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14 apr 2011

Lo scrittore

Primo Capitolo
Eva era seduta con le spalle alla sua scrivania, al quarantesimo piano di uno dei grattacieli di Manhattan. Guardava lo spettacolo di New York sotto le stelle in una delle più splendide serate che la natura potesse offrire.

Si dondolava sulla sedia a cinque razze, avanti ed indietro, come se fosse su un’altalena. Si dondolava ed ogni volta che andava in avanti fremeva per le vertigini, davanti al vuoto totale che si apriva sotto di lei.

Il suo sorriso era un ghigno. Aveva ottenuto quasi tutto dalla vita. Se lo era preso, arraffato, spingendo con le unghie dentro la carne dei suoi rivali, mordendo con i denti fino ad affondarli oltre la pelle degli avversari. Ora era in una posizione dalla quale poteva difficilmente essere spiazzata. Socia di uno dei più famosi studi legali di New York, con un incarico prestigioso presso la School of Law della Grande Mela e collaboratrice di varie associazioni studentesche, che ne facevano un’indiscussa autorità in materia di legislazione al femminile.

Quanto le era costato tutto questo lo sapeva soltanto lei. Ma soprattutto era impagabile l’aver raggiunto tutto questo a dispetto dei suoi insegnanti, a dispetto dei suoi familiari, a dispetto degli amici, che in lei vedevano solo una ragazza brutta e cicciona, che non aveva diritto né di esistere né di aspirare a qualcosa nella vita.

Quella vista sulla città più importante degli States la ripagava delle sofferenze, delle umiliazioni, del dolore che aveva provato da giovane. Ricordava quando guardava New York dalla collina dove abitava, seduta nel suo giardino, su una altalena che poteva ospitare soltanto lei e sulla quale nessuno osava sedersi, se c’era lei. Fin da bambina si era sentita isolata dal mondo, quando le compagne di scuola le sussurravano che “puzzava” e quindi non poteva fare parte del loro piccolo comitato di giochi. Da ragazza, nessuno la invitava ad uscire, o ad andare ad una festa. Nessuno si fermava nemmeno a parlare con lei. Perfino Tom, per il quale il cuore le pulsava forte, la trattava come tutti, scansandola, ridendo di lei appena poteva.

Eppure nulla l’aveva fermata. Era andata avanti, aveva studiato, non aveva avuto nessuno scrupolo verso gli altri. Si era presa quello che le spettava ed ora poteva essere orgogliosa di sé. Se non fosse per un piccolo desiderio.

Il giornale era aperto sulla scrivania. La pubblicità mostrava il primo libro di Tom Crawford, quello che aveva raccolto il consenso di pubblico e critica ed aveva sfondato ogni classifica esistente. Sulla copertina aveva riconosciuto il volto di Kelly, la piccola smorfiosa Kelly. Se la ricordava ancora quando alle medie l’aveva palpeggiata tutta chiedendole se fosse omosessuale… «così, giusto perché non ti vedo mai con degli uomini… non si mai!» Se ne era andata ridendo e appena svoltato l’angolo aveva preso Tom sottobraccio e tutti e due le avevano fatto la linguaccia, scappando poi via.

Avrebbe comprato il libro. Lo avrebbe letto e poi gliela avrebbe fatta pagare. Sì, avrebbe trovato il modo di vendicarsi con Tom e con quella puttanella di Kelly.

Secondo capitolo

Kelly era addormentata profondamente, nonostante fosse mezzogiorno avanzato.

Era rientrata alle cinque di mattina da uno dei soliti party di Ken, quelli dove prendi un sacco di coca e stai su a farti sbattere da qualche produttore pur di avere una particina in un film di terz’ordine. Sapeva che quell’ultima volta non sarebbe stato necessario, ma aveva voglia di sballare con la coca. Tom non le avrebbe perdonato quella serata in più, non stavolta. Non stavolta, dopo che le aveva chiesto di sposarla. No. Stavolta avrebbero litigato e lei gli avrebbe detto in faccia quello che pensava di lui, che era un fallito, che il libro lo aveva scritto lei e che presto qualcuno del giro avrebbe scoperto che la faccia in copertina non era un bel viso di passaggio, ma era l’autrice stessa e così avrebbe potuto smetterla con tutti quei party frequentati da vecchi bavosi.

