Titolo originale: Lo que esconde tu nombre
Le cose importanti sono quelle che poi ti rimangono involontariamente in testa. Una giornata di sole, un buon pranzo, una passeggiata al tramonto […] finché il tempo non passa non sai cosa è stato importante nella tua vita.
Le recensioni
Lo que esconde tu nombre, quello che il tuo nome nasconde: il titolo originale del libro di Clara Sánchez suona oscuramente minaccioso, a differenza di quello in italiano, “Il profumo delle foglie di limone”. Molto più adeguato alla trama del libro: la caccia a due criminali nazisti che si nascondono dietro l’innocuo aspetto di anziani turisti che si scaldano le ossa al sole delle spiagge spagnole.
Ci sono due voci narranti nel romanzo, le voci di due personaggi lontani l’uno dall’altro per età, sesso, esperienze di vita. Julián è un uomo anziano scampato ai campi di concentramento nazisti, dove era stato internato come prigioniero politico. Ora vive a Buenos Aires. Arriva nel paesino spagnolo perché ha ricevuto una lettera dall’amico Salva, suo compagno a Mauthausen, adesso in una casa di riposo sulla costa spagnola. Dentro la lettera c’era un ritaglio di giornale con una foto di due membri della comunità norvegese in Costa Blanca. L’uomo e la donna della foto sono invecchiati rispetto a come li ricorda Julián, ma perfettamente riconoscibili: sono Fredrik e Karin Christensen che continuano a riapparire negli incubi di Julián e di Salva.
Sandra è poco più che trentenne, un anellino al naso, ciocche rosse nei capelli. È incinta, ma non è certa di voler sposare il padre del bambino. È venuta a stare per un po’ di tempo nel villino estivo della sorella. Un giorno accusa un malore sulla spiaggia, e viene soccorsa da Fredrik e Karin. Inizia così un’amicizia improbabile tra la giovane Sandra e quelli che fanno di tutto per presentarsi come “nonni sostituti”.
I vantaggi per Sandra sono evidenti: la villa dei norvegesi è splendida; lei viene pagata per fare la dama di compagnia della vecchia Karin; inizia a fantasticare di poter diventare l’erede dei due vecchi. Gli scopi dei Christensen nel coltivare l’amicizia della spagnola sono molto più ambigui; ad un certo punto nella mente di Sandra affiora il ricordo del film Rosemary’s baby… È chiaro, a questo punto, che Sandra, nella sua ingenuità (diciamo pure nella sua ignoranza), può diventare un aiuto inconsapevole per Julián, che sente di avere il dovere di proseguire da solo nella caccia ai nazisti, seguendo la traccia dell’amico Salva che è morto prima che lui arrivasse. Pur sentendosi in colpa, Julián sfrutta l’intimità che Sandra ha con gli ex aguzzini (un criminale può mai diventare un ex criminale?), fa di lei la sua infiltrata, la mette più di una volta in situazioni pericolose per ottenere prove certe che i Christensen siano veramente le persone che lui pensa; per verificare che non siano i soli nazisti che si sono rifatti una vita al sole godendo scopertamente delle ricchezze rubate alle loro vittime.
Il profumo delle foglie di limone ha un ritmo velocissimo, è impossibile interromperne la lettura, presi dalla curiosità di sapere cosa stiano tramando i vecchi nazisti e quale sia la composizione delle fiale che si iniettano, con il fiato sospeso per i rischi che corre Sandra nella sua incoscienza, seguendo le orme di Julián che ormai non si accontenta più di aver trovato “solo” due vecchie conoscenze e che diventa un altro “nonno sostituto” per l’amabile Sandra (la quale pare conoscere molto poco la storia d’Europa nel ‘900).
Il lettore più sensibile, tuttavia, può finire per risentirsi un poco nell’essere letteralmente irretito dalla narrazione. Perché una parte lucida della sua mente avverte che la vicenda dei cacciatori di nazisti sfrutta la fascinazione del Male che si è attuato nel modo scientificamente programmato che sappiamo, e fa sembrare una eccitante avventura la ricerca dei colpevoli
Il mio commento
Condivido la recensione che ho qui riportato, per i commenti sulla scelta del titolo italiano, che mi sembra fuorviante rispetto alla trama e molto meno bello, e per l’impossibilità di interromperne la lettura – presa dal desiderio di scoprire il seguito. Tuttavia questo libro mi ha deluso: mi aspettavo di più. Un momento importante della nostra storia è stato reso un po’ banale, non ha approfondito a sufficienza il rancore, la rabbia di Julián e non ha evidenziato a sufficienza lo stato emotivo degli ex nazisti, alla ricerca di una motivazione per vivere che potesse essere degna di sostituire gli ideali di un tempo.
