Ero fermo
lì, dove ero stato tante altre volte, a guardare la strada e la gente che
tornava a casa, solitario, perso nei visi qualunque che attraversavano la
strada con lo sguardo assente o guidavano fissando altro, un bambino nell'auto,
un cane nel portabagagli, il cellulare lampeggiante.
Ero fermo
lì, quando sentii la prima pioggia lieve che si depositava su di me.
Amavo la
pioggia, così come odiavo il sole.
Quelle
gocce, stropicciandomi, mi facevano vivere, mi regalavano una sensazione di
vita vissuta tra le mani della gente, mi facevano sentire di essere appartenuto
a qualcuno, che mi aveva desiderato e poi amato, anche se in ultimo mi aveva
lasciato lì, su un marciapiede, in attesa di un altro amore.
La
pioggia rendeva strana la gente, e mi piaceva restare fermo lì a guardarla.
C’erano
tutti, in quei volti diversi, ma sempre uguali, che si alternavano davanti a
me, seduto comodamente ad osservarli, da un inusuale punto di vista.
Impeccabili
impiegati che diventavano rissosi e sfogavano le quotidiane frustrazioni spiando
morbosamente le altre auto attraverso i finestrini, guardoni di vita altrui,
invidiosi di chi sedeva comodamente su auto lussuose.
Donne in
carriera che sbuffavano del tempo perso e cercavano di approfittare delle
lunghe soste ai semafori per continuare a lavorare, digitando meccanicamente
sui cellulari.
Mamme che
impazzivano a cercare di calmare un piccolo bambino seduto come un re sul
seggiolino posteriore.
Ragazzi
giovani e meno giovani che cantavano a squarciagola perdendosi nella musica.
Distratti
volti che riflettevano sull’inutilità dei tergicristalli sotto quella pioggia,
e li spegnevano, spegnevano i motori come avevano spento da tempo la loro vita.
Innamorati
che approfittavano delle lunghe soste per un bacio, nascosti dietro i vetri
appannati, incapaci di stare distanti.
Le
conoscevo tutte quelle storie. Le avevo raccontate, lette, sottolineate. Erano
in me, pagina dopo pagina. Conoscevo le loro case, le loro abitudini. Mi
avevano sporcato del loro cibo, tenuto nelle loro borse, appoggiato nelle loro
stanze. Avevo assorbito in me ogni istante di quelle vite. Eppure, a me piaceva
ancora guardarli sotto la pioggia, perché mi sembravano più veri. Perché la
pioggia ti consente di essere te stesso, ti fa assaporare di più la gioia, ti
fa sprofondare nella tua malinconia.
Macchina
dopo macchina mi passavano davanti. Avevo il tempo di osservarli e più ne
vedevo, più mi sentivo umido delle loro vite, e più ne assorbivo, più sentivo
di avere una vita mia, composta come in un caleidoscopio, da mille pezzetti di
vetro colorato, un po’ sgargianti, un po’ opachi, un po’ rotti.
Sono
soltanto un libro fermo, dentro un piccolo contenitore di metallo depositato
fuori da una libreria. La gente si ferma, mi mette nella sua borsa, mi legge e
poi mi rilascia lì quando ha finito.
Nessuno
ha mai capito che dentro di me non ho solo la storia che qualcuno ha voluto
raccontare, ma tutte le storie del mondo.
Sono
soltanto un libro, stropicciato dalla pioggia, che al primo sole seccherà e
ingiallirà. Sono soltanto un oggetto, senza vita mia, che ruba la vita degli
altri.
Sono
soltanto un libro.
E amo la
pioggia.
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