Non si accorse delle braccia che la sollevavano dal letto. La testa reclinata all’indietro, il corpo esposto nudo quando le lenzuola scivolarono in giù. Schioccò con la bocca e appoggiò la testa sul collo dell’uomo che la portava in braccio, annidandosi quasi come una bambina nell’incavo tra la testa e la spalla. L’uomo la depose in un sacco per coprirla, lasciandole appena lo spazio per respirare ed uscì da casa sua. Prese l’ascensore di servizio e arrivò dritto al piano dei garage. Aveva lasciato la macchina appena dietro la porta dell’ascensore, sì che nessuno potesse vederlo.

Prese le chiavi dalla tasca, momentaneamente lasciando cadere le gambe di Kelly a terra, aprì il portabagagli della macchina e vi depose il suo corpo quasi addormentato.

Mentre cercava di rialzare le gambe, Kelly si svegliò e nella nebbia che le offuscava il viso percepì qualcosa di storto. Cercò di rialzarsi su. Quando si sentì spinta all’indietro da una mano forzuta, Kelly cercò di urlare. La voce era flebile, quella notte aveva bevuto più del solito, ma lei spingeva aria fuori dalla bocca per gridare più che poteva e si dimenava per ostacolare l’uomo e attirare l’attenzione di qualcuno che fosse capitato lì per caso.

Riuscì a spingere le braccia fuori dal sacco e a farsi forza per alzarsi dal portabagagli. Ogni volta che lei si alzava, l’uomo la spingeva di nuovo giù. Un pugno la raggiunse e le ferì le labbra. Il sapore metallico si diffuse nella bocca, poi il buio. L’uomo era riuscito a richiudere il cofano dell’auto. «E’ finita» pensò Kelly.

Stava quasi per cedere al dolore che le montava dentro dal labbro, quando rivide la luce e davanti a sé scorse il volto della persona che non pensava di rivedere ancora nella sua vita: Eva Peacock.

- Ma guarda un po’ chi si vede… Kelly… Kelly Anderson… la piccola, smorfiosa Kelly Anderson…

- Eva?

- Sì, Eva… pensa un po’… Eva l’omosessuale…

- Ti prego Eva, tirami fuori di qui….

- Mia cara… il fatto che io ti abbia salvato da una morte sicura non vuole assolutamente dire che ti lascio libera senza prima divertirmi un po’ con te… che ne dici? Vuoi seguirmi da sola, con le tue gambine o ti lascio chiusa in questa bella macchina finchè a qualcuno non viene in mente di guardarci dentro?

- Eva, non scherzare…. Fammi uscire di qui!

- Allora? Mi segui docilmente?

- Sì Sì ti seguo, basta che mi fai uscire di qui…

Terzo capitolo

Eva l’aveva ripulita tutta. L’aveva tuffata in una vasca da bagno e si era presa cura di Kelly come Kelly non avrebbe mai immaginato. Il tutto era avvenuto nel silenzio più totale, Kelly leggermente stordita e Eva seriamente impegnata nel suo compito. Kelly si era vista le mani di Eva addosso, lavarla, strofinarla con un sapone dal profumo dolciastro, asciugarla con morbidi asciugamani di spugna. L’aveva profumata, le aveva messo in piega i capelli, poi l’aveva sollevata e l’aveva appoggiata sul divano.

Kelly non ricordava da quanto tempo qualcuno non si prendeva cura così di lei. Forse doveva tornare indietro a quando era piccola, ma nemmeno l’immagine di sua madre le ricordava quella dolcezza. Già… sua madre. Quella donna spigolosa che non mancava di farle pesare la sua nullità! Eppure qualcosa non le quadrava ancora. Si chiedeva perché. Perché Eva stesse facendo questo per lei, dopo che per anni Kelly l’aveva umiliata davanti a tutti i loro compagni. Non mancò molto tempo che iniziò a capire. Mentre le immagini da offuscate incominciavano a proporsi nitide al suo cervello, realizzò ciò che era intorno a lei. Mentre il fischio dentro le sue orecchie taceva, percepì il silenzio intorno a sé. Era su un divano, sì, ma intorno c’era un box di vetro. Sembrava quasi una cabina di regia, appartata dal resto del mondo per annullare i suoni.