Eppure alcune pagine salvano il romanzo, rendendo giustizia alla storia. Si tratta di un racconto di Julián e del confronto faccia a faccia tra Julián e Sebastian, il capo della congregazione di ex-nazisti. Pagine bellissime, nelle quali viene fuori la storiavissuta davvero da entrambe le parti... da alcune delle parti, ovviamente.
Julián
[…] Io e Salva avevamo visto molte cose a Mauthausen. Avevamo visto scheletri che camminavano e mucchi di corpi nudi riversi sulla neve del cortile, una strana specie di branco color rosa cenere. I nostri corpi si erano trasformati nella nostra vergogna. I crampi allo stomaco per la fame, le malattie, la mancanza di intimità. Tutto si riduceva al corpo. Non era facile elevarsi al di sopra delle proprie spoglie mortali, così un giorno sì e uno no pensavo al suicidio. Era una forma di liberazione: mi faceva sentire libero l’idea che tutta quella sofferenza avrebbe potuto avere termine, che se lo avessi voluto avrei potuto metterle fine io stesso. La morte era la mia salvezza. Hitler era pazzo e ci aveva fatti affogare tutti nella sua mente malata. Vivevamo nel cervello ripugnante di quell’uomo, dove succedevano le atrocità più mostruose, e c’era solo un modo per uscire di lì: sarebbe dovuto morire lui o sarei dovuto morire io. Non sopportavo l’idea che una realtà meravigliosa come la vita, con il suo sole, i suoi alberi e le sue canzoni, fosse qualcosa di terrorizzante. Ma non volevo che mi uccidesse la sua follia. Avrebbe dovuto essere un atto della mia volontà, e se fosse stato possibile l’avrei fatto guardando il cielo. Così un giorno, mentre ero seduto accanto alla baracca, tirai fuori dalla tasca una pietra che avevo preso alla cava e mi tagliai le vene. Qualcuno mi vide, lo disse a Salva e lui per l’appunto mi salvò. Non so come riuscì a far smettere di sanguinare i tagli, ma mi curò e mi disse che, qualunque cosa fosse successa, anche se eravamo in una situazione disperatam anche se venivamo umiliati ed eravamo la razza peggiore di schiavi, la mia vita era mia. Certo, non era una buona vita, non era una vita decente né degna di essere vissuta, però era la mia, nessuno poteva viverla al posto mio.
Julián e Sebastian
Mi presentai formalmente. Gli dissi che ero un repubblicano spagnolo che era stato a Mauthausen durante l’ultimo anno di guerra e che dopo mi ero arruolato in un’organizzazione dedita a dare la caccia ai nazisti. Mi ascoltava con molta attenzione. […]
- Mi dispiace che abbia passato tutto questo – fece lui.
- Davvero? – domandai con il suo stesso tono, un tono da conversazione normale, addirittura amichevole. A qualcuno saremmo sembrati vecchi conoscenti, il che in qualche modo era vero.
- Perché dovrebbe dispiacermi? Io non mi sono mai proposto di far soffrire la gente. Lottavo per un mondo migliore. Il mondo migliora sempre perché alcuni prendono le redini e conducono gli altri. Il popolo generalmente non sa quello che vuole.
- Il popolo non voleva le stesse cose che volevate voi. Avete perso.
- Ha perso il mondo, la specie umana ha perso. Volevamo evitare la mediocrità, volevamo fare un salto verso l’eccellenza, e in molti casi ci siamo riusciti: molta gente ha beneficiato dei nostri sforzi. Ma è vero, abbiamo perso la guerra.
- Siete dei predatori, rubavate, vi prendevate gli sforzi e le capacità altrui. Rubavate la vita agli altri, anche se, chiaramente, non la chiamavate vita, lo chiamavate materiale umano.
Il mio tono non gli piacque, ma ci passò su. D’altra parte, non poteva fare altro. O quello o una scenata nel suo ristorante preferito.
- Il controllo a volte è sfuggito, ma mai con il mio consenso.
- Uccidere milioni di persone per lei è lasciarsi sfuggire il controllo?
Pensava mentre masticava il mollusco dell’ostrica.
- Lei sa chi sono? Non si sarà confuso per caso?
- Non credo. Fredrik e Karin Christensen, Otto Wagner, Alice, Anton Wolf, Aribert Heim o il Macellaio di Mauthausen, Gerard Bremer, Sebastian Bernhardt e qualche altro. E’ una buona storia, questo paese diventerà famoso. I suoi uomini, Martín, Alberto e gli altri non potranno fermare la stampa.
La stampa non ci spaventa.
- E la giustizia?
- Cosa può farci la giustizia a questa età?
- Non mi riferisco a questa giustizia, ma a quella che fa sì che ci sia un equilibrio nell’universo, che ci sia la giusta quantità di elio perché possiamo sopravvivere e la proporzione necessaria di bene e male, di sofferenza e piacere per poter vivere. Voi avete rotto questo equilibrio.
