano più. Sono ancora dentro di te. Addormentati, piano amore mio. Piano, chiudi gli occhi non sentirai nulla. Stai tranquilla. 

Hai freddo? Dottore, la copra, non vede che trema? Mi faccia entrare dottore, lei ha bisogno di me. Sono anche le mie bambine quelle che sta strappando dal corpo della loro madre. Dottore, faccia piano. Sono le mie bambine e lei è mia moglie. Non doveva andare così. Dovevano nascere il 25 maggio 2008, dovevano nascere e dovevano trovare una camera tutta per loro. Con gli altri due nostri figli abbiamo sempre taciuto. Cosa avremmo dovuto dire loro? “Sapete bambini: potevate avere due sorelle. Sono venute al mondo ma non sono mai nate, puf! Volate via, così come sono venute.” Come lo spieghi dei bambini? Come spieghi loro perchè? Cosa rispondi quando ti chiedono “Chi è stato?”? Rispondi “E’ stato Dio. Ci ha detto: guardate bene cosa ho qui per voi? Guardate, guardate ... et voilà, adesso non ve le dò più. Avete mangiato la mela dall’albero del bene e del male. Volete essere come me e allora io non ve le dò più. Li tengo in cielo questi due angeli. Voi non li meritate.” 

No, No Dio non si fa così, porca miseria, ma chi ti credi di essere? Non si fa un regalo così bello per riprenderselo indietro. Non si fa un dono così bello per poi dire “Scusate mi sono sbagliato!” Dove è la tua clemenza? Dove è il tuo amore? E’ questo? Dove sei, Dio, adesso che il mio cuore è straziato? Dove sei adesso che io ho bisogno di un sostegno? Sei lassù che te la ridi: “Ah ah guarda che belle queste due stelline, potevano essere tue e invece me le tengo io. Stanno meglio qui che laggiù!” Già forse avevi ragione tu... ma, sai, dove c’è amore per due bambini c’è amore anche per quattro. Mi hanno insegnato che più dai amore e più l’amore si moltiplica. Mi hanno insegnato che il seme frutta cento volte tanto. Mi hanno insegnato che l’amore vive di quello che dai non di quello che ricevi. E questo quello che avrei cercato di insegnare alle due stelline, quando sarebbero nate. 

Io sono solo un semplice padre, nè un padre perfetto nè un padre ideale. Ho i miei difetti ed i miei pregi. Ma non dovevi togliermele solo per questo. Nessuno nasce genitore e con ogni figlio è diverso. Tu forse non lo sai, Dio. Tu ne avevi uno solo, eccezionale. E tu stesso sei eccezionale. Dunque che ne sai dei nostri sforzi per tirare su i figli, per alleviare loro i dolori quando sono troppo forti e per avere la forza di lasciarglieli quando sono sopportabili, perchè imparino che al mondo non è tutto bello, che nella vita ci sono momenti in cui arrivi a toccare il cielo con le dita e momenti nei quali sei talmente in basso che l’inferno stesso ti sembra lontano. Dottore le stia vicino, perchè Dio oggi non c’è. E’ in sciopero, ci ha lasciato soli ed io sono lontano da lei, quindi per favore le stia accanto. Le spieghi che non è colpa sua. Le stia accanto al risveglio, quando si sentirà vuota, quando sentirà che sarà tornata di nuovo sola, che quel doppio battito sarà cessato per sempre e la nostra speranza con loro si sarà spenta.

Le stia accanto dottore. Lei forse immagina quello che mia moglie sta provando. Forse per lei è normale. Un raschiamento. Termine tecnico e asettico che forse ti fa meno male. Ma in realtà dentro fa un male cane ogni volta che ci pensi, che ti rivedi davanti alla sala operatoria ad aspettare tua moglie. Dottore, la svegli piano, non le dica nulla, lasci che sia io a dirle qualcosa, con i miei occhi, con il mio amore. Va tutto bene amore, stai tranquilla. Io sono qui ma sono dentro quella sala. Ti vedo, ti sono accanto. Sono accanto a loro e le accompagno verso la loro stellina dove brilleranno per sempre, dove ci guarderanno ogni giorno e ci ameranno lo stesso. Perchè il loro spirito è nato e quindi non può più morire. E un giorno le ritroveremo amore, le ritroveremo davvero. 

