Avevo bisogno di quel frammento di felicità che lei mi aveva dato, giorno
dopo giorno, per cinque mesi. Non potevo farne a meno, ma dovevo farne a meno.
E cosi mi aggiravo allo sbando per ogni camera della mia casa, cercando oggetti
o pensieri che mi tenessero impegnato, ma soprattutto mi occupassero le mani,
impedendomi di scriverle o di telefonarle.
Ero stato bandito dalla sua vita nel modo più subdolo, con la sua
indifferenza: verso i miei messaggi, verso la mia vita, e soprattutto verso il
mio dolore, che in quel momento era insopportabile.
Fluttuavo nel vuoto della mia mente. Un po' tra i ricordi belli, un po'
negli ultimi scambi di messaggi che avevano scritto la mia condanna a morte.
Certo, avevo scelto io di non vederla più. Ma solo per non soffrire, per non
provare in me quell'accecante gelosia che mi faceva sentire uno stalker nello
spiare inosservato la sua vita online, cercando la certezza che lei fosse
oramai lontana da me, proprio nel momento in cui io avevo deciso di fare il
passo più importante della mia vita: chiederle di vivere insieme.
Avevo cercato in lei un appiglio, una speranza, dopo che per giorni la sua
frase "non sono innamorata" aveva tempestato di minute fitte ogni
parte del mio corpo. Ma avevo sbagliato a chiederglilo, né sapevo perchè le
avevo fatto quella stupidissima domanda, quando sapevo perfettamente la
risposta: «Posso sperare che le cose cambino?». La sua risposta «Non lo so»
sapeva di pietà e di vigliaccheria: non voleva o non aveva il coraggio di dirmi
di no.
Se mi fermavo a cercare un momento in cui poter considerare la nostra
storia finita, era quell'estate. Erano le sue risposte vaghe, il suo silenzio
di certi momenti. Nonostante le avessi detto apertamente che mi facevano male,
sembrava quasi che lei non se ne curasse, non lo considerasse importante. È
vero, la nostra storia era iniziata quasi per sfida, l'uno verso l'altra, una
sera, a casa di amici e si era consacrata in un parcheggio di periferia, fermi
in macchina, con i nostri visi a un centimetro di distanza, combattuti tra il
desiderio di sfidarsi e la volontá di superare quella sfida.
Ed eravamo finiti a fare l'amore, con passione, urlandoci addosso le nostre
sensazioni di felicitâ, il nostro desiderio di sentirci l'uno dell'altra,
godendo al ritmo del suono di dolcissime parole: «sono tua» «sono tuo» «sei
mia» «sei mio».
Glielo avevo detto... «Attenta, io mi innamoro...» ma lei aveva riso di me
e pensava fossi come tutti gli altri uomini, che volessi solo divertirmi e a
lei, in fondo, stava bene così. Si teneva stretta la sua vita e la sua libertá
e non si accorgeva che mi stava trascinando verso il più potente degli
incantesimi: l'amore.
Forse è stata anche colpa mia. Io sono un sognatore, io non riesco a non
far vibrare l'immaginazione e restare con i piedi per terra: mezze frasi per me
sono come mattoni per i castelli della mia fantasia. Ci stavo costruendo una
casa per il mio futuro, perchè devo credere ogni volta che sia per sempre.
Stavo iniziando a desiderare di cambiare la mia vita, prima che l'estate ne
portasse via come un uragano le sue fondamenta.
La mia stupiditá massima si era rivelata di fronte ad una bancarella del
Marocco, dove ero in vacanza quest'estate. Ero stato come “rapito” da un
piccolo braccialetto formato da dadini d'argento intrecciati a un filo sottile
di cuoio. Su ognuno di essi c'era un simbolo esoterico che mi sussurrava storie
di folletti e streghe medievali. Glielo avevo preso senza pensarci su due
volte, desiderando di averla già di fronte a me, per infilarglielo al polso al
rientro dalle vacanze, chiamandola per gioco “la mia strega”. Lo guardo ora
appoggiato sul camino, lo prendo con rabbia e lo sbatto contro il muro. No, la
colpa non è di nessuno se è finita, ma perchè allora sto soffrendo come un
disperato? Perchè lo stomaco e le budella mi si rivoltano contro? Perchè c'è il
vuoto dentro di me, senza lei, e non riesco a pensare a nient’altro?