- Ora – disse sporgendosi verso di me per quanto poteva – è facile giudicare, perché abbiamo perso, è andata male. Ma si immagini per un momento se avessimo vinto. Si sarebbe ottenuto l’equilibrio di cui parla, perché l’equilibrio è ordine, bellezza e purezza.
- Ti ho cercato per molti giorni, avevo bisogno di parlarti. Ho bisogno che tu mi capisca.
Sebastian annuì e non gli sembrò opportuno prendere un’altra ostrica. Mise le mani sulla tovaglia di lino.
- Non c’è più tempo per fare marcia indietro. E’ il momento della verità. Voglio sapere se capisci la mia sofferenza, la mia umiliazione, il mio dolore per essere stato ridotto a materiale umano.
Mi guardò negli occhi, mi prendeva molto sul serio.
- Non mi fa piacere che lei abbia sofferto, ma in momenti storici di trasformazione profonda della realtà non c’è tempo per separare grano dal loglio.
- E il tuo dovere era trasformare la realtà, fare in modo che la realtà fosse un’altra.
- Esatto. Ho sempre pensato di essere venuto al mondo per cambiarlo. La mia vita aveva un obiettivo, una missione, altrimenti sarebbe stato assurdo nascere. Il nazionalsocialismo mi ha dato l’opportunità di agire.
- Avevi un mondo ideale in testa
- Sì, un bel pianeta.
- Nel campo dove sono stato io non c’era nessuna bellezza. Ti sembrano belli gli esperimenti che Heim faceva su di noi?
- Non abbiamo avuto il tempo di vedere i risultati. E’ il risultato quello che conta. Magari in un altro momento della storia…
- Né tu né io ci saremo…
- Una volta visitai il tuo campo – disse passando anche lui al tu per la prima volta. – La primavera dell’anno in cui dici di essere stato lì aveva nevicato molto.
Era terribile condividere qualcosa con quell’uomo, ma io ero uno di quelli che poteva a malapena alzare la pala quella primavera.
- Non pensai alla vostra sofferenza, non pensai neanche a voi. Vi vedevo senza pensare, le cose stavano così. Facevamo parte di un sistema, di un’organizzazione. Io portavo l’uniforme delle SS e voi quella a righe dei prigionieri. Eravamo dentro un ordine stabilito, impossibile da rompere. Non c’era niente a cui pensare. Avevamo raggiunto un equilibrio, capisci?
- E ora cosa pensi? Il mondo è cambiato senza di voi.
- E’ stato un duro colpo perché sono assolutamente convinto che la società si sia sbagliata. Sono convinto che ora sarebbe più perfetto.
- E capisci che vi odio e che desidero vedervi soffrire più di quello che ho sofferto io in questi ultimi giorni della vostra vita?
- Dovrei capire che sto per essere morso da un cane rabbioso?
- Ma io non sono un cane. Io non ti morderei, farei ben di peggio.
- Quello che ho fatto a te non l’ho fatto per motivi personali, ma per ragioni superiori che vanno al di là del bene e del male. Per questo tu ti comporti come un cane e io no.
Parlava sul serio, era convinto di quello che diceva. Tutti loro si erano aggrappati a idee e programmi per non ammettere le loro colpe.
- Non senti nessuna responsabilità per tutti quei morti, per quei milioni di morti ammazzati?
- La colpa, i rimorsi e il pentimento frenano il progresso dell’umanità. Provi molti rimorsi quando squartano una vacca, quando tosano una pecora per prenderle la lana? Se si scorge con chiarezza l’obiettivo e il cammino per raggiungerlo e quell’obiettivo è globalmente buono, come si dice oggigiorno, allora non ci sono dubbi.
- E credi che io dovrei capire te?
- Sarebbe quasi impossibile. Tu sei stato dalla parte delle vittime.
- Quello che mi sembra impossibile è che non ci sia stato nessuno fra voi che non abbia provato rimorso per aver partecipato a quelle atrocità.
Stette a pensare qualche minuto. Non aveva più caffè e prese un po’ di champagne.
- Quasi nessuno prova rimorso per ciò che ha fatto, ma rimpianto per ciò che non ha fatto e che morirà senza aver fatto.
- […] Non so se dici la verità, ma se non la dici a me adesso l’impronta che lascerai su questo mondo sarà sempre evanescente. Non sarai mai stato del tutto reale.
Annuì piegando leggermente la testa. Stava prendendo molto sul serio la nostra conversazione.
- Non hai tutti i torti. Ora, bene o male, siamo invisibili. Nessuno ci vede, a parte te ovviamente.
- Se adesso mi metti contro tutti i tuoi – dissi – che tu abbia fatto quel che hai fatto in nome di una causa maggiore sarà solo una bugia. Se mi uccidi sarà per un fatto puramente personale, perché vi ho scoperti e ho messo in pericolo la vostra vita.
Annuì di nuovo. Non sapevo se ciò significava che mi avrebbe ucciso o che avevo ragione, così aspettai un segnale.
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