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Stai rannicchiata in un angolo, accanto al fuoco, nella
tranquilla incertezza se domani sarà cielo o buio per sempre e anche se esplode
il sole nelle estati colme di ortensie e frescura dietro le imposte socchiuse,
aspetti, con le tue ali calate a proteggerti il cuore e con la tua voce che ora
è sussurro dolce di stanca sirena. Non credere, anche se lontano, che non ti
sto pensando così come non sono assente nel labirinto dei tuoi pensieri o che
non conosca i tuoi voli di malinconia quando ti sforzi ad immaginare dove sono
e cosa sto facendo.
Ti ho visto piangere, talvolta, di quel dolore sordo che
distrugge l’anima e scava la vita e ti fa cercare in catini di finta
cartomante, gli inganni del destino o una speranza, per me, di alterna fortuna,
ma non ho mai visto una ruga di stanchezza in giorni e giorni, nemmeno quando
le tue ossa hanno cominciato a raccontare il peso degli anni e la fatica di
vivere.
Non chiedo altro, se non una voce pacata che accompagni i
tuoi sorrisi e una carezza d’affetto che ti possa riportare a quelle feste solo
sognate, di gioventù agreste, alle nostre notti di San Silvestro, chiusi in
casa, attenti alle baldorie di tuono, agli spari di giubilo, alle luci allegre
che spaccavano la notte, ad aspettare il futuro con la stella del Salvatore
brillante d’argento che oscillava al soffitto. Se in questo oceano di dubbi mi
giro a guardare le lanterne dei nostri porti, non trovo altro se non che c’era
una volta da favola con te che pulisci gli acini d’uva perché potessi
mangiarli, ingannando una colite vigliacca, trovo i giorni del mare, le Pasque
di vento tiepido, e ti rivedo, rivedo il tuo sguardo di dolcezza, i cerchi
d’oro ai tuoi lobi d farfalla, risento la tua voce raccontare, le tue braccia
avvolgermi in una mantellina rossa all’uscita di scuola, con la pioggia fitta
di un autunno lontano.
Tutte le Stelle che hanno accompagnato i miei anni di
sfortuna erano solo repliche dei tuoi sorrisi, ma come me, speravi sempre in un
universo di quiete e in braccia d’amore che sapessero accogliere le mie sere.
Ogni giorno sento la tua voce ed ogni giorno mi ridai la
vita, e vorrei raccontarti di questa galassia che ora mi
avvolge e riesce ancora a farmi immaginare un futuro, così che per ridare pace alla tua ansia, mi piacerebbe parlarti di questa felicità nuova di queste carezze non sperate che mi stanno facendo sopravvivere ai flutti dell’inganno di quel lancio di dadi che mi ha rubato gli anni. Chissà cosa diresti ai suoi capelli di vento, ai suoi occhi profondi, alle sue braccia di passero perdute nella neve. Forse non saresti più in quell’angolo di buio a pregare che il domani comunque mi trovi, forse potrei fare smettere la nenia incessante della tua schiena curva, riuscirei a farti sorridere e fare in modo che le tue notti fossero solo e soltanto una certezza di risveglio sereno e le tue braccia esili stringerebbero, assieme a me, questo Natale di fili dorati che mi scrive e mi parla con parole bambine. Così, come mi perdo nei tuoi ricordi, oggi mi perdo nei suoi pensieri, ma tu conosci le strade della mia esistenza e mi perdoni del tempo che ti ho rubato, dei dolori che ti ho dato, di tutti i giorni senza domeniche, delle assenze alle tue domande e dei tuoi perché senza risposte, della mia voce crudele e dei miei graffi sul mondo, dei miei silenzi di giuda, di questa ferita grande che ho nel cuore.
Non so se l’alba porterà sereno o neve, non importa,
comunque sia purché ci sia la tua voce e per questa notte, che sa di arance e
di miele, per le stelle e per la luna, e per il tuo sonno lieve, buonanotte,
madre!
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