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10 giu 2013

I fatti – Philip Roth

L’autobiografia, come Northrop Frye e altri critici hanno sostenuto, è semplicemente un’altra forma di prosa narrativa, e il suo implicito contratto etico con il lettore ha a che fare con una verità onnicomprensiva che è più psicologica e letteraria che non strettamente fattuale. Questo tipo di consapevolezza è del tutto naturale per Philip Roth, che per decenni ha romanzato la sua personalità e l...e sue avventure facendone libri memorabili. Per Roth l’atto di tornare sui propri passi è inevitabilmente un atto consapevole o inconsapevole di creazione di un mito personale.

Avvalendosi di molti tipi di manipolazione, I fatti è un incrocio tra un romanzo breve, un’apologia pro vita sua, una confessione, un esercizio di nostalgia e riparazione e una guida informale per il lettore all’opera di Philip Roth.

La narrazione centrale è preceduta da una lettera a Nathan Zuckerman, l’alter ego di finzione di Roth, ed è seguita da una lunga risposta dello stesso Zuckerman. I suoi commenti acuti, lungimiranti e, spesso, severi, sulla ricerca dei “fatti” compiuta dal suo creatore, anticipano e scoraggiano commenti ulteriori da parte del lettore. Come conseguenza di questo dialogo critico interiore il libro nel suo insieme diventa circolare, richiuso su se stesso, poiché il suo argomento principale è il libro stesso, come è venuto alla luce e qual è il suo valore immediato e definitivo.
Justin Kaplan, The New York Times
  Internazionale, numero 991, 15 marzo 2013

 

Citazioni


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E mentre lui parlava io pensavo:
«Guarda in che razza di storia la gente trasforma la vita,
in che razza di vite la gente trasforma le storie».
Nathan Zuckermann ne La controvita
 
 
 
 


Caro Zuckermann,
[...] Per me, come per quasi tutti i romanzieri, ogni avventura dell’immaginazione comincia laggiù, con i fatti, con lo specifico, e non col filosofico, l’ideologico o l’astratto.
 

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La persona alla quale volevo rendermi visibile in queste pagine ero, in primo luogo, io stesso. Superata la cinquantina, si sente il bisogno di trovare dei modi per rendersi visibili a se stessi. Viene il momento, com’è successo a me alcuni mesi fa, in cui mi sono trovato all’improvviso in uno stato di incontrollabile confusione e non riuscivo più a capire ciò che una volta mi pareva ovvio: perché faccio quello che faccio, perché vivo dove vivo, perché divido la mia vita con la persona con cui la divido. Il mio scrittoio era diventato un luogo estranei, spaventoso e, diversamente da analoghi momenti del passato in cui le vecchie strategie non funzionavano più – o per le pragmatiche incombenze della vita quotidiana, quei problemi che tutti si trovano a dover affrontare, o per gli speciali problemi di chi scrive – e io avevo avevo energicamente deciso di prendere un’altra strada, ero arrivato semplicemente a credere di non poter più cambiare. Lungi dal sentirmi capace di ricostruirmi, mi sentivo andare a rotoli.
I ricordi del passato non sono ricordi di fatti, ma ricordi di come tu li immagini. Si fruga nel passato pensando a certe domande: anzi, si fruga nel passato per scoprire quali avvenimenti ti hanno spinto a fare proprio quelle domande.
Resta la domanda: questo libro vale qualcosa?
 