Fu ad un tratto che sentì la sua voce.

- Kelly…

Si guardò intorno. Non vedeva Eva ma sentiva la sua voce. Intorno a sé solo un ambiente asettico e deserto. Dov’era? E soprattutto cosa voleva Eva?

- Dove sono? – chiese timidamente, quasi stesse ponendo la domanda a se stessa.

- Non avrai creduto davvero che io ti abbia salvato, piccola Kelly… credi ancora alle favole?

- Eva, dove sei? Non mi piace questo gioco.

- Ma non è un gioco, mia cara… O meglio… non per te! – e rise, di una risata che sapeva di pazzia – Cosa ti ricordi di me, piccola Kelly?

- Eva basta. Fammi uscire.

- Kelly, forse non hai capito… qui, oggi… sono io che detto le regole e la prima regola è che tu rispondi alle mie domande senza battere ciglio… altrimenti ti lascio urlare, soffrire, ti anniento e nessuno … mi ascolti? Nessuno sarà in grado di sentirti. Morirai sola, senza nemmeno il conforto di una persona accanto a te… vuoi questo?

- Eva come puoi pensare di cavartela? … Eva? … - le luci si spensero.

La stanza calò nel buio e nel silenzio.

Quarto capitolo

La luce si accese improvvisamente e Kelly strizzò gli occhi. Aveva dormito. Aveva mal di testa. Sicuramente quella pazza aveva fatto qualcosa per farla addormentare. Un sonnifero? No, non ricordava di aver bevuto o mangiato qualcosa, anzi! Il suo stomaco quasi brontolava… figurarsi!! E la sua bocca era asciutta, la gola riarsa sentiva il bisogno di bere.


Appena ebbe il tempo di riadattarsi alla luce, vide sul tavolino vicino a sé un bicchiere d’acqua ed un panino. Si avventò. Mangiò a grandi morsi, ma quei pochi bocconi se li sentì di nuovo subito in gola... Bevve, ma la sua gola non trovò ristoro.

Provò a parlare…

- Eva? Ci sei?

- Certo. Sono sempre qui. Dove vuoi che vada? Sto aspettando…

- Co… cosa?

- Che tu risponda alla mia domanda, piccola Kelly… non te la ricordi?

- No… Eva ti prego, fammi uscire. Ti giuro che farò qualunque cosa mi chiederai, ma fammi uscire di qui. Non resisto…

- Cosa ti ricordi di me?

Kelly non rispose. Mise il broncio come una bambina dispettosa che vuole farti cedere con il suo silenzio. Ma Eva non sembrava voler mollare...

- Cosa ti ricordi di me? Rispondi, Kelly…

- E va bene… ma poi mi fai uscire?

- Il gioco lo conduco io. Rispondi e basta. Cosa ti ricordi di me?

Kelly si arrese. Si stese sul divano e chiuse gli occhi, come se volesse recuperare davanti a sé tutti i suoi ricordi. «Adesso immagino di essere in uno studio di una psicologa» diceva tra sé e sé, come se cercasse un motivo, un beneficio per richiamare a sé il suo passato, lo stesso passato che aveva voluto dimenticare. Rimase in silenzio cinque minuti. Eva non parlava. Probabilmente la stava osservando. Ma da dove? Non aveva visto telecamere… in realtà non aveva guardato molto in giro… Si arrese e iniziò a parlare a se stessa…

