
Estratto
dal Capitolo XXIII.
Il
dialetto di questa città, che canta canzoni d’amore e racconta passioni, ha una
parola precisa per indicare un colpo di vento.
La
parola è simile a un’altra della lingua madre: ma è femminile, perciò di
significato profondamente diverso. E la parola non descrive il colpo di vento
in genere, ma un colpo di vento, uno
in particolare.
Rèfola.
Non
refolo, che è una bava di aria insulsa, un soffio che può persistere nel tempo,
senza regalare se non una breve sensazione, a stento registrata dalla mente che
la riceve tramite la pelle. Nulla di tutto questo.
La
rèfola è qualcosa di magico, un breve respiro fatato che scompare prima ancora
di dare coscienza di sé. Una sottile consapevolezza, forse l’eco di un ricordo
o la premonizione di un futuro rimpianto.
Si
presenta come un sospiro fresco. Porta sollievo, racconta di territori ariosi e
di cime innevate, di mandorli in fiore e
di spuma sugli scogli.
Ma è solo un’illusione.
Arriva
quando tutto è stagnante, quando sembra che nulla cambierà più, e che il mondo
e l’universo intero affonderanno nel calore. Quando si crede, vegliando nella
notte come in un sudario bollente, di essere precipitati all’inferno, e che da
un momento all’altro Belzebù verrà a chiederci conto dei peccati.
Ma la rèfola porterò un
sorriso, sparendo prima che finisca un solo pensiero.
La
rèfola racconta, in un secondo, tutte le storie che ci racconteremmo da soli,
se ne avessimo il coraggio.
Non
ha il tempo di farlo per intero, e nemmeno vorrebbe. Suggerisce l’inizio, la
prima nota di una canzone, l’attacco di una sinfonia conosciuta.
L’anima fa il resto.
Essendo
femmina, la rèfola sa sempre quello che fa. Non si distrae dal compito che si è
prefissata.
Essendo
femmina, seduce volontariamente, non per caso. Chissà quanto ci mette, nei
luoghi freschi in cui ha origine, a scegliere l’abito scollato e il giusto
movimento di bacino. Essendo femmina, conosce i tasti da suonare nella frazione
di attimo che avrà a disposizione. Essendo femmina, conosce il potere di uno
sfioramento, che sembra fatto per caso, nel rimescolare il sangue che stagna
per difendersi dal calore.
Essendo femmina, sa quanta
rovina ci sia nella passione. E quanto sia bello suscitarla e poi starsene fuori
tiro ad osservarne i terribili effetti.
Però
occorre essere pronti a riceverla, la rèfola.
Una
finestra aperta, una porta accostata. Perché la rèfola ha effetti nell’anima,
na è un fatto fisico, reale, concreto, ha bisogno di uno spazio e di un tempo
per colpire, necessita di un momento d’attenzione del corpo.
Ammesso che vogliate essere
colpiti, naturalmente.
Vi
sembrerà un colpo di vento, forse penserete di averlo solo immaginato. Ma non è
un colpo di vento, è una rèfola.
E
una rèfola può portare tutto il bene e tutto il male del mondo, perché vi
concede un sogno nell’inferno di calore in cui siete immersi. Un solo sogno,
lungo quanto un sospiro.
Perciò,
statemi a sentire: chiudetela, la finestra. Meglio il caldo.
Meglio l’inferno di un solo
sogno disperato.
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