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23 lug 2011

Il buio che non ti aspetti - Paolo Savini

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=623363

Chi, almeno una volta nella vita, non ha avuto paura del buio? E chi, almeno una volta nella vita, non ha pensato all’idea terrificante di essere sepolto vivo?

Le immagini che accompagnano il romanzo sono quasi surreali: buio, onde verdi, la sensazione di impotenza nel sentirsi vivo e nel non riuscire a muovere nemmeno un muscolo del proprio corpo. Una serie di onde verdi accompagnano lo stato vigile dell’uomo in piccoli flashback che descrivono la sua vita. La vita di un uomo che ha saputo conquistare un ruolo importante nel lavoro, ma nella vita è circondato da poche persone che davvero sembrano amarlo: una figlia, Debbie; una sorella Dorothy e qualche amico. Un mistero senza soluzione, che potrebbe condurre alla pazzia (“un buio speciale, disperato, incontrollabile ed invivibile”) e che avvolge i due terzi del libro, fino a quando una luce illumina la mente del lettore e lo guida attraverso quelle onde.



Il libro si muove attraverso  un dualismo tra passione e morte, “Dualismo che Empedocle aveva già individuato come fantasia cosmica nel 495 a.C. e che Freud aveva ripreso in termini di conflitto delle pulsioni, però biologiche nello stesso individuo”.

La passione cuce le pulsioni che hanno guidato la vita dell’uomo: il matrimonio con Helen, quello che viene definito “una cazzata”, dal quale nascono due figlie praticamente sconosciute, Rebecca e Carol; il matrimonio con Elizabeth, che sembra finalmente dare serenità al protagonista, fino a che la sua vita non è sconvolta da Nichole, una ragazza esuberante che gli regala momenti di alta eroticità; l’amore filiale di Debbie, che  non accetta di perdere suo padre soltanto perchè il matrimonio con la madre è finito; la presenza a volte solo dietro le quinte di Dorothy, il suo “angelo”; la passione che nasce lentamente per il suo romanzo, che lo porta a decidere di trasferirsi lontano dagli affetti di Boston per richiudersi in una piccola casa al mare; l’amicizia con Mattew, che rivela la sua natura solo alla fine del romanzo; infine il suo amore sincero per Madeleine, dalla quale si sente distante solo per età e che alla fine della sua vita gli regala un sentimento che sembra non aver mai provato.
La morte appare con le indimenticabili immagini del suo funerale, del buio, del gioco d’azzardo, della malattia, la consapevolezza matura di essere stato “strumento di sofferenza per tutti coloro che lo avevano amato” e rimane legata alla vita per quelle ondeggianti linee verdi che rimangono inspiegabili per quasi tutto il libro.

Il libro che l’uomo scrive sembra essere “questo” libro e questa sensazione è violentemente confermata alla fine, quando l’uomo conclude il suo romanzo e ne impila le pagine prima di mandarle all’editore. Una immagine di grande effetto (che non cito per correttezza verso chi il libro non lo ha ancora letto) sorprende il lettore e lo fa sorridere, sentendosi quasi preso bonariamente in giro dall’autore.
Particolarmente bella la figura di Madeleine, che nella scena del funerale è in disparte e non se ne capisce bene il ruolo. E’ la donna che regalerà all’uomo piaceri oltre la carne e sensazioni che addolciscono ed esaltano la sua vita.
Molto significativi i passaggi legati alla scrittura del romanzo, che esprimono “i tormenti e le indecisioni” dello scrittore che deve decidere “da che parte stare .

Una fine amara, ma in fondo, forse, l’unica davvero possibile.

Estratti


Non era più  una premessa come in altre occasioni ma solo un languido ricordo che si stava trasformando in rabbia.
Non aver paura della morte, fa meno male della vita. (Jim Morrison)
La morte ha in sé un fascino straordinario e irripetibile anche se nella vita capita di morire dentro e anche più volte. O almeno crediamo di morire, ma in realtà la vita ci aspetta per dispensarci altre sofferenze e soltanto quando la morte è definitiva smettiamo di soffrire.

[...] Non si era mai voltato verso suo padre. Non aveva trovato il coraggio di farl sino a quando, sospinto alle spalle da Dorothy, fu costretto ad avvicinarsi. Si muoveva come un automa, terrorizzato all’idea di vedere suo padre trasformato in cadavere. Si guardava intorno cercando l’energia che gli serviva ma della quale si sentiva svuotato. La trovò nella rabbia. Si sentiva umiliato dalla propria impotenza e reagì chinandosi di scatto con le labbra protese verso la fronte di suo padre ma non riuscì a controllarsi quando sobbalzò indietreggiando spaventato dal contatto gelido di quel bacio. E’ dunque questa la morte? –

Se lo chiedeva perché era terrorizzato. Aveva la sensazione di averla toccata.

La morte è spaventosa – si disse ricordando una frase letta nei quaderni di Anton Checov – ma ancor più spaventosa sarebbe la consapevolezza di non poter morire mai.
[...] Rimase in piedi in fronte alle lapidi alcuni minuti. Era incapace di pensare, era commosso e mai e poi mai avrebbe pensato che un giorno gli sarebbe capitato di chiedere aiuto a suo padre e a sua madre, soprattutto adesso che erano stati tumulati e non in grado di rispondergli.
Non aveva da chiedere beni materiali, non l’avrebbe mai fatto, né chiedeva rimedi alla sua salute visto che si considerava fortunato per non avere ancora patito anche soltanto una piccola parte delle loro sofferenze. Né chiedeva perdono per le malefatte in gioventù e per il poco amore a loro riservato in vita. Sapeva bene di non meritarlo.
Avrebbe voluto chiedere, questo sì, cosa fare della propria vita spesso insulsa e programmata per fare del male alle persone che avevano commesso l’errore di amarlo. Avrebbe voluto solo un suggerimento ma non chiese perché avrebbe dato loro, ovunque fossero, un fardello enorme oltre a quelli che in vita avevano già trascinato per lui.

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