- Io… io ho una immagine di te che non ho mai scordato. E’ la prima che mi viene in mente… Eri sulle scale della scuola. Credo fosse estate, forse uno degli ultimi giorni di scuola. Eri seduta sugli ultimi gradini, quelli più in alto, appena fuori dall’ingresso. Io ero arrivata in anticipo e a quell’ora praticamente non c’era nessuno. … Sì, nessuno se non te. Mi ero fermata a guardarti da giù, in fondo alla gradinata. Avevi una maglietta rossa con le maniche corte ed i jeans. I libri sulle ginocchia. Ed in mano un krapfen. Un krapfen di quelli tondi, pieni di zucchero fuori e di crema dentro. Lo avevi appena addentato. Lo zucchero era tutto intorno alla tua bocca. Masticavi con gusto. Dal pezzo di krapfen che avevi in mano trasudava una crema gialla chiara e tu prendevi ogni tanto con l’indice dell’altra mano un pezzettino di crema e lo mettevi in bocca e te lo succhiavi, alzando gli occhi per il piacere. Io… ecco, io quelle cose non potevo permettermele. Mia madre odiava i dolci e ci teneva alla linea in un modo che oggi qualsiasi persona giudicherebbe “malato”. Dovevo fare le colazioni sane, con frutta, yogurt e cereali. Qualche volta, se ero stata brava mi meritavo due biscotti, di quelli secchi, però. Mai una volta che potessi sgarrare. Anche la merenda… tu portavi le focacce, i panini con il salame o il prosciutto. Io ti invidiavo. Anche se forse tu eri da sola, ferma da qualche parte in giardino, sotto un albero… ed io ero con le altre amiche, beh, io ti invidiavo. A me era concesso un pacco di crackers e basta. Se avevo ancora fame dovevo tenermela fino a pranzo. Guai a mangiare qualcosa di diverso.

- Ma scusa… se avessi mangiato qualcosa di diverso come avrebbe fatto tua mamma a scoprirti?

- Forse non avrebbe mai potuto… Eppure quelle volte che per caso aveva scoperto che avevo mangiato un cioccolatino, un po’ di patatine… cose così insomma… beh, mi aveva lasciato senza cibo per un giorno intero. Solo acqua ed un po’ di pane… e botte, tante botte… Io… vedi io non mi azzardavo nemmeno ad assaggiare qualcosa che mi veniva offerto, per paura che lei conoscesse un modo per scoprirlo.

- Capisco perché sei così magra, allora…

- No… è stato molto peggio di quello che ti ho raccontato. Durante l’adolescenza alla fine ho trovato il modo per ribellarmi. Lei voleva che mi controllassi nel mangiare «perché le persone grasse hanno mille difficoltà nella vita e poi sono brutte, a vedersi, non hanno amici, tutti li lasciano da soli» ! Se ti vedesse… scoppierebbe… sai, lo so che sei diventata importante… li leggo i giornali…

- Sì.. ma non è di me che voglio parlare. Avanti…

- Ecco… lei voleva che io mi controllassi ed alla fine ce l’ho fatta talmente bene che sono diventata anoressica. Quel poco che lei mi dava, alla fine lo vomitavo, perché era un po’ come vomitare lei. Io non la sopportavo. Non so se fosse un modo per dimostrarle che ero più brava di quello che lei pensasse, addirittura controllandomi più di quanto lei mi chiedesse o se fosse un modo per punirla, riducendomi ad un mucchietto di ossa ricoperto di pelle secca.

- Come ne sei uscita?

- Oh no… non ne sono uscita… o meglio, sono stata molto male verso i diciassette anni. Sono stata in ospedale, ho saltato l’anno della maturità. Mi hanno curato ma appena uscita ho ripreso. Meno di prima… cioè mi limitavo fortemente ma qualcosa mangiavo. Mangiavo e mangio come un uccellino… ancora adesso. Odio il cibo. Odio tutto ciò che rappresenta. Hai visto prima? Avevo tanta fame che ho ingurgitato il panino, ma era più l’idea della realtà… Odio mia madre per quello che mi ha fatto. Anche se è morta da qualche anno, il dolore che ho provato per la sua morte non è riuscito a far sì che la potessi perdonare per quello che mi ha fatto. Era troppo per una bambina. E’ ancora troppo…

- E tuo padre?