Dottore, come sta mia moglie? Si sta svegliando? Posso esserle accanto? Certo, vada pure. Ti tengo la mano, apri gli occhi e mi guardi. I tuoi occhi hanno perso qualcosa, odorano di disinfettante e puzzano di un vuoto marcio, lo stesso vuoto che dentro probabilmente proverai tu amore mio, piccolo amore mio, ma io sono qui. Le ho perse anche io amore, non solo tu. Siamo insieme. Mi guardi ma non mi vedi. Cosa guardi, dove sei? Sei su con loro, con le nostre stelle. Provo a sorriderti, ma sei di ghiaccio. Sei svuotata della tua anima, si vede. Quegli occhi che hanno sempre espresso tutto, fosse gioia e dolore, ora non provano più nemmeno quello. Sono assenti. Ma non è come essere dietro ad un vetro opaco e non sapere cosa esso nasconde. I tuoi occhi sono trasparenti e ci vedo benissimo che te ne sei andata, con loro. Raschiate le loro vite. Raschiate le nostre. Raschiata quella famiglia che avremmo dovuto essere. Raschiata la gioia che avevamo. Raschiate le risate davanti ai pacchi di Natale, davanti alle uova di Pasqua, davanti alle onde del mare. Raschiate le nostre sciate in montagna, le nostre serate casalinghe. 

Nulla di tutto questo sarà mai come prima. Tornerà un giorno qualche sorriso. Tornerà un po’ di allegria, soprattutto perchè non puoi negarla ai nostri figli, a quelli che ci sono, che c’erano e continueranno ad esserci, perchè loro non ne sanno nulla e si aspettano me e te a casa, come eravamo fino a stamattina quando siamo usciti, uniti. Invece capisco dai tuoi occhi che tu non ci sarai. Che tu te ne sei andata e difficilmente ti ritroverò. Forse se sarò bravo potrò recuperare una parte di me. 

Amore mio, le mie lacrime le ho finite e anche tu le tue. Si sono asciugate aspirate dal dolore che abbiamo provato. Non c’è dolore più forte, non c’è paura più grande del ritrovarsi vuoti, al punto di partenza. Zero, si riparte. Signori in carrozza. Dottore, come sta? La trovo assente? E’ l’effetto dell’anestetico. Deve aspettare un po’ che si riprenda. Già l’anestesia non ci avevo pensato... No dottore, non è l’anestesia, mia moglie non c’è. Questo è un corpo soltanto, non c’è mia moglie. La sua anima dove è? Le stia vicino. Certo che le sto vicino. Io sono un bravo marito, le sto vicino, ma mia moglie dov’è? Da allora è stata via mesi, mesi interi. Giocava con i bambini, rideva con loro, usciva con loro in bicicletta, chiacchierava con le altre mamme fuori da scuola, al parco, lavorava. Poi la sera, quando non doveva più fingere si metteva seduta a terra in cucina, davanti alla finestra e guardava le stelle. 

Io non ho avuto la forza di starle vicino e Dio mi perdoni per questo. Lei era lì con il pensiero altrove. Si accendeva una sigaretta e rimaneva lì ore a pensare, la vedevo sorridere ogni tanto quando una stella brillava più alta e la sentivo di notte pregare Dio che le desse la forza di andare avanti. Si dice che Dio concede i dolori nella misura in cui ognuno di noi li sa sopportare. A noi è toccato forse per questo un dolore così grande? Io non riuscivo a piangere. Lei piangeva e a me dava quasi fastidio il suo pianto. "Reagisci", le dicevo. Non puoi continuare così. E invece lei continuava, lei ogni sera aveva il suo appuntamento con il cielo, la sua piccola preghiera che sussurrava a fior di labbra. Piccole stelle del cielo

Forse a quest’ora sareste tra le mie braccia se Dio vi avesse lasciato nel corpo nel quale vi aveva posto. Forse a quest’ora sarei in ospedale, davanti ad una sala operatoria dalla quale sareste uscite in braccio ad un’infermiera, invece che in un sacchetto di rifiuti organici da inviare ad un laboratorio. Un mese dopo ci avevano comunicato che sì, eravate voi. Non erano cellule diverse da quelle di due piccole stelline. Riprovateci, sì riprovateci. Riprovateci a fare cosa? Solo il pensiero di un altro aborto mi terrorizzava. Altre speranze andate in fumo, un’altra sala operatoria, un altro medico, un’altra vita raschiata. 

Riprovateci? No, grazie.

1 commento:

  1. Le lacrime mi impediscono di proseguire, sospendo per un momento la lettura cercando di recuperare dentro di me la forza di smettere di singhiozzare. Ora posso riprendere, ma il dolore che mi hai trasmesso si è infiltrato nella mia anima, turbandola profondamente.

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