La rabbia non riesco ancora a gestirla. Sento che giorno dopo giorno si
spegne un po’ di più nel dolore, ma quando incidentalmente riaffiora ha la
stessa intensità di sempre. Una emozione violenta nella quale affondo ogni
volta che lei pubblica online una sua foto con qualche altro uomo, quando vedo
e collego commenti, foto, sensazioni e non riesco a cancellarli. Anche nel male
la mia immaginazione si diletta, ma contro di me costruisco castelli sulla
roccia, che difficilmente si sciolgono col tempo. E la rabbia diventa astio e
poi rancore, per poi fondersi col dolore e sparire da qualche parte nel cuore,
dove resterà per sempre a far male.
Ho bisogno di una birra. Non so perchè ma uscendo di casa raccolgo quel
bracciale e me lo infilo in tasca. Guido a lungo, senza sapere dove fermarmi.
Guardo le luci, penso a lei, solo a lei, accecato di gelosia, soffocato dalla
sua mancanza. Mi manca tutto di lei: il suo sorriso, i suoi capelli ricci e
lunghi, i suoi occhi che parlano senza volere, raccontandoti ora la sua
passione, ora una veritá che lei vuole celare perfino a se stessa, ora si
chiudono in un sentimento che a volte sempra paura, a volte solo indifferenza.
Mi manca la sua pelle, la sua bocca, i suoi baci, i suoi gesti che stavano
diventando familiari.
Arrivo sui navigli. Ho deciso: lo butteró lí quel bracciale. Magari
qualcuno lo troverá e gli porterá fortuna. Parcheggio, scendo e mi accendo una
sigaretta. Ho parcheggiato in un vicolo vicino al Naviglio grande.
Mi avvio a piedi sotto la pioggia che nasconde le mie lacrime. Mi è
successo anche questo, una totale incapacità di gestire le mie emozioni,
sentendo nelle orecchie il rimprovero brusco di mio padre «un uomo non piange
mai» e l'abbraccio di mia madre che mi consiglia di «piangere solo per le cose
importanti». Ma lei lo è! Mi urlo dentro... A volte le lacrime scendono copiose
senza freni. L’amore è salato. Il dolore è salato.
Alzo gli occhi dopo averli tenuti sull'asfalto bagnato a lungo. La vedo da
lontano. Una giovane mendicante appoggiata al muro. È bella e gli occhi le
sprizzano d'orgoglio. Le vado incontro. Quando le sono davanti la guardo e mi
infilo la mano in tasca. Lei mi tende la sua, stranamente bianca e pulita, per
prendere l'elemosina.
Le appoggio il bracciale nel palmo e stringo le sue dita intorno. Quando la
lascio, lei apre la mano e lo guarda, spostandosi sotto la luce del lampione.
Mi fermo a guardarla, non per sentirmi ringraziare, ma incuriosito dalla sua
reazione.
Sotto quella luce, lei alza gli occhi e mi guarda.
«È molto bello... Sai cosa c'è scritto?» mi chiede.
«No. Non conosco quei simboli»
«Meglio...»
Continuai a guardarla, aspettando che me ne rivelasse il significato, ma lei
semplicemente si giró e inizió a camminare verso la direzione opposta. Io
rimasi fermo a guardarla andare via. Stavo per girarmi e tornare a casa, quando
lei si voltó. La luce del lampione le scintillò negli occhi.
«Vuol dire CUORE A META'»
Le tue parole hanno la capacità di imprigionare il lettore nelle storie che narri, le emozioni dei tuoi personaggi sono talmente forti da poter sentire il dolore devastare la mia anima quasi provasse le stesse sensazioni.
RispondiEliminaAdoro questo tuo dono...