- Mio padre… un uomo assolutamente vile, senza polso. La lasciava fare. Lui non sapeva come trattarmi, non sapeva come fare con me perché ero una bambina… si curava di mio fratello più piccolo, lo portava in giro alle partite di calcio, lo allenava, passava un mucchio di tempo con lui. Io soffrivo… perché lo adoravo! Lo guardavo come fosse un dio! E lo desideravo un po’ per me… Lui non c’era mai per me: io ero dedicata a quella madre secca nel cuore almeno quanto lo era anche nel fisico.

Kelly rimase per un attimo in silenzio. Poi si mise seduta sul divano e chiese:

- Posso avere un po’ d’acqua, per favore?

Le rispose il silenzio. Dopo un po’ le luci si spensero per qualche minuto, durante i quali percepì solo ad un certo punto una lieve brezza. Quando si riaccesero una bottiglia di acqua era sul tavolinetto affianco a lei. Si guardò in giro. Non aveva sentito nulla e si chiese se era la sua debolezza a non farle percepire il mondo che respirava accanto a sé oppure se era circondata da fantasmi. Decise che forse la prima opzione era quella più rassicurante. Si sdraiò e chiuse gli occhi per riposare.

Quinto capitolo

Eva si accese una sigaretta. Era pensierosa. Non si aspettava quel racconto da Kelly. Non era stato affatto appagante stare ad ascoltarla, udire quello che aveva passato e scoprire che dall’altra parte degli occhi blu e delle trecce bionde c’era tanta sofferenza. Si aspettava un resoconto di cose sprezzanti, di pensieri umilianti. Si immaginava che Kelly ridesse ancora di lei. Invece aveva davanti una donna che aveva vissuto un inferno ed era stata tanto forte da uscirne. Se l’avesse saputo all’epoca, forse le avrebbe offerto un pezzo della sua focaccia o le avrebbe dato il suo panino intero. Magari sarebbero anche diventate amiche e avrebbero affibbiato loro qualche soprannome indecente.

Si girò e la vide riposare. Il viso rilassato, ma il corpo in posizione fetale, quasi come se solo in quella posizione di difesa Kelly si sentisse tranquilla. Erano passate due ore. Accese le luci nel box e la chiamò. Doveva ricominciare. Sapeva di non poterla trattenere ancora a lungo.

- Kelly, svegliati. Devo farti un’altra domanda. Kelly? Kelly?

Kelly aprì gli occhi. Rimase un po’ perplessa prima di ricordarsi dove fosse.

- Eva, perché mi tieni qui? Fammi uscire… se vuoi parlare con me, parliamo lo stesso, non devi per forza tenermi segregata. Ti prego…

- Tom. Tom Crawford.

- Che c’entra Tom? Non capisco… Ti ha chiesto lui di portarmi qui? Quel bastardo…

- Tom. Parlami di Tom.

- Eva, per favore, liberami… te ne parlo ma liberami…

- Parlami di Tom.

- Tom mi è sempre piaciuto, ma se avessi saputo allora com’era davvero dentro, non penso che gli avrei fatto così il filo… Te lo ricordi, no? Piaceva a tutte… Lui, il bel ragazzo di buona famiglia, con il caschetto biondo e gli occhi verdi e i denti bianchi e la pelle liscia e morbida… A chi non piaceva? Forse solo a te! Gli ho sempre fatto il filo… seguivo le sue partite di calcio, passavo sotto casa sua centomila volte sperando di incontrarlo per caso. Lui, invece, non mi filava per niente. Mi diceva: «Bionda, gira al largo… a me piacciono le brune!» e poi me lo trovavo sotto casa a sbaciucchiarsi con Andreas, che aveva i capelli più biondi dei miei. Mi sentivo presa in giro, umiliata davanti ai suoi amici, eppure morivo per quegli occhi…

- Mi prendevi in giro, pensavi non mi interessasse nessuno dei ragazzi e mi dicevi che ero lesbica… ricordi? Era umiliante per me, soprattutto davanti a Tom…

- Era Tom che voleva così…

- Tom?