Caro Roth,
ho letto il manosciritto due volte. Ecco la risposta sincera che chiedi: non pubblicarlo; te la cavi molto meglio scrivendo di me che facendo una cronaca “fedele” della tua vita. Non potrebbe essere questo? Che ti sei trasformato in un protagonista non soltanto perché sei stanto di me, ma perché credo che io non sia più lo strumento attraverso il quale riesci a distaccarti dalla tua biografia nello stesso tempo in cui ne sfrutti le crisi, i temi, le tensioni e le sorprese? Be’, a giudicare da ciò che ho appena letto, direi che hai ancora tanto bisogno di me quanto io ne ho di te: e che io abbia bisogno di te è indiscutibile. Per me, parlare di qualcosa di “mio” sarebbe ridicolo, anche se si è cercato di instillarmi l’illusione di un’esistenza indipendente. Io ti devo tutto, mentre tu, però, mi devi nientedimeno che la possibilità di scrivere liberamente. Io sono il tuo nullaosta, la tua indiscrezione, la chiave della rivelazione. Me ne rendo conto solo adesso.
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Ciò che scegli di dire in un romanzo è diverso da ciò che puoi permetterti di dire quando non c’è nulla di inventato, e in questo libro non ti puoi permettere di raccontare ciò che racconti meglio: gentile, discreto, prudente – cambi i nomi delle persone perché non vuoi urtare i loro sentimenti – no, questo non è il tuo lato più interessante. Nella fiction puoi essere molto più sincero senza doverti continuamente preoccupare di fare del male a qualcuno. Qui tu cerchi di spacciare per franchezza quella che a me pare la danza dei sette veli: quello che finisce sulla pagina è una specie di codice per ciò che manca. Le inibizioni si manifestano non soltanto come una riluttanza a dire certe cose, ma anche come un deludente rallentamento del ritmo, un rifiuto di esplodere, una rinuncia al bisogno di arrivare al momento culminante, esplosivo, che ordinariamente io ricollego alla tua persona.
Il tuo strumento per scandagliare spietatamente denntro di te, lo strumento per confrontarti sinceramente con te stesso sono io.
Quanto alla caratterizzazione, tu Roth, sei il meno riuscito di tutti i tuoi protagonisti.
Ciò che si sceglie di rivelare nella fiction è governato da un motivo fondamentalmente estetico; noi giudichiamo l’autore di un romanzo da come, bene o male, racconta la storia. Mentre giudichiamo moralmente l’autore di un’autobiografia il cui motivo dominante è soprattutto etico, e non estetico. Quanto è vicina la narrazione alla verità?
La tua biografia non ci dice nulla di quello che è successo  nella tua vita per far uscire noi da te. Su tutto questo c’è un enorme silenzio. Mi rendo conto che il tema di questo libro è com’è nato lo scrittore, ma dal mio punto di vista sarebbe più interessante sapere cos’è successo da allora che alla fine ti ha spinto a scrivere di me e di Maria. Che rapporto c’è tra questo romanzo e la tua presente fattualità? Stai forse insinuando che senza i litigi, senza la rabbia, senza i conflitti e la ferocia, la vita è terribilmente noiosa, che rispetto alla fanatica ossessione che può fare di un uomo uno scrittore esiste solo l’alternativa di queste simpatiche cene durante le quali, a lume di candela e davanti a una buona bottiglia di vino, si parla solo della tata e del parrucchiere?
Non tornerò sui miei passi per cambiare quello che dicevo prima: che della tua grande capacità di mettersi in gioco farai l’uso migliore stando attaccato a me; benché questo argomento, se lo trovi persuasivo, garantisca praticamente l’avverarsi delle nostre peggiori paure. Chi vuole meritarsi di essere preso in seria considerazione come personaggio letterario non può assolutamente pretendere che un autore risponda alla sua invocazione di riservargli un trattamento di favore.
 
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Le persone civili si lasciano sempre convincere a essere come non vorrebbero dalle persone che civili non sono. La gente è terribilmente debole. So che è molto comodo affermare che nessuno fa niente senza volerlo. Ma così si dimentica che la gente è anche debole e a un certo punto accondiscende e basta.
 
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Non tutte le cose esistono per essere comprese e usate, ma esistono anche perché, abbastanza sorprendentemente, sono la vita. L’esistenza non è sempre lì che invoca l’intervento del romanziere. A volte chiede solo di essere vissuta.
 

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