- Sì… mi minacciava di affidarmi a dei suoi amici che mi avrebbero fatto perdere la verginità se non facevo quello che mi diceva… e poi non mi avrebbe più voluto perché non ero vergine… io ci tenevo a lui…

- Senti che storie… a me una volta aveva detto che ti aveva scopato a tredici anni…

- No! No che non è vero…

- Oh sì… e quella volta entrò anche in spiacevoli dettagli…. “spiacevoli” per me, ovviamente… tutte cose che invece sembravano aver fatto piacere sia a lui… che a te!

- Non è vero niente… lui mi teneva alla larga. Un giorno, quando eravamo adulti, mi disse che si comportava male perché gli facevo paura… aveva paura di innamorarsi di me perché gli piacevo troppo e così mi teneva lontano o mi faceva fare delle cose strane così rideva di me invece di innamorarsi...

- Che stupidi gli uomini a volte… e come ci sei finita insieme?

- Una sera, quando avevo diciotto anni mi baciò e dopo una settimana eravamo fidanzati…

- E lo siete ancora…

- Non ho mai avuto il coraggio di lasciarlo… Adesso mi ha chiesto di sposarlo… ma io non voglio e non so come dirglielo… in questi anni si è rivelato ancora di più un uomo debole, vigliacco dalla cima dei capelli all’ultimo dito del piede. Egoista fino all’osso…

- E perché dovresti lasciarlo? Adesso è anche famoso… ha i soldi…

- Dovrebbero essere miei quei soldi…

- E perché carina? Perché “lo hai ispirato”? Nelle lunghe notti di sesso o in qualcuna delle orge che frequenti?

- Mi ha venduto, Eva… mi tratta come una puttanella di primo pelo. Mi ha mandato in giro per delle feste terribili dove mi hanno fatto di tutto…

- Beh, perché ci andavi allora, se erano così orribili…?

- Perché lo amavo… o credevo di amarlo e di fargli piacere… e poi perché minacciava sempre di dire tutto alla mia famiglia… mio padre ne sarebbe morto…

- Cosa sperava di ottenere lui, scusa?

- Voleva che gli accaparrassi un editore, uno di quelli che per il mio bel faccino, ma soprattutto per il mio bel culetto accettasse di pubblicargli il libro… il mio libro, poi!

- Come sarebbe il tuo libro?

- Quel libro l’ho scritto io… si sente fin dalla prima pagina che è scritto da una donna e quegli stronzi dei critici giù a dire che «Tom Crawford è riuscito a tirar fuori la parte femminile di sé». Mi ha minacciata quasi perché io non dicessi nulla…. Si è anche inventato che mi ama alla follia e mi vuole sposare. Tutto quello che ha, ma soprattutto l’idea di tutto quello che potrebbe avere gli ha dato alla testa e pensa di gestirmi come una qualunque cosa che gli appartenga…

- Come fai a dire che il libro è tuo? Chi vuoi che ti creda? Eh?

- Lo scrivevo nelle sere in cui ero a casa, con il cuore che faceva male… quelle nelle quali pensavo di lasciare lui e quella vita… Beh… io conosco ogni parola scritta ed ogni parola non scritta di quel libro… Lo … lo hai letto?

- No…

- E’ la storia di un omicidio nel mondo delle modelle… il giallo è solo una scusa per guardare dentro quel mondo di paillettes … c’è tanta sofferenza dentro e tutti dicono che traspare in un modo molto lirico… lui non ce l’avrebbe mai fatta a scriverlo… chi lo conosce lo sa… tutti i suoi amici sanno che non sarebbe stato capace di scrivere nemmeno la parola “The End”!

- Ma vedi un bel po’ il bel Tom Crawford di cosa è capace…. Ed io poi che pensavo che fossi diventata solo una puttanella di alto borgo e ti divertissi per quattro soldi a scopare con gente dell’età di tuo nonno!

- Se non lo facevo erano botte e minacce. Mi imbottivo di coca per non ricordarmi cosa succedeva in quelle serate. Me ne facevo un casino. Una volta sono finita perfino in ospedale… per tirarmi fuori Tom ha pagato una multa che non so nemmeno dove abbia preso i soldi…

- Non sei messa bene, mia cara…

- Cosa te lo faceva pensare?

- Idee da bambina, o ideali di donna che ho tentato di distruggere in questi anni. Mi hai aiutato ad avere successo, sai?

- Io? E in che modo?

Le rispose il silenzio, con l’eco del buio.

Non seppe dire quanto tempo rimase seduta, con quell’ultima domanda che riecheggiava nella stanza. Quando la luce tornò, Eva era seduta sul bordo opposto del divano. La guardò: era sfatta, grossa, con la pelle macchiata dal fumo, ma aveva due occhi vivi che non ricordava in lei.

- Mi hai aiutato a combattere. Dovevo dimostrare a me stessa di valere di più della piccola Kelly, che non doveva fare altro che sbattere gli occhi per avere quello che tutto ciò che io desideravo e non avrei mai avuto. Avevi un corpo da favola, avevi Tom. Ti ho seguita nella vita, sai? Avevi conoscenze, eri sui giornali… Non avrei mai immaginato cosa ci fosse dietro tutto questo. Ma non hai diritto di farti trattare in questo modo. Devi ribellarti…

- Lo so.. ma è difficile dimostrare che il libro l’ho scritto io… anche se quel libro è dentro di me, è la mia storia… In fondo è la mia parola contro la sua… è la parola di una puttana contro la parola di un giornalista stimato e ricercato da giornali di tutto il mondo. Vuoi che credano a me? A me che vendo io mio corpo?

- Torna a casa, Kelly. Al resto ci penso io, fidati.

Sesto capitolo

Tom aprì la porta di casa e vide Kelly vicino alla finestra del balcone. Era vestita di un abito bianco. Era magra, molto magra, ultimamente. Era preoccupato per lei, forse aveva ripreso a non mangiare. Doveva farglielo notare con discrezione. Sapeva che quello era un tasto pericoloso e dolente. Eppure era bella e quella bellezza lo accecava di gelosia.

- Ciao. Dove sei stata? E’ da ieri sera che ti sto cercando…

- Lo sai, no? Dal tuo amico editore…

- Devi smettere di vederlo. Oramai non serve più. O te ne sei innamorata?

- Non scherzare Tom…

- Beh, non serve più Kelly. Dagli il ben servito. Tra un po’ ci sposiamo. Non voglio che si chiacchieri in giro di mia moglie. Già ci sono abbastanza chiacchiere sui tuoi festini…

- Ti dà fastidio adesso, vero? Prima non ti dava fastidio…

- Certo che mi dà fastidio. Primo, perché nuocciono alla mia immagine. Sapere che la mia fidanzata si fa di coca e frequenta festini dove l’orgia è la cosa più sana che si possa citare mi dà fastidio. Non devi più frequentarli. E secondo perché sarai mia moglie e ti voglio tutta per me. Sapere che ti hanno scopata in dieci l’ultima volta non mi è piaciuto. Hai esagerato…

- Primo, perché nuocciono alla “tua” immagine? Secondo perché “mi vuoi per te”? Ma io non conto? Eh, non conto? Quello che provo io non t’importa? Non t’importa sapere che mi faccio di coca per dimenticare quello che succede a quei festini dove “tu” mi mandi… eh, te lo sei scordato? Te lo sei scordato, vero??... «Kelly, cara, Marco ti ha notata…. Mi ha detto che se vai stasera al party che ha organizzato forse mi lascia una pagina in bianco tutta per me sull’edizione di settimana prossima… che ne dici tesorucci, lo fai per me?»«Kelly, amore… è in città l’editore al quale ho spedito il libro… non possiamo perdere questa occasione»

- Ma l’ho fatto per te, tesoro… lo sai, quando il libro avrà scalato anche l’ultima classifica, denunceremo insieme che lo hai scritto tu… vieni qui…

- No che non vengo… ed ho deciso che vado oggi stesso dal tuo amico editore a dirgli tutto…

- E’ la tua parola contro la mia…

- Oh mi crederanno… so a memoria ogni frase di quel libro. So quante volte l’ho scritta e modificata… vuoi che non mi credano?

- Vieni qui, non fare la stupida…

- Lasciami in pace, Tom. Stavolta è finita. Hai abusato di me fin troppo ed io sono abbastanza cieca e stupida dal venirti dietro, non so nemmeno perché. Non mi piaci più. Sei solo un debole, un egoista, pensi soltanto a te stesso e me lo hai appena dimostrato. Scordati che io ti sposi… faccio le valigie oggi stesso e me ne vado.

- Tu non vai da nessun’altra parte, stronzetta da quattro soldi… senza di me non sei nulla!

- Questo lo credi tu… -

Non fece in tempo a finire la frase, che la raggiunse un pugno in pieno viso. Il buio le chiuse gli occhi e sentì il cervello galleggiare, come quando al mare da bambina giocava con suo fratello a restare sott’acqua, ad occhi chiusi, cercando di sentire soltanto il proprio corpo immerso nel liquido. Stavolta però, si rendeva conto di quanto fosse faticoso riemergere.

Tom rimase immobile di fronte al corpo di Kelly che si accasciava al suolo. Si sporse su di lei e la chiamò, senza ottenerne risposta. Cercò di rianimarla come gli avevano insegnato alle lezioni di Pronto Soccorso. Poi spostò il corpo vicino ad un armadio, intinse il dito nel sangue che era colato dal viso di Kelly e ne sporcò un angolo. Stava componendo il numero del Pronto Intervento, quando un dito sul telefono interruppe la comunicazione.

- Bravo Tom… Bravo davvero. Bel copione ti sei preparato… Una litigata, un involontario movimento e accidenti! Povera Kelly, ha sbattuto la testa ed è morta…

- Chi sei?

- Non ti riguarda… Vengo dal tuo passato e resterò nel tuo passato. Mi interessa solo che tu abbia il giusto compenso per come hai trattato questa ragazza… sai, ho imparato una cosa da lei: mai farsi dei film mentali sugli altri. Vale sempre la pena di conoscerli davvero, anche quando come, nel tuo caso, si rischia di avere una brutta sorpresa. Kelly era una ragazza bella e intelligente. Se lo avessi scoperto a suo tempo, forse le cose oggi sarebbero diverse… tu l’hai sottovalutata, sfruttata ed ora le rendi questo bel servizio…

Tom sgranò gli occhi quando vide che la donna stava avanzando verso di lui, con in mano una pistola. Il suo braccio si levò all’altezza del suo viso.

- Dimmi chi sei?

- Te l’ho detto. Non ti riguarda. Decidi tu cosa vuoi fare adesso della tua vita. Ti aspetta la galera, fidati! Parecchi anni di dolore… ho registrato tutta l’ultima conversazione che hai avuto con Kelly... Oppure puoi aprire quella finestra e catapultarti giù. Un attimo, un dolore per un infinitesimo di istante e poi non sentirai più niente… Scegli, tesoro…

Eva avanzava. Aveva portato tutte e due le due mani sull’impugnatura della pistola e quando Tom si era fermato, spalle alla finestra, si era fermata anche lei ed aveva caricato il colpo. Lo vide aprire la finestra. Tremava, lo si poteva capire guardando la mano che cercava di girare la maniglia dal senso sbagliato. Non ne ebbe alcuna pietà. Tom uscì sul balcone e salì sul parapetto in pietra. Guardava lei, con terrore, ma non guardava giù.

Mentre sosteneva il suo sguardo, appoggiò la pistola sul tavolino vicino al divano.

Il tempo di guardare di nuovo verso Tom ed Eva sentì lo sparò frusciarle nelle orecchie. Vide Tom indietreggiare e rimanere un attimo sospeso nel vuoto, prima di cadere, lo sguardo pieno d’orrore. Eva si girò e vide il corpo esanime di Kelly riverso per terra appena dietro di lei. Sorrideva. E di rimando sorrise anche lei. Poi aprì la porta, scese nell’atrio del palazzo, attraversò la strada e si fermò dal lato opposto a guardare le luci dell’ambulanza, la gente che si era accalcata, la polizia che cercava di montare un cordone per isolare il corpo di Tom.

Alzò gli occhi al cielo, si fermò e sospirò: «Lassù ti crederanno, Kelly, contaci!»


























































































































































